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Nel perfetto mezzo tra una maniacale esplorazione del suono nelle sue sfaccettature più scientifiche e un’incantata esaltazione delle stesse, Stèv si tiene in piedi con la fascinosa maestria dei più esperti equilibristi. Oggi sarà proprio questa simmetria oggetto delle nostre divergenze.

Un po’ per naturale propensione, un po’ per critica virtù, siamo fondamentalmente portati a credere in una spontanea identità di Bellezza cullata da un’impostazione preliminare che – restia da una sterile scetticismo – nel suo ruolo di cornice riesce a tracciare i segni di un perimetro entro cui esista ancora l’intrinseco piacere di una ricerca protratta in diametrale, in lungo e in largo data già per assunta una tacita linea di partenza.
Ciò ovviamente va implicando un’imprescindibile coefficiente di errore, un bug che se inserito in questo schema analitico, tuttavia, si risolve senza nessuna esplicita disinfestazione ma operandosi in direzione di una risoluzione; concetto ben diverso dal primo non tanto nella sua etimologia quanto per pratica conseguenza.

Musicalmente, come si potrebbe effettivamente tradurre tutto questo? In primo luogo, potremmo affermare sia con la fiducia nei propri mezzi come in quelli di cui natura e tecnologia ci dispongono; in secondo, facendosi promotori di un’essenziale elaborazione di livello maggiormente coscienzioso, quel pizzico di sofisticatezza e sensibilità in più capace di elevare anche e soprattutto le consapevolezza comuni.

Lo scopo di MyZone nella sua breve esistenza fino ad ora non è stato altro che, per l’appunto, fare da vetrina ad immagini di questo tipo; anche in virtù della necessità sopracitata, ora che più mai si avverte l’esigenza di ripartire dal basso e riguadagnare quello spazio Mainstream saturo del nulla, in termini paradossali.

L’ennesimo tassello che oggi aggiungiamo alla collezione si chiama Stèv, nome che probabilmente a qualcuno di voi non risuonerà neanche troppo nuovo.
Stefano nasce in una cittadina di mare del centro Italia, natura da cui nessun arte-professante può veramente dichiararsi indifferente; nelle nostre lunghe chiacchierate ha usato spesso ribadire quel tono sognante ove “rifugia” sé stesso come produzioni e sessioni di studio.
Tuttavia, come è anche giusto che sia, non si può vivere (tanto meno far musica) di sola trascendenza: ecco che allora Stèv è sì un sognatore, un daydreamer, un romantico idealista; ma acuto nel non lasciarsi indietro l’importanza di una una padronanza pragmatica di quanto fino a poco prima solo suggestivo.
Porsi quale quel sapiente e pratico manipolatore del suono che effettivamente è, non può che aggiungere un’ulteriore marcia alla sua azione: vengono da loro composizioni complesse ricche di componente elettronica e digitale/analogica sotto la bandiera di un minimalismo che, nel pratico, minimal non è, anzi. Il Live di cui è secondo protagonista alla sola opera stessa, riflette nell’esatto ogni minuziosa rappresentazione presentata fino adesso palesandosi quale simmetrica ombra di un’ordinata identità.

Ad oggi, le sue performance non solo sono riconosciute tra i maggiori palchi italiani, ma sono arrivate anche alle lontanissime orecchie d’oltreoceano: il Further Future nell’aridissima Las Vegas e le quattro date in Giappone tra Osaka e Tokyo (Circus e 2.5D), sono state per ora le maggiori esperienze internazionali, occasioni che lo hanno visto condividere il palco con artisti non proprio primi arrivati quali Clap! Clap!, Four Tet, Nicolas JaarDaedelusAndy Stott, Telefon Tel Aviv, The PharcydeCaribou, Alex Banks.

Di release all’attivo ne contiamo veramente svariate, nella qui presente occasione ci piace ricordare di “Beyond Stolen Notes”, long player di 11 tracce rilasciato Loci Records e dal formidabilissimo successo, un’acclamazione replicata molto recentemente in occasione di “Broken Mamori”, anche quest’ultimo album accolto con incredibile entusiasmo dalla maggiore stampa internazionale. Se da un lato questo lavoro consacra nel piccolo la figura di Stèv, dall’altro segna anche la prima uscita del collettivo torinese Variables: una fucina culturale ed artistica dai valori di grande appeal cui Stefano si intitola ironicamente suo più convinto ambasciatore.

Artwork: Carola Demarchi
Video grafica: Cy Tone

Polistrumentismo, avanguardia e una sofisticata sensibilità creativa. C’è altro che Stèv userebbe per descrivere se stesso?

Sinceramente, in genere mi fa un po’ strano cercare di descrivermi da solo, ma sono contento dei termini che hai usato per connotarmi! Una delle definizioni che uso per inquadrare la mia musica è “Music For Daydreaming”, perchè, essendo io un sognatore, ho sempre voluto creare colonne sonore che potessero trasportare me e gli altri ascoltatori su un piano timidamente onirico, parallelo a quello sul quale si sviluppa la realtà. Inoltre aggiungo che sono un forte, appassionato ricercatore di musica underground, di cultura e lingua giapponese (e lingue in generale), di tecnologia, di natura ed, occasionalmente, longboarder… credo che un quadro completo dei miei interessi sia la cosa migliore che io possa fare, ma non penso che questo sia lo spazio giusto per approfondirli tutti.

Una delle più grandi sfide quando si fa di una ricerca minimalista la chiave di lettura della propria musica, è quella di impregnare di contenuto un box che per definizione contempli al suo interno il meno possibile. Quel “poco” intriso di una sapiente miscela di gusto e carattere. Come si può allora “oscillare tra future sounds e minimalismo strumentale” rimanendo fedeli a entrambi gli aspetti?

E’ da tanto che non mi viene posta una domanda riguardo al lato “minimalista” della mia musica. Diciamo che quella definizione è, secondo me, ascrivibile più alla parte “acustica” delle mie produzioni: mi piace l’idea di comporre melodie pulite e dirette, diciamo anche eleganti, che poi si immergano in un mare di dettagli “artificiali”. Per me ed il mio tipo di ricerca, è lì che si trova il giusto equilibrio tra timbriche acustiche ed elettroniche e credo che una partitura, così come il sound design di una particolare texture, non debbano essere sovraccaricati di abbellimenti inutili, ma solo di quelli che veramente fanno la differenza.   

…allo stesso modo, decodificare una “sognate razionalizzazione” artistica risuona ugualmente un ossimoro dalla non immediata parafrasi. Quelle di Stèv tuttavia, appaiono proprio quelle sonorità in discesa da una dimensione evanescente convinte di una loro manifestazione concreta e pragmatica. Qual è il processo che ti porta a dare espressione materiale di ciò che fino a non molto prima era solo un non meglio definito corpus? 

 Quando scrivo musica, non necessariamente parto facendomi guidare da un’ispirazione particolare. La maggior parte delle volte mi lascio trascinare dalla voglia di comporre ed inizio un brano. Quello che invece succede spesso è che, ad un certo punto, esso trovi una corrispondenza nella mia mente e che la faccia propria, diventando da quel momento in poi inevitabilmente connesso a quella sensazione, a quel ricordo nel quale si è riflesso una volta evoluto a sufficienza, andando, ovviamente, a condizionarne la creazione. Non è un modus operandi che ho scelto, semplicemente è quello che mi capita e mi piace molto, perché lo percepisco in maniera molto naturale, senza dover forzare l’ispirazione.