La storia di Fabrizio Rat: musica, ispirazioni e progetti; tutto raccontato dalle sue stesse parole tra le righe di quest’intervista.
Negli anni ci siamo abituati con una certa disinvoltura a quel tanto curioso ed emozionante binomio tra drum machines e strumenti che mai ti aspetteresti metterebbero facilmente piede di notte fonda tra quattro pareti scure; quegli stessi strumenti dominanti di capo opposto in scenografie orchestrali condite di abiti eleganti e sfarzose platee raffinate, per lo meno secondo una prima associazione immediata.
ITALIAN – ENGLISH
Con gli anni tuttavia, strani esperimenti sono venuti a compiersi: suoni e simbologie sottostanti hanno avuto modo di incontrarsi secondo ragioni e motivazioni tutt’altro che ipoteticamente casuali; principio era (e rimane) l’esplorazioni di nuove, chiamiamole, “equazioni musicali” che, partendo dall’una e dall’altra parte, insieme potessero ridare una nuova formula mai potuta indagare precedentemente.
Esempi di questo tipo sono innumerevoli e dilungarci in una completa e rappresentativa elencazione vorrebbe dire intraprendere un sentiero troppo dispersivo; qui ci basta ribadire che sempre un maggiori numero di artisti ha riconosciuto del validissimo potenziale (artistico prima ancora che musicale) nell’impresa, lasciandosi coinvolgere in progetti che ci piacerebbe definire sofisticatamente complessi.
Ma che succede quando una tale duo-dimensionalità sonora e concettuale allo stesso tempo, è concentrata nella mani di una sola persona? È probabile che a questo punto lo spettacolo complessivo, pur perdendo magari quella tipica e titanica soggezione scenica e teatrale (e neanche in via troppo definitiva), compensi questa sopraggiunta mancanza con alti coefficienti di dinamica intensità.
Fabrizio Rat è proprio questo: individuale vettore di un’ingegnata funzione tra Acid, Techno e grand piano; tutto rigorosamente in scorrimento davanti gli occhi.Partiamo da delle considerazioni di preliminare importanza, presupposto di ogni discussione da qui a venire: “Transforming grandpianos into synthetesizers by hand; techno, electronic”.
Come, quando e perché unire i due mondi?
Il pianoforte tradizionale mi aveva annoiato. Non mi era più possibile inventare con i codici che avevo imparato, la strada era tracciata, la strumento troppo conosciuto. Volevo trovare nel pianoforte quel rapporto tra casualità e controllo che succede quando smanetti un modulare, fai un nuovo patch, giri le rotelline di un sintetizzatore, e spesso il risultato è al di là di quello che cercavi.
E’ stato un concerto del grande Stefano Scodanibbio tanti anni fa che mi ha aperto il mondo: da solo con il suo contrabbasso, acustico, generava armoniche che arrivavano da ogni parte della sala, una vera e propria magia. Mi son detto che avrei dovuto lavorare in quella direzione con il mio pianoforte, e far sì che le note non suonassero più come le conoscevo, per poterci scoprire nuove relazioni. Ed ho trovato il gioco più divertente del mondo.
Lo abbiamo già accennato in Intro, ci piace ribadirlo anche qui con te: la tua è un’intelligentissima rilettura di una ritualità che abbiamo già saputo apprezzare negli anni e che sei riuscito ad estendere su un altro livello dall’identità assolutamente ben riconoscibile.
Cosa c’è dietro Fabrizio Rat? Quali forze, quali energie e quali motori?
Un amore sconfinato per il suono, per la potenza con cui riesce a trasportarci in altre dimensioni e fuggire i limiti della realtà. La ricerca dell’estremo, all’interno delle idee e del mondo dei suoni, di come far comunicare realtà apparentemente incompatibili.
La volontà di esplorare suoni acustici al microscopio, e di proiettarli su grandi sound system per poterli vedere in macro.
Un’enorme ammirazione per la purezza di un certo tipo di Techno, musica in cui il vero centro è il suono nel suo stato più puro e tutti gli altri parametri passano in secondo piano. Per questo motivo per me riesce ad avvicinarsi allo stato immateriale delle idee come nessun’altra musica.
