Apriamo con una domanda, contenuta nel titolo di questo articolo, un po’ provocatoria, un po’ realistica. Appena tornati da Amsterdam, sono ancora freschi i ricordi e sono ancora vive le sensazioni che questi 5 giorni di Ade ci hanno saputo trasmettere. Raramente amiamo parlare delle nostre opinioni e dei nostri punti di vista: non ci piace condizionare i nostri lettori perchè ciò che pensiamo è solo un piccolo dettaglio. Per questa volta ci spingeremo oltre, faremo delle considerazioni, solleveremo dei quesiti. Probabilmente non saremo mai in grado di trovare una risposta a quelle domande, forse si.
Amsterdam è apparsa come una città-stato dove tutto fila liscio, dove la vita ti da quello che ti meriti (nel bene e nel male) e dove le cose vanno come devono andare. Senza intoppi, senza se e senza ma. Probabilmente questo lo sapevate già e non siamo certo noi a scoprirlo. E non stiamo neanche a ribadire, per l’ennesia, scontata volta che all’estero, purtroppo per noi ‘fedeli’ del Belpaese, le cose vanno meglio rispetto all’Italia. Ormai la nostra ulcera ci ha fatto il callo, quindi piuttosto che screditare siamo indirizzati a trovare una soluzione ai problemi italiani.
Lo stesso vale per l’Ade: questo grandissimo evento musicale che nell’edizione di questo anno ha attirato la cifra record di 365.000 visitatori, 2.200 artisti (tra fotografi, produttori, dj, film-maker e chi più ne ha più ne metta) e, arrivato alla sua 20esima edizione, sicuramente può insegnare molto, moltissimo, alle altre realtà. La domanda che ci poniamo è: sarebbe stato possibile organizzare tutto questo in Italia? Roma? Napoli? Torino? Secondo voi, dove? Noi non vogliamo rispondere, non vogliamo sbilanciarci. E non vogliamo neanche puntare il dito sulle organizzazioni italiane e su un indotto che crea lavoro e cultura musicale in maniera egregia. La nostra è una domanda, più che altro, legata alla nostra attuale situazione economica, culturale, di senso civico.
Non è di certo un buon periodo per il clubbing italiano: negli ultimi mesi abbiamo affrontato tematica delicate: uccisioni, droga, violenza e mancanza di educazione all’interno di moltissimi club italiani da parte di qualche ‘mela marcia’, anche se non è così ovunque, e meno male. Allora abbiamo provato a suggerire qualcosa: metal detector? Scansioni oculari? Impronte digitali? No, niente di così fantascientifico. Ad Amsterdam il problema della droga e coltelli vari all’interno dei club è risolto con una semplice e banale perquisizione: all’ingresso c’è un uomo che ti controlla, ti mette anche le mani in tasca e ti caccia fuori tutte le cose che sono al suo interno. Le ragazze sono perquisite, come è giusto che sia, da una donna. I portafogli vengono aperti, svuotati. Borse, borsette e marsupi non vengono risparmiati: tutto deve essere analizzato, con scientifica metodologia. Poi il giudizio: qualcosa va bene, qualcosa non va bene. Se il controllore trova qualcosa che non gli va bene, tu non entri. E non c’è spazio per lame o per droghe varie Semplice. Perchè potresti essere un possibile cliente molesto e nel party non c’è tempo da perdere con problemi risolvibili con poco. Ed è così che, ad esempio, abbiamo assistito alla bellissimo party Pole Group al De Marktkantine. L’altra domanda che vogliamo sottoporvi è: sarebbe possibile fare una cosa del genere in Italia? No? E allora, perchè no?
Certo, non stiamo qui a parlare dell’Ade e dell’Olanda come l’isola felice e perfetta, dove non esistono fatti e avvenimenti negativi (perchè fanno parte della natura umana). Difficile, arduo e spiccatamente pragmatico saper risolvere grandi problemi con il minimo sforzo, qualità degna di menti geniali. Anzi, menti giuste. Quando la normalità fa notizia, ebbene si, è questo il caso.
Sicuramente hanno puntato sulla semplicità, quella autentica e vera, per risolvere alcuni problemi che abbiamo dalle nostre parti e che, molto spesso, sono avvolti da un sottile strato di ipocrisia.