fbpx

La 27esima edizione del festival berlinese ci dimostra che, anche dopo quasi tre decenni, CTM Festival ha ancora tanto da dirci… e da insegnarci.

Musiche globali risuonano in nuovi contesti, distorte da glitch elettronici, drone, scolpite dalla violenza sonora del metal. Deconstructed club, sperimentazioni con l’AI e tecnologie innovative danno vita a soundscape che sfidano le convenzioni, spingendo i confini del possibile. Il dialogo tra passato e futuro si trasforma in suono, rielaborando le tradizioni senza scadere in esotismi facili o narrazioni stereotipate.

Il CTM Festival si fa allora, ancora una volta, laboratorio di decostruzione e ricomposizione, un luogo in cui la musica diventa strumento per interrogare il presente e immaginare nuove realtà. Educarsi all’ascolto diventa un atto di apertura: esplorare nuove forme espressive significa anche ridefinire il nostro rapporto con il mondo contemporaneo.

Resynthesising the Traditional: CTM Festival scompone e ricostruisce il suono delle origini

Uno dei fili conduttori dell’ultima edizione è Resynthesising the Traditional, un’indagine che destruttura le estetiche ancestrali per ricomporle in nuovi ecosistemi sonori. Non è la prima volta che il festival berlinese dimostra come i suoni della memoria e delle radici possano diventare il punto di partenza per le sperimentazioni più estreme.

Photo Credit: Camille Blake

Ce lo ricordavano l’anno scorso Lamsi con la sua afro-diasporic electronica, OSMIUM con i vocals di Rully Shabara, e HJirok con il suo setar e le riflessioni sulla crisi idrica e politica in Iran. Ma ogni edizione rinnova questo concetto, dando vita a nuove intersezioni e costellazioni sonore.

Nel “soggiorno” della Kuppelhalle

Anche quest’anno la main venue del CTM Festival è il silent green, ex crematorio nel cuore di Berlin Wedding, un luogo che trascende la definizione di semplice location. In particolare, la sala Kuppelhalle si conferma spazio chiave per le performance artistiche: il piano inferiore, con posti a sedere a ridosso degli artisti, favorisce un’esperienza immersiva, mentre la balconata superiore offre una prospettiva più distanziata, ma non meno intensa.

Photo Credit: Udo Siegfriedt

Yara Mekawei entra nella sala. Tutti gli occhi sono puntati su di lei. Un faretto la illumina mentre inizia Sonic Forces, un viaggio sonoro che racconta l’Egitto come terra di lotta e rifugio. Elettronica rarefatta, tocchi drone e field recordings raccolti nelle regioni di confine costruiscono un paesaggio sonoro fatto di passaggi, fughe e resistenze. Il suono diventa archivio di tensioni geopolitiche e destini individuali, un’esperienza di attraversamento più che una semplice performance.

Photo Credit: Udo Siegfriedt

Nel buio della sala, la sensazione è quasi out of body. Il Nord Africa prende forma nel suono, e il pubblico si interroga: può la musica essere un rifugio? O è anch’essa un campo di battaglia? Chissà cosa ne penserebbe Steve Goodman.

Dall’Africa Settentrionale, il viaggio sonoro si sposta verso la Turchia e il Kazakistan, terre d’origine di Saadet Türköz ed Eldar Tagi. Seduti al centro della sala, circondati dal pubblico, trasformano lo spazio in un rituale collettivo.

La voce di Türköz è ipnotica. Più che cantante, è performer totale, capace di evocare emozioni pure attraverso la spontaneità dell’improvvisazione. È un flusso istintivo e profondo, che annulla la distanza tra artista e ascoltatore, creando un’empatia immediata. Accade tutto naturalmente.

Photo Credit: Udo Siegfriedt

Accanto a lei, Eldar Tagi, polistrumentista, mescola acustica ed elettronica, contaminandole con strumenti DIY che introducono una nota di imprevedibilità. Le melodie popolari dell’Asia Centrale si fondono con il blues, il free jazz, l’avanguardia, creando un dialogo sonoro tra radici e futuro, tra memoria e reinvenzione.

