Segnaliamo un video simpatico ed interessante che ci giunge attraverso la pagina web di Electronic Beats.
Si tratta di sintetizzatori modulari, quindi quell’immensa parte di mondo squisitamente “nerd” (pardon, “avanzata“) della musica elettronica. Abbandoniamo quindi per un attimo le interfacce digitali molto user friendly concepite per comporre musica comodamente, con un workflow che assecondi il più possibile l’estro e l’ispirazione del momento.
Qui la situazione è più cerebrale: abbiamo a che fare con muraglioni pieni di comandi, a loro volta coperti da grovigli di cavi che bisogna sapere come collegare. Chi approccia la sintesi sonora con i modulari avrà già potuto constatare che non è semplice far uscire qualcosa di realmente musicale, e che molti primi esperimenti non vanno molto oltre un gorgogliare più o meno ritmico di suoni dal sapore molto sci-fi. Può pure andare bene, per carità, ed è senz’altro estremamente divertente ed appagante per chi vi si cimenta – lo posso assicurare. Ma è anche vero che è forse il modo più impegnativo per fare “sound design“, letteralmente scolpire il suono, essendo la sintesi elettronica praticamente l’arte di modellare la corrente che passa in un circuito usando creativamente le leggi fisiche dell’elettromagnetismo. Tutto quel mucchio di bottoni, manopole, levette, entrate ed uscite partecipa a tale modellamento con una funzione precisa. Gli oscillatori sono il punto di partenza: emettono un segnale, un’onda con una forma specifica. Le frequenze di quest’onda possono essere più o meno marcatamente tagliate, il segnale può essere modulato facendogli fare ritmicamente su e giù, e questi alti e bassi possono essere indirizzati all’intonazione (vibrato), al volume (tremolo), al filtro; poi ci sono gli inviluppi, poi gli effetti a linea di ritardo come riverberi, delay, flanger, phaser, e così via fino ad avere una quantità di possibilità pressoché infinite.
E pare che la bambina sappia dove andare a parare quando nel time lapse la si vede collegare tutto a botta sicura. Che sia una patch (si chiama così la configurazione di comandi a cui corrisponde un certo suono) che abbia riprodotto a memoria o meno – il padre le chiede se si ricorda come fare i collegamenti, non si sa bene se glie li abbia dati lui o se li abbia concepiti autonomamente la figlia – il risultato è un suono mutevole modulato dal dondolare della pallina da tennis. Questa è appesa ad un controllo che può essere mosso in varie direzioni e quindi direzionato tipo joystick.
Probabilmente nelle generazioni future sempre più bambini verranno a contatto con oggetti del genere, se in casa si coltiva la cultura della musica elettronica. Non essendo nè il primo, nè l’unico esempio nel web, ci piace sperare che anche questo tipo di “gioco” inizi a far parte della grande dimestichezza con la tecnologia che vediamo nei piccoli. Anche perchè, nonostante i modulari siano i sintetizzatori più costosi in circolazione, stanno piano piano diventando più accessibili e in un certo senso tornando in auge: si pensi al Roland System-1m o al Moog Mother-32, per citarne due, molto apprezzati, usciti proprio quest’anno.
Paolo Castelluccio