La determinazione a concretizzare obiettivi impossibili.
“Difficile decretare chi sia veramente la macchina” è estratto di una tua brevissima discografia disponibile in rete. Da cosa deriva questa tua, dicasi benevolmente, Incertezza? Fino, o da quale punto in poi, sei tu a sentirti lo strumento? Nello specifico: strumento a servizio di chi/cosa?
Certe macchine per me sono una sorgente infinita di ispirazione, quello che posso imparare dalla loro logica, dai loro limiti, dalla loro struttura. Sono imperfette, come l’uomo, hanno delle regole ed una certa forma di rigore, e delle zone imprevedibili. Io voglio suonare come quelle macchine che adoro, mettermi al loro stesso piano, trasporre le loro imperfezioni attraverso la mia imperfezione umana, giocare con i loro ed i miei errori per aprire delle nuove porte.
Sicuramente sono io che le controllo, così come controllo le mie dita sul pianoforte, ma attraverso la ripetizione posso accedere ad un’altra dimensione, una specie di trance dove la fatica sparisce, ed il controllo non è più veramente necessario, perché basta seguire il flusso del suono e farsi guidare da lui, con un po’ di fortuna. Far arrivare lo stato ipnotico della mia mano alle persone che si muovono sul dancefloor è il vero obiettivo del mio live.
Possiamo immaginare il percorso accademico cui sei riconoscente della tua formazione “classica”, ma per quel che riguarda quella elettronica? Da dove sei partito?
In realtà per me le cose si sono sovrapposte molto presto. Ho cominciato il pianoforte da piccolissimo ma a 16 anni mi ritrovavo già a lavorare in studio a Torino come produttore di dance e frequentare allo stesso tempo il conservatorio, naturalmente nascondendo agli uni ed agli altri la mia doppia vita. L’adolescenza l’ho passata con campionatori, sintetizzatori, computer oltre che col pianoforte quindi per me la produzione elettronica non è affatto nuova, anche se per un breve periodo l’ho abbandonata.Quali sono state le maggiori difficoltà cui ti sei interfacciato quando hai intrapreso questo sentiero fusion? Quando il progetto era solo in porto, hai mai avuto paura di esser “frainteso”?
Non so cosa sia la paura quando ho una nuova idea, l’ossessione di realizzarla spazza via tutto.
Però questo mio nuovo live è nato veramente un po’ per caso, e non mi sono accorto del suo vero potenziale fino a quando non l’ho suonato per la prima volta dal vivo a Firenze per Fabbrica. La maggiore difficoltà è tecnica: dividersi in due per poter gestire il flusso musicale e mixare le macchine tra di loro con la mano sinistra, e con la destra continuare a suonare i pattern sul pianoforte perfettamente a tempo.
Per ogni sequenza di ostacoli, esiste un traguardo. Qual è stato quello che ricordi con maggiore emozione?
Quando sono riuscito a comprarmi una TR909…..
…parlando di soddisfazioni, raccontaci di “Technopiano EP”, tua ultima release prodotta Involve Records. Noi abbiamo avuto il piacere di apprezzarla in anteprima e ne possiamo certificare l’incredibile caratura!
Sono contento che vi sia piaciuto! L’EP è realizzato con piano, 909, 303 e l’immancabile Space Echo. Volevo esplorare una dimensione un po’ più Acid Techno, che era presente nel live ma non molto nelle produzioni, e quindi ho lavorato in questa direzione cercando dei punti d’incontro tra bassline e pattern di piano. I consigli di Regal sono stati molto preziosi in proposito
Cosa senti è andato evolvendosi in te da “La Machina“, il tuo primo lavoro rilasciato Optimo Trax? È passato qualche mese da quell’uscita, un lasso di tempo sufficiente a interiorizzare qualche nuova consapevolezza musicale ed artistica?