Photo Credit: Udo Siegfriedt

Tra noise e momenti eterei nella Betonhalle

La sala concerti Betonhalle è meno “cozy” della Kuppelhalle ma allo stesso tempo accogliente e poco dispersiva. Non è molto grande, ma c’è comunque un po’ di spazio per sedersi per terra per chi ha voglia di godersi i concerti rilassandosi un po’. È difficile, però, riuscire ad entrare in modalità 100% relax con Dis Fig e Spooky J – è un trip sonoro che oscilla tra brutalità e contemplazione. Le texture violente avvolgono lo spazio con un’energia viscerale, mentre l’elettronica tagliente e le drums furiose, emulano il mondo heavy metal ma senza chitarre.

La voce di Spooky J è potente, versatile, a tratti febbrile, come una “heavy” Fever Ray, capace di passare da sussurri dolci a esplosioni feroci. Il tutto è impreziosito da tocchi avant-garde e incursioni nel drone, creando un contrasto tra caos e quiete.

CTM Festival
Photo Credit: Camille Blake

E poi arrivano i These New Puritans. Il loro set è un’esperienza onirica, un viaggio che incanta e sospende il tempo. Suonano l’organo, creando un’atmosfera quasi “sacra”. I brani oscillano tra momenti di dolcezza assoluta e improvvise impennate emotive. Il pathos è calibrato con precisione, mai eccessivo, sempre in perfetto equilibrio tra minimalismo e intensità.

A rendere il tutto ancora più magnetico è la voce di Jack Barnett: eterea, evocativa, capace di attraversare lo spazio con delicatezza ipnotica. È un’esperienza coinvolgente, meditativa.

Photo Credit: Camille Blake

Tra i muri riflessivi del Radialsystem

Il Radialsystem si potrebbe definire il secondo quartier generale del CTM 2025. Molti workshop, concerti e talks si sono svolti qui, a pochi metri dalla East Side Gallery.

Risuona ancora l’opera di Lynn Nandar Htoo e Victoria Yam che lasciano tracce indelebili di dolore e speranza. Le registrazioni sul campo catturate nelle strade di Yangon si mescolano con suoni analogici e digitali, creando un paesaggio sonoro che riecheggia l’inquietudine profonda di chi vive ai margini. I suoni naturali, straziati da interferenze elettroniche, evocano il tumulto politico del Myanmar, mentre le proiezioni visive di Gabriel Htoo amplificano il senso di sradicamento e perdita. Le immagini di Sarah Hanan, sovrapposte alle onde sonore, dipingono strati di vergogna interiorizzata e isolamento della comunità queer del Sud-est asiatico, creando un’atmosfera densa di emozioni represse. La performance si trasforma in un rituale di resistenza, dove ogni nota porta il peso di storie non raccontate. Il pubblico esce dalla sala con il cuore pesante, portando con sé l’eco di voci silenziate che hanno trovato, attraverso l’arte, un modo per gridare la loro esistenza.

CTM Festival
Photo Credit: Oyèmi Hessou

Due giorni dopo, in un’atmosfera carica di tensione esistenziale, “STACK” si materializza come un’esperienza multisensoriale che sfida i confini tra umano e post-umano. La performance, curata in collaborazione con Soft Centre, si dipana come un labirinto di immagini e suoni dove il cinema dal vivo si fonde con la coreografia in un rituale tecnologico inquietante. Un POV che cattura frammenti di realtà distorta, mentre i riferimenti a Tetsuo the Iron Man e al pensiero di Haraway creano un tessuto narrativo denso di significati sulla dissoluzione della materia umana nell’era del bio-capitalismo.

