Vi provo a descrivere una notte allo Spring Attitude, festival che si presenta come uno degli appuntamenti di punta sia a Roma che in tutt’Italia per la musica elettronica di questo 2015.
Parlano i numeri: una rassegna sviluppata su quattro giorni, in tre grosse strutture diverse fra loro, con più di 30 artisti di tale calibro nel cartellone sia qualcosa di assolutamente raro da trovare in Italia.
Vale la pena di sottolineare un altro elemento, anche se è stato ampiamente pubblicizzato: cioè la presenza massiccia di artisti italiani nella programmazione. Ve li cito tutti, così chi vuole può andare piacevolmente ad ascoltarli: Yakamoto Kotzuga, Quiet Ensemble, Populous, Dj Khalab, Fabrice, Sine One, La Batteria, Godblesscomputers, Ninos Du Brasil, Youarehere, Drink to Me, Omosumo, Venice e infine il direttore artistico del festival Andrea Esu, che si è esibito in un dj set nella serata conclusiva.
Chiuso questo piccolo incipit, cominciamo a raccontare questo venerdì 15 maggio.
Il luogo prescelto per la seconda serata del festival è la La Pelanda & Factory, un complesso museale situato ad Ostiense/Testaccio.
La struttura sarebbe molto grande, ma la rassegna si concentra in un unico capannone suddiviso in due sale. Il cosiddetto “main floor”, è un enorme androne a forma rettangolare con uno sviluppo spaziale incentrato sulla verticalità e la profondità. Atipica è la posizione del palco: spostato nella sala e senza un reale backstage.
Sul lato sinistro sono allestiti dei grossi pannelli su cui vengono proiettati delle immagini che spesso ripropongono quei motivi grafici con cui è stato promosso il festival. Tutto ciò permette al pubblico una visione globale e non solo frontale dei live o dei dj set, che assumono quindi un ruolo assolutamente centrale dello spettacolo.
Ambassadeurs, Shigeto e Redinho offrono un’elettronica elegante, ricca di contenuti e delicata. Da evidenziare il ricorso ad elementi occhieggianti a sonorità tribali ed etnici perchè sarà uno dei punti che accomunerà molti artisti presenti in questa giornata.
Ad alzare i ritmi ci pensa Fantastic Mr Fox con un live essenzialmente electro, in cui il levare prevale sul battere. La sua chiusura sprofonda però in un’atmosfera sognante, dai suoni morbidi e smussati. Una vera perla.
Nella sala principale c’è Romare: giovane londinese il cui ultimo lavoro (Roots, uscito nel 2014) è un’ottima rielaborazione in chiave moderna di una house scuola Chicago fortemente ibridata dalla musica bass inglese. Forse le tracce, con l’aumento del bpm, perdono un po’ quel groove così preponderante presente nelle semplici registrazioni. Rimane comunque un’artista da tenere d’occhio perché potrà avere grossi margini di crescita.
Lascio un bel po’ di spazio nel descrivervi Populous aka Andrea Mangia, supportato sul palco da un altro elemento di cui purtroppo non so fornirvi il nome. Le loro camicie variopinte spiccano anche nel buio della sala. Il loro concerto inizia con una versione più estesa di “Himalaya Reel to Reel”, traccia che apre il suo ultimo album Night Safari: un lavoro che ha ricevuto giustamente tanti apprezzamenti dalla maggior parte della critica indipendente italiana. Subito dopo parte “Vu”: una composizione magnifica realizzata a quattro mani con un Clap! Clap! grande assente della serata. Era forse l’artista che mi aveva spinto a chiedere il pass per scrivere questo live report, ma Populous lo onora con live sontuoso che cresce per intensità traccia dopo traccia.
L’uso di percussioni dal vivo, o comunque di strumenti veri e propri è un elemento portante e distintivo non solo nella sua esibizione, ma anche di quasi tutti gli artisti italiani proposti allo Spring Attitude. Questo conferisce ai nostri cari connazionali un senso estetico decisamente più piacevole ed elegante rispetto alla media generale, che subisce il dominio incondizionato delle macchine; ma nel mondo dell’elettronica d’altronde non può essere altrimenti.
A chiudere la serata arriva SBTRKT che apre il suo dj set i Radiohead; attraverso un missaggio molto compresso che si apre gradualmente, fino a far risuonare al meglio il canto di Yorke proprio nell’apice emotivo della canzone –purtroppo non sono riuscito a ritrovare il titolo-. Una buona parte del pubblico esulta e si esalta e fa bene, perché questo deejay dal nome apparentemente impronunciabile e che copre il suo volto con maschere tribali, offre una performance davvero interessante per varietà e qualità delle tracce proposte. La sua esibizione è un continuo assemblaggio di dinamiche e sonorità molto diverse tra loro, che si assecondano in maniera repentina ma mai brusca. Se si era partiti con i Radiohead si arriva ai ritmi più molleggianti di Evian Christ, passando per andamenti più serrati a cassa dritta di Jamie XX. Il repertorio proposto è la perfetta incarnazione di un gusto musicale proprio della cultura elettronica “Made In Britain”, che viene espressa nella sua dimensione più fresca e attuale. Grazie alla sua ricchezza, il set di SBTRKT riesce ad essere anche il giusto filo conduttore con quello che era stato proposto anche nella seconda sala e conferma che gli organizzatori hanno ben individuato quali artisti bisognava mettere insieme in questo secondo giorno di rassegna.
Faccio anche in tempo ad ascoltare un po’ dj Khalab, pseudonimo usato da Raffaele Costantino, che propone un repertorio forse più classico qui a Roma, ma molto più aggressivo per velocità e natura delle tracce rispetto a SBTRKT.
Da lodare anche il pubblico, venuto in buona quantità ma non eccessiva, e soprattutto animato da uno spirito curioso e proattivo e che ha ballato con gusto un genere di musica elettronica che raramente si può trovare qui a Roma.
Sarebbe stato interessante analizzare la manifestazione in tutta la sua articolazione, ma questo preferisco lasciarlo a chi è sicuramente più competente di me.
Un grande ringraziamento a Parkett che mi ha permesso di essere i suoi occhi.
Francis Morgan
Corsaro delle Sette Musiche