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INTERVIEW

Il mondo del clubbing, in Italia, è un ambiente estremamente complesso, dentro il quale operano migliaia di interpreti dell’intrattenimento. C’è chi si brucia nel giro di qualche party, c’è chi, invece, riesce a spiccare. A crescere, ad affermarsi.E’ il caso di Stereo, una crew di Torino che sta facendo parlare di sè.

Noi di Parkett abbiamo deciso di incontrarli e di fare loro qualche domanda, per capire il loro punto di vista su questo ambiente underground così variegato e affascinante.

1 – La vostra avventura è iniziata nel 2010, e nel giro di poche stagioni siete riusciti a ritagliarvi uno spazio molto importante nella scena underground del nord Italia. Come nascono le vostre intuizioni artistiche e in base a cosa scegliete la vostra programmazione?

Gandalf: tutto è iniziato 4 anni fa quando, al culmine dell’onda “tech-minimal-house”, è nata in noi l’esigenza di provare a portare a Torino qualcosa di diverso e proporre suoni più originali rispetto a quanto si sentiva in giro in quel periodo. A essere onesti durante i primi tempi non c’è stata una strategia particolare nella scelta degli ospiti. Hai detto bene, parlando di “intuizioni”, perché molti artisti che abbiamo portato nel corso della nostra prima stagione erano un azzardo totale, sia per noi sia per il nostro pubblico, che non sapeva ancora a cosa sarebbe andato incontro…

Alessandro: come credo sia naturale per un’organizzazione appena nata, ci siamo inizialmente ispirati alle feste e ai locali che più si avvicinano alla nostra filosofia di clubbing. Penso al Berghain o al Trouw, per citarne alcuni. Le prime scelte artistiche sono state una diretta conseguenza rispetto alle scene e alle etichette che ci hanno maggiormente influenzato negli anni passati.

2 – L’Italia sta attraversando un periodo storico-economico molto critico. Dal 2010 ad oggi, avete potuto rendervi conto di qualche cambiamento nei comportamenti del vostro pubblico all’interno del club?

Gandalf: la situazione è cambiata rispetto a un paio di anni fa. Questa è la prima stagione in assoluto in cui percepiamo nel pubblico una difficoltà oggettiva in termini economici nel potersi permettere di uscire e andare a ballare. La cosa è abbastanza preoccupante perché, storicamente, divertimento e tempo libero sono sempre gli ultimi aspetti a essere “tagliati” in tempo di crisi. Quando la gente inizia quindi a stare a casa invece di uscire, vuol dire che le cose si stanno mettendo veramente male…

Alessandro: La situazione non è certo delle più rosee, come d’altronde per la quasi totalità degli altri settori e le istituzioni non aiutano a far sì che migliori. Le politiche repressive hanno sempre fallito, contrastare piuttosto che favorire non è una scelta corretta. Il limite di orario imposto per la somministrazione degli alcoolici è, ad esempio, un controsenso evidente. Sarebbe più opportuno investire in infrastrutture all’altezza, servizi di trasporto pubblico efficienti, convenzioni con taxi o altro. Si dovrebbe entrare maggiormente nell’ottica di pensiero che “la notte” genera profitto e può potenzialmente creare un indotto che ruoti intorno a essa. Strutture alberghiere, ristoranti, trasporti ne beneficerebbero molto, favorendo, seppur in parte, la ripresa economica.

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3 – Nell’arco di questi anni avete organizzato moltissimi party, siete riusciti a conquistare e ad educare un vostro pubblico alla cultura musicale da voi proposta. Qual è stata l’emozione più grande che volete raccontarci, vissuta durante una di queste serate?

Gandalf: come dicevamo prima, il nostro pubblico si è trovato di fronte a una proposta musicale in parte nuova. Non dimentichiamoci poi che il termine “techno” in Italia continua a essere molto spesso associato alla scena “hardstyle” o “gabber”, e la cosa spaventa non poco le persone. Per quanto riguarda le emozioni più grandi, è difficile scegliere un episodio in particolare… forse la serata in cui abbiamo lasciato a Regis un microfono in consolle, vero Alessandro? Ma anche l’ultimo evento con Planetary Assault Systems e Marcel Fengler… siamo stati in pista quasi tutto il tempo a ballare e a tratti mi è sembrato di sentire l’energia che si vive al Berghain sia per musica sia per atmosfera…

Alessandro: l’idea di lasciare un microfono incustodito vicino a Regis è stata una delle migliori, effettivamente; ci abbiamo rimesso una cassa (andata in fumo) ma ne è valsa la pena! Sarò banale, ma l’emozione più forte è vedere persone fino ad allora completamente estranee tra loro, abbracciarsi e stringere rapporti d’amicizia duraturi grazie a una nostra serata.

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4 – Ascoltando i commenti degli addetti ai lavori, sembra proprio che i dj in Italia vengano venduti ad un prezzo maggiore rispetto ad altre parti del mondo. Questo sta inevitabilmente pesando sui bilanci di molti club medio-piccoli. Secondo il vostro punto di vista, da cosa devono ripartire i promoter italiani e, soprattutto, su cosa devono puntare i club per uscire da tutto questo?

Gandalf: in Italia la scena è polarizzata tra i nomi che ti riempiono il locale a prescindere e tutta quella serie di nomi medio-piccoli per i quali è necessario un grande lavoro di promozione ed educazione del pubblico. Onestamente lavoriamo molto bene con molte agenzie, soprattutto estere, che capiscono la differenza tra un evento da 1000 persone e uno da 300, e che hanno interesse nel far crescere artisti che, sebbene siano rispettati e conosciuti da un certo numero di appassionati, in termini di pubblico non possono competere con gente come Ben Klock, Marcel Dettmann, Chris Liebing o Speedy J (se parliamo di techno). Penso che un piccolo club o una piccola organizzazione, debbano trovare la forza e il modo di educare il proprio pubblico puntando alla qualità della propria offerta, in termini di resident dj (scelti accuratamente in base all’ospite proposto e non in base al “quanta gente ti porto”), location, pubblico e cura nei dettagli. Questa è la base: l’ospite viene in un secondo momento. Se si punta solo all’ospite arriverà il momento in cui qualcuno farà un ospite più forte del tuo e ti manderà a casa. Se poi invece vogliamo parare dei prezzi “gonfiati”, beh, secondo me la maggior parte delle volte la colpa è proprio dei promoter e non delle agenzie. Del resto se un guest garantisce il sold out, è giusto che si faccia pagare profumatamente… sta poi a noi far capire ad artisti e booking che a volte è meglio una data con un fee più basso ma una qualità del pubblico più alta… e che su questo si può instaurare un discorso di crescita reciproca nel corso degli anni sia per l’organizzazione sia per l’artista.

Alessandro: puntare sui dj resident, crearsi un’ identità, un proprio suono. La cosa fondamentale da trasmettere è che non è il nome a fare la differenza, ma l’ambiente. Curare ogni aspetto del club, dall’impianto al bar, dalle luci al tipo di security, è sinonimo di buona riuscita. Se la gente si sente a casa a una tua serata, rilassata e spensierata, se non ci sono problemi o incidenti, se la qualità è garantita a tutto tondo, il pubblico tenderà a fidelizzarsi e a seguirti indipendentemente dalle scelte artistiche o dai nomi proposti, grossi o piccoli che siano.  Con il progetto di label Stereo pronto a partire, punteremo tutte le nostre energie sulla valorizzazione dei nostri dj resident e del “nostro suono”.