CTM Festival

La serata raggiunge il suo apice emotivo con l’opera “Heaven Help Me” di Emme, un’esperienza teatrale che trasforma il dolore in arte con straordinaria potenza espressiva. In questo spazio trasfigurato dalla sua visione artistica. Luci e ombre danzano come presenze spettrali, la sua voce si eleva come un grido primordiale che attraversa strati di sound design elaborato e ritmi hardcore. La performance di 30 minuti si sviluppa come un viaggio attraverso le profondità dell’anima ferita, dove la sopravvivenza a una relazione abusiva viene trasformata in un’opera d’arte totale. La fusione di elementi di danza moderna, art performance e musica elettronica crea un linguaggio unico che trascende i generi. La presenza scenica di Emme, plasmata dalla sua formazione teatrale, trasforma lo spazio in un universo intimo. Ogni elemento, dal costume alle coreografie, contribuisce a raccontare una storia di dolore, resilienza e rinascita.

CTM Festival
Photo Credit: Camilla Blake

Nella bellezza del teatro Volksbühne

L’opera “CORTEX” si materializza come un rituale contemporaneo dove la danza diventa ponte tra neuroscienze ed emozione pura. In quattro atti, il Kianí del Valle Performance Group trasforma il palcoscenico in un territorio di esplorazione della coscienza umana. Le onde gamma del cervello si traducono in movimenti corporei che sfidano i confini tra vita e morte. La fusione tra le coreografie fluide di del Valle, le architetture luminose di Hamill Industries e la cura sonora di Tayhana crea uno spazio rituale dove il lutto personale si trasforma in esperienza collettiva. Ogni ballerino porta sul palco la propria interpretazione della mortalità, creando una tessitura di storie che si intrecciano nel buio della sala, dove la luce plasma forme che sembrano emergere direttamente dalle profondità del lobo temporale.

Nella totalità della performance, “CORTEX” emerge come un’opera di rara potenza concettuale, la ricerca scientifica si fonde con l’espressione artistica senza mai cadere nella didascalia. La scelta di esplorare le funzioni cerebrali attraverso il movimento potrebbe rischiare di trasformarsi in un’illustrazione sterile, ma del Valle riesce invece a tradurre la complessità neurologica in poesia viscerale.

CTM Festival
Photo Credit: Camilla Blake

Lo stesso sabato Ellen Arkbro apre il mese di febbraio con un opera unica. Nel silenzio luminoso della sala, “Clouds for Three Tubas” si manifesta come un’architettura sonora dove il tempo si dilata in spazi intonati con precisione microtonale. In questa première mondiale commissionata da Intonal, il trio Microtub – unico ensemble di tube microtonali al mondo – diventa lo strumento attraverso cui Arkbro esplora le profondità dell’intonazione naturale. I suoni si intrecciano come fili di una trama invisibile. Gli intervalli armonici creano texture che trascendono la percezione acustica ordinaria, invitando l’ascoltatore a fondersi con il suono stesso in un processo di partecipazione creativa. Nel panorama della musica contemporanea, l’approccio di Arkbro ha un’attenta precisione matematica verso l’intonazione giusta, che si trasforma in poesia sonora pura.

CTM Festival

In un mondo che cambia a 150 bpm, il CTM Festival continua a essere un faro di sperimentazione e riflessione. Questa 27esima edizione conferma che, pur attraversando quasi tre decenni di evoluzioni sonore, il festival non perde mai la sua capacità di rinnovarsi, di scuotere le certezze e di spingere oltre i confini della musica.

Ogni anno, CTM ci invita a mettere in discussione le nostre percezioni, a ripensare le tradizioni e a immaginare nuovi orizzonti. E, ancora una volta, ci ricorda che la musica non è solo un’arte da ascoltare, ma una forza trasformativa, capace di interrogarci, insegnarci e, soprattutto, di unire le nostre differenze in un unico, potente respiro collettivo. Non si tratta solo di un semplice festival, è una vera e propria esperienza educativa. E, come sempre, siamo pronti a continuare a imparare da CTM.

Martina Castronovi e Alessandra Marchetti