Sicuramente, è passato più di un anno ed il mio approccio alla produzione musicale cambiato drasticamente, anche grazie al live. L’Ep su Optimo era stato realizzato con molto overdubbing, pianoforti sovrapposti, e lavorato parecchio in daw, mentre nel nuovo EP ho manipolato le sorgenti sonore all’origine, cercando di trovare un suono più caldo ed analogico, ed utilizzare pochi elementi e ritmiche meno complesse, ma in cui ogni singolo suono avesse il suo peso.
Sei noto anche per la tua eccellente capacità di improvvisazione, viene da domandarti allora: Quanta improvvisazione c’è nel tuo operare “da produttore”? Per occasioni quali quella di Technopiano strutturi le tue mosse secondo un predeterminato piano, o lasci che il tutto si approssimi con spontaneità e naturalezza?
Quando comincio un nuovo pezzo deve sempre nascere per caso. Ho diverse tecniche per generare del materiale, in modo che io stesso possa sorprendermi e non fare quello che conosco già. Quando ne ho abbastanza poi però c’è bisogno di organizzarlo, a meno di non aver avuto fortuna e allora non si tocca più niente, può capitare.
Su un orizzonte medio-lungo, cos’altro ci consigli di aspettarci da te?
Nel medio termine un album a fine Giugno su Blackstrobe Records, l’etichetta di Arnaud Rebotini. Si chiama The Pianist ed ogni traccia è dedicata ad un grande pianista di musica classica, ma trattasi di Techno.
Nel lungo termine sto preparando tanta nuova musica ed un paio di nuove idee…
Consigli per l’ascolto: un brano, un album o un artista (o gruppo) cui ti senti indissolubilmente legato…
Un brano scoperto recentemente uscito su Spazio Disponibile di Modes, M51. E Submerged Metropolitan di Ø [Phase].
Grazie Fabrizio, a presto!
Grazie a voi.
ENGLISH VERSION
Over the past few years We got used with some confidence to that such exciting and curious combination between drum machines and musical instrument not so easly common to expect at deep night in a club; those same dominant tools in the opposite end, among orchestral scenery seasoned with elegant dresses and sumptuous refined platee, at least according to a first immediate association.
With the passing of time, however, stange experiments have come to fulfillment: the underlying sounds and symbols met each others according reasons and motivations anything but hypothetically random; it was (and remains) about the exploration of new, let’s call them, “musical equations” that, starting from each side, together could give back a new formula never investigated previously.
Examples of this type are numerous and listing all would mean to enter on a path too broad and dispersive; here We just reiterate that an increasing number of artists recognized the valuable potential of the thing and involved themself in projects that We would like to call sophisticatedly complex.
At this point, the question is: What happens when such sonorous and conceptual duo-dimensional prospectus is centered in the hands of just one person? The coefficients of dynamic and intensity get the performance to a higher level preserving that typical titanic and theatrical subjection.
Actually, that’s what Fabrizio Rat really is: an individual carrier of a structured function between Acid, Techno and Grand Piano in a frenetic state.Let’s start with some preliminary consideration, the fundamental assumption on any discussion from here to come: “Transforming grandpianos into synthetesizers by hand; techno, electronic”.
How, When and Why have you decided to unite these two worlds?
The ‘traditional’ way of playing the piano had bored me. It was not possible to really be creative with the codes and rules I learned, I knew the instrument too well and the path seemed to be already planned. I was looking for a balance between randomness and control, which happens for exemple when you play with modulars, turn the knobs of a synthesizer, and often the result is more interesting and surprising then what you planned.
It was a concert of Stefano Scodanibbio many years ago which opened up a new path for me: with his doublebass alone, no mics, he would generate harmonics coming from everywhere in the room, it was really magic. I thought that I had to move in that direction with my piano, to make notes sound differently from what I expected them to sound, working on harmonics, and discover new relations between them. And I’ve found the best game in the world!
Yours is such an intelligent reinterpretation of a ritual that we’ve already been able to appreciate over the years, you managed and extend it to a brand new level with an absolute recognizable identity.
What is behind Fabrizio Rat? What is the force, the energy and the engine?
