Giovani, musicalmente granitici, li abbiamo conosciuti e sentiti per la prima volta in private party a Barcellona durante il Sonar (Off). Ci hanno piacevolmente colpito e ci siamo interessati al loro progetto, così ci è scappata un’intervista.
Techno Soldiers, un nome imponente, spartano e che vuole rigorosamente asservire ad una missione. Chi siete e qual è la vostra missione?
Siamo tre ragazzi di Milano che hanno deciso di portare avanti un’attitudine comune.
Più che di una missione in senso classico, a noi piace l’idea essere dei portatori di un modo di fare musica, a nostro avviso più “vero”, e anche più divertente, di molti altri in voga in questo momento storico all’interno dell’ambiente club e derivati.
Il nostro definirci soldati è riferito alla nostra scelta di andare dritti per la nostra strada, rispetto a quello che accade soprattutto nel panorama techno, dove le performance nella maggior parte dei casi, si dividono tra inflazionati dj set e pseudo live.
Questo, ovviamente, senza togliere il merito invece ai molti che come noi, hanno deciso di tornare all’utilizzo di strumenti musicali elettronici o a chi porta in alto l’arte del djing
La vostra sinergia si percepisce vistosamente durante i vostri live. Quanto tempo passate insieme a suonare? Come siete equipaggiati? Come siete messi in consolle?
Sono tanti a farci questa domanda, e al contrario di quanti molti credono, ci incontriamo molto raramente per fare le “prove”.
La forza di questo progetto crediamo sia proprio questa, non abbiamo una necessità d’incontrarci così spesso come invece sarebbe ragionevole pensare, perché le sinergie delle quali parli vengono automatiche e senza bisogno d’innumerevoli prove. Ognuno di noi ha un background musicale molto personale, ma allo stesso tempo abbiamo tutti e tre la stessa idea di quella che è la techno, dei suoi tempi, delle sue figure ritmiche e melodiche, dei suoi grooves, e soprattutto sappiamo quello che NON ci piace! Quello che dobbiamo fare è solo essere molto focalizzati, ognuno nel suo, per dare il contributo necessario a quello che è il nostro live, che è sempre improvvisato quasi al 100%.
Anche la divisone dei “compiti” è molto naturale, Tommaso sta alla 909 e al mixer poiché è l’unico dj tra di noi e quindi il suo apporto al mixer è fondamentale per rendere dinamico il materiale che abbiamo a disposizione. Jacopo si occupa delle ritmiche in generale con 606, 707 e 626, inserti acid di 303 (che è l’unico strumento programmato in precedenza).
Marcello col suo modulare, e la sua lunga esperienza coi sintetizzatori si occupa di tutto ciò che è “melodie”, bassline, suoni in generale, e qulache inserto di percussioni effettate.
Per ora il nostro set up è questo, ma come anche accennato in precedenza, l’idea è quella di un set up dinamico che possa variare a seconda delle esigenze e di quello che ci sentiamo di fare.
Pur essendo molto giovani vi state creando prepotentemente una strada, che non è semplice, verso il successo. Riuscite a percepire i grandi passi in avanti che avete fatto musicalmente? Quanti sono i sacrifici per arrivare “in alto”?
Come giustamente dici tu è una strada difficile, e soprattutto molto poco chiara per chi la vive da dentro.
Sicuramente dai primi live ad adesso, riascoltandoci, sentiamo ogni volta dei miglioramenti, abbiamo sempre più feedback positivi, e vediamo che il pubblico risponde sempre meglio.
Crediamo molto in quello che facciamo, e crediamo anche che abbia un valore effettivo e quindi non solo per noi. Non sappiamo nemmeno se vogliamo arrivare in alto, in realtà basterebbe riuscire a portare la nostra musica in giro il più possibile, il che sarebbe già un onore e un privilegio.
Noi continuiamo nel fare il nostro, e se qualcosa dove arrivare, arriverà.
I vostri set up farebbero brillare gli occhi a qualsiasi amante della techno. Qual è la vostra opinione verso la tecnologia nel mondo della musica e quanto bisogna avere conoscenza di essa per un live come il vostro? Tutti hanno dei miti nel mondo delle arti. Nel vostro quali sono i miti musicali a cui vi ispirate?
Qualcuno diceva che essere underground vuol dire fare quello che ti senti, senza costrizioni e senza sentirti stupido. Noi ci ritroviamo molto in questa definizione, quello che facciamo non è andare contro a un sistema o cose del genere, ma semplicemente vogliamo suonare divertendoci, per far divertire.
Di conseguenza cerchiamo di stare al di fuori da polemiche anlogico vs digitale, dj set vs live set e così via.
La tecnologia può essere un grande aiuto, come una gabbia strettissima, la differenza sta solo nel cosa hai da dire; lo strumento e il modo poi sono molto relativi.
Anche la conoscenza di questa non è affatto fondamentale; non devi essere un tecnico per fare bella musica, anzi, nella maggior parte dei casi i super tecnici, fanno cose che risultano gnucche e abbastanza prive d’emozioni.
Come dicevamo prima deriviamo da percorsi musicali molto diversi e per rispondere alla domanda sui nostri miti dovremmo fare un elenco infinto che pesca da quasi ogni genere di musica. Diciamo che ci piace la musica “vera”, colta o ignorante che sia.
La scena milanese, quella che vi appartiene, è sempre al passo col clubbing e con la musica elettronica più moderna, che a volte si rispecchia e coincide con quella classica di Detroit. Che fase musicale sta attraversando secondo voi la scena techno?
E’ vero, sicuramente Milano negli ultimi anni ha fatto grandi passi avanti per quanto riguarda le proposte musicali, in molti ambiti.
Quello che è sotto gli occhi di tutti è che la musica elettronica, techno compresa, stanno andando verso un percorso di sempre maggiore massificazione, il che secondo noi è molto bello, perché finalmente artisti come Robert Hood per esempio (ecco un idolo che abbiamo in comune) si possono esibire in contesti non solamente underground, e quindi possono venire apprezzati da una target molto maggiore; tutto ciò non può che portare a una maggiore “coscienza” del pubblico che sarà sempre più libero di scegliere.
Per quanto riguarda la musica invece, la techno sta vivendo un periodo molto vario; da un lato c’è grande contaminazione e anche grande sperimentazione, dall’altro c’è anche una grande standardizzazione di certe “correnti”. La cosa più interessante è vedere come molti linguaggi come quello Detroit, quello acid o quello house per esempio siano ormai stati molto ben assorbiti e presenti in svariate produzioni che non si rifanno però prettamente a uno di questi.
Quali sono i vostri progetti e le vostre ambizioni per il futuro?
Per quanto riguarda i progetti sicuramente implementare il nostro lavoro con delle produzioni.
Un progetto che è allo stesso tempo anche un’ambizione è quello di arrivare a fare quello che stiamo facendo ora, quindi un live di pura improvvisazione, sempre meglio e soprattutto in maniera sempre più strutturata, per valorizzare al massimo tutto quello che abbiamo da dare che sappiamo essere fortissimo ma non ancora del tutto solido, per i nostri gusti.
Grazie della “chiacchierata” ragazzi, e scommettiamo che ci risentiremo presto, magari per una review di qualche vostra futura produzione.
Intervista e traduzione
Mirno Cocozza