L’otto gennaio, sua data di nascita, David Robert Jones – questo il vero nome di David Bowie – ha pubblicato il suo ultimo album, ‘”Blackstar“. Un album che presagiva la morte del Duca Bianco, in special modo il brano ‘Lazarus’ con il suo video, non più tanto enigmatico, quanto inquietante. Sapeva che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto, il suo testamento, che ci avrebbe lasciato su questa terra tornando da dove fosse venuto, ed anche qui la sua teatralità centra come al solito i nostri cuori.
Se ne va così, quello che per molti è stato un vero mito e punto di riferimento di 5 decenni di arte, non solo musicale.
L’annuncio sul suo profilo ufficiale Twitter e Facebook: “Dopo 18 mesi di lotta contro il cancro se ne è andato serenamente, circondato dalla sua famiglia“.
Chiacchierato, criticato, truccato, idolatrato; innovativo, teatrale, ribelle, ambiguo, artista libero!
Libero dai pregiudizi di una società che in 5 decenni ha saputo più condannare che celebrare i successi che coronano la nostra vita, in quanto nati esseri liberi. Ed è stata questa la sfida che Bowie ha sempre vinto contro questa società, schiacciandola con ogni provocazione, ogni volta che si è esibito su un palcoscenico, in ognuno dei suoi 50 e passa album prodotti, in ogni semplice foto e cover album che ci ha mostrato la sua poliedricità, la sua fantasia, il suo spirito ribelle.
Sono gli anni che chiudono il 1970 e aprono i famigerati anni ’80 quelli più produttivi e fortemente influenzati per Bowie dalle sonorità elettroniche dei Kraftwerk e dai Neu!, quelli nei quali si era ripulito da tutta la coca consumata (forse), e non a caso gli anni in cui la trilogia composta da Lp come Low, Heroes e Lodger era stata prodotta a Berlino, città che accolse il suo essere in modo totale. Gli anni ‘80 sono stati così fortemente ricchi di avvenimenti storici e sociali, contrastanti spesso fra loro, di tono a volte drammatico a volte gioioso, che sembrano definire un percorso frastagliato, difficilmente interpretabile secondo un’unica chiave di lettura, ma che Bowie ha saputo plasmare a sua immagine e somiglianza. Il tubo catodico offriva al pubblico una miriade di canali coi quali essere intrattenuti per essere trattenuti, Bowie no, Bowie intratteneva per rendere liberi.
La musica, la droga, i free party, il muro e lo ‘zoo’ di Berlino, erano il contesto nel quale dar vita e reinventare un personaggio che, anche nel male (ricordiamo le molteplici accuse verso Bowie di atteggiamenti nazi-fascisti che lui autoimputò alla sua dipendenza dalla cocaina dell’epoca e all’immedesimazione eccessiva nel personaggio del “Duca Bianco”, ai quali seguirono le sue scuse: «Ero fuori di testa, totalmente impazzito. Ero interessato principalmente alla mitologia; l’intera faccenda su Hitler e il totalitarismo; Avevo scoperto Re Artù».[Wikipedia]) ha saputo rendere epici.
Non celebriamo la sua morte, non inneggiamo alla sua vita, cerchiamo solo di dire grazie ad un essere assai speciale, per questo ci piace pensare che Bowie non sia morto, non ci abbia lasciato, ma sia semplicemente tornato da dove è venuto: lo spazio infinito.
Pier Paolo Iafrate