An infinite love for sound and his power to make us travel into other dimensions where everything is possible, to places where you can escape the limits of reality. The will to push sounds and ideas beyond their boundaries, to put into communication musical worlds usually very far from each other. The exploration of acoustic sounds with a microscope, to project them on huge sound system to really observe their details. A big respect for a certain type of techno, where the purity of sound it’s the real centre, and all the other parameters of music are secondary. For this reason techno can approach the immaterial state of ideas as no other music to me. The determination to realize impossible goals.
“Hard to decree who really is the machine” is an extract from your brief discography available on the net. Where does this Uncertainty comes from? When’s the point where you really realise of being the instrument? And specifically: instrument at the service of who / what?
Some machines are to me an infinite source of inspiration. I can learn lots of things from their logic, limits, structure. They are not perfect, as the human being. They have rules but also zones of unpredictability. I want to play like these machines that I love, to translate their exactitude and imperfection with my human nature, to open up new paths, and play with our errors. I’m in control of them, as I control my fingers on the piano, but with the repetition process I can enter another dimension, a state of trance where the physical effort disappear, and control is not necessary any more, I just need to be carried away by sound, with a bit of luck. Projecting the hypnotic state of my hand on the people moving on the dance floor is the real objective of my live show.
It’s easy and intuitive to imagine where your “classic” training comes from? But what about the Electronic one? Where did you started?
Things were superposed at an early stage for me. I started piano really young but at 16 years old I was already working in studios in Turin as producer of dance music and at the same time studying at the musical academy piano and composition (hiding my ‘double life’ to each one).
I spent my teenage years with synthesizers, samplers, computers as well as with the piano. Electronic production is not at all something new to me, even though I abandoned it for a brief period of time.What were the biggest difficulties you interfaced when you embarked on this fusion route? Reffering to when the project was only in port, have you ever been afraid of being “misunderstood”?
When I have a new idea, the will (obsession) to transform it into reality is so strong that there’s no place for hesitation or doubts.
Nevertheless my new live was really born by chance, I didn’t realize its full potential until I played it live for the first time at Fabbrica in Florence.
The most difficult part of it is technical, to be able to split myself in 2: one half to handle the musical development, mixing the machines with the left hand, and the other half to play the patterns perfectly on time with my right hand.
For each sequence of obstacles, there is a achievement-line. What about the one that you still remember with more emotion…
When I’ve been finally able to buy a TR909…..
… talking about satisfaction, tell us a bit of “Technopiano EP”, your latest release produced by Involve Records. We had the pleasure to enjoy the full stream on preview and We all faced the incredible value!
Glad you liked it! The Ep is produced with prepared piano, 909 , 303 and lots of Space Echo. I wanted to develop more an acid colour, which was present in my live set but not really in my productions. So I worked in this direction looking for meeting points between basslines and piano’s patterns. Regal ’s advices in this direction have been really important.
What do you feel has evolved in you from “La Machina”, your first work issued by Optimo Trax? It’s been a few months since that, have you internalized some new musical and artistic awareness?
Yes, more then a year has passed, and my way to produce music changed a lot, thanks to the live as well. The EP on Optimo was done with lots of overdubbing and post production in daw, while in the new EP I modified the sound source at the origin. I tried to capture a warm and analogic colour, to use less elements and simplify rhythmic patterns.
You’re also well known for your excellent improvisational skills, that’s why We’re wondering: How much improvisation there’s in your role as producer? Is there any predetermined plan, or everything comes with spontaneity and naturalness?
A new track must always start by chance for me. I have different ways to generate material so that I will be surprised and I don’t do something which I already know. I play games until I recognize something with a musical potential. When the material generated is enough then it needs to be organized, unless I was really lucky and you I don’t need to touch it any more, it can happen.
On a medium-to-long horizon, what else we have to expect from you?
I have a new album coming out in June on Blackstrobe Records, the label by Arnaud Rebotini. It’s called The Pianist and every track is dedicated to a great classical music pianist, but it’s techno.
And for later on I am preparing lots on new music and a couple of new ideas…
Tips for listening: a song, an album and an artist (or group) you woul like to share with our readers…
A track I discovered recently by Modes, M51, on Spazio Disponibile. And Submerged Metropolitan by Ø [Phase].
Thank you Fabrizio, it’s been a pleasure!
Thanks to you!