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L’11 novembre Nina Kraviz ha tenuto una conferenza alla Oxford University. Ha parlato per più di un’ora della sua fiducia nelle giovani generazioni di fans e producers, della sua vita e della musica in generale. È stata poi interrogata dal pubblico riguardo il commento che Levon Vincent ha postato su Facebook il 21 settembre scorso che si inserisce nel solco di una critica più ampia che afferma una sorta di decadimento della techno a causa di una sua progressiva ed irrimediabile standardizzazione (a bassi livelli). Sebbene Nina non si sia dimostrata entusiasta nell’affrontare l’argomento secondo tale prospettiva (troppo spinosa o troppo superficiale?), tuttavia ha risposto – con grande sensibilità – che secondo lei è necessario (urgente) assumere un atteggiamento ottimista. Guardare sempre al peggio delle cose non può che portare – infatti – a un appiattimento anche della critica stessa, e a un conseguente abbattimento di proposta ri-vitalizzante. Insomma, niente musi lunghi e pedalare: “mi dispiace che i nuovi giovani abbiano un notevole ritardo culturale. Non conoscono abbastanza quello che è successo prima di loro. A volte un intero genere musicale – come la deep house ad esempio – viene trasformato in qualcosa di totalmente diverso da quello che dovrebbe essere.”

Ha poi spiegato in che modo lei tenta di “illuminare” il dancefloor: “sono sempre stata responsabile davanti al pubblico. Cerco di suonare un sacco di musica del passato per creareun ponte che ci colleghi. Non mi interessa più il pubblico di persone grandi che hanno già plasmato le loro opinioni. Loro hanno vissuto abbastanza e possono prendersi cura di se stessi. A me stanno veramente a cuore, invece, i giovani, e credo fermamente in loro.”

Qualcun’altro ha chiesto alla Kraviz di raccontare la sua esperienza all’interno di un’industria lavorativa a predominanza maschile, e lei ha risposto dicendo che ciò ha allo stesso tempo dei vantaggi così come delle grosse seccature: “sono lieta di essere attorniata da uomini. Non ho nulla contro di loro. Quello che è successo con me è semplicemente ciò che succede in questo tipo di business: sensazionalismo, chiudere le persone in una scatola, creare miti che hanno ben poco di verità. Più in generale, è un problema dell’intera società, di come essa funzioni, o – meglio – non funzioni. Con l’avvento di internet penso che stiamo vivendo tempi in cui si dà esagerata importanza ai singoli individui. Ognuno crede che il mondo abbia bisogno di sentire la sua opinione su qualsiasi cosa, anche riguardo le cose di cui non sanno niente. È un problema sistematico. La società è fondata su regole che possono essere combattute, e io lo faccio, chiaramente in maniera pacifica. Mi concentro su qualcosa in cui credo e cerco di convogliare tutte le mie attenzioni ed energie in quello: questa è la mia risposta al lato spiacevole della situazione.”

Potete godervi l’intero incontro qui.

Giacomo Crosetto