Direttamente dalla scuderia della migliore proposta Made In Italy; Francesco Azzone, alias KUMO, è il nuovo volto presentato questa settimana dalla rubrica.
Membro ad oggi di una delle migliori realtà discografiche italiane (“stay tuned!” cit.), ci ha regalato in anteprima un inedito di recentissima produzione.
Composer, architetto, grafico, a tratti anche ingegnere edile: la storia di KUMO, come già avrete capito, è ricca di sfumature. La sua esperienza musicale si consacra dal 2014 in poi con la co-fondazione – insieme all’amico HEDRA, di Kaleydowave: una piattaforma dal carattere tanto stravagante quando indubbiamente fascinoso. L’etichetta si presenta “semplicemente” come a polyhedral vision of art – una suggestione che, a opinione dell’autore di queste parole, non rende giustizia al vero coefficiente di bellezza di cui tutto il progetto è impregnato.
Con all’attivo 3 (+1) releases, tutte portate a termine nel medesimo anno da Gennaio fino a Marzo, Keleydowave rimanda sul serio ad un infinito immaginario di colori, suoni e soprattutto sensazioni.
“Compilation Vol.1” è una chicca musicale che si lascia apprezzare da sola brano dopo brano. Dentro c’è quasi di tutto: Lo-Fi, Cloud beats, Chillwave, Hip-Hop; lunghi arpeggi di Synths si accostano ad eteree scenografie Ambient senza che nulla non trovi spazio in una sua coerente contestualizzazione.
Tra gli artisti che vi hanno partecipato, spicca anche il nome di Glanko, una nostra vecchia e piacevolissima conoscenza. Giuseppe compare con ben tre produzioni: “Lex” è la prima, brano assolutamente coerente alle parole con cui già recensimmo il suo percorso settimane addietro, discorso diverso per “Reflections” e “Subkult”, prodotti fianco a fianco della Jungle Head italiana Lynch Kingsley, ed entrambi di una caratura stupefacente.
Le sinergie tra questi due artisti – uno forgiato dalla metalcore, l’altro dal footwork e dalla batteria sincopata (schiacciate play su “Time To Escape” e vi accorgerete di tutto il carico TEKLIFE), hanno fatto si che da un apparente humus di nosense sterile da qualunque affinità, uscissero fuori due brani di incredibile costruzione creativa. Ascoltare per credere.
Menzione di dovere chiaramente per le produzione proposte dalle stesse Heads dietro il progetto.
“Aethereal”, “Endless Moors” e, a quattro mani, “Koduko”, giocano tutte tra beat sintetici e caldi, aesthetic come direbbero gli anglosassoni, di quell’aurea incantata e sognante tra bpm lenti ed espressioni musicali Vapor-Chill.
Ma abbiamo solo incominciato…
A distanza di quasi una settimana esatta, Kaleydowave pubblicherà “Inochi EP”; 3 original mix prodotti dal nostro protagonista e altrettanti remix dell’omonima track a cura degli uomini del roaster Kaleydo: mentre i lavori di matrice Kumoniana si muovono su marcatissime appendici Brian Eno-simil radicando i piedi per una circonferenza ambient/sperimentale, Le Nonsense, HEDRA e Lynch, danno assoluto sfogo ai loro stili distintivi.
Il primo (che nell’occasione precedente si era reso artefice di incantevoli strumentali Hip-Hop – lì dove il carattere Cloud e Lo-fi dell’opera era in assoluto più predominante), reinterpreta il brano voltandosi a favore di una corrente meno “cassa-e-rullante” e molto più orchestrale; il secondo da il meglio di se lasciando che il tutto abbia una forte contaminazione electro; l’ultimo buca le casse inondando Inochi di un UK-flavor purissimo, in 6min e 30sec di remix transita dalla Liquid alla Jungle più funesta quasi fosse direttamente uscita da Moving Shadow.
L’arcobaleno Kaleidoscopico si chiuderà con l’ultimo contributo di Le Nonsense con l’album “Impressions From The Past”, LP che sembra uscito direttamente da qualche beatmaking session degli anni ’90. Se vi considerate fanatici del genere, avete trovato la vostra compagnia ideale negli uggiosi pomeriggi autunnali.
Poi, se è vero che “per ogni finestra che si chiude si apre contemporaneamente un portone”, andiamo a vedere cosa c’è dentro questa nuova cancellata.
Sono i primissime mesi 2016 e una nuova piattaforma sta vedendo la sua alba. Si chiama Arroyo e con la sua prima uscita, ARY001, da ulteriore scossone ad un allora panorama italiano già estremamente dinamico.
KUMO, HEDRA e Comb siglano questo three-tracks testimoni di una palpabile “deviazioni” musicale: termine che, non sta a significare chissà quale capovolgimento, ma uno specifico aggiustamento di rotta verso orizzonti che siano più univoci.
Nel cammino indipendente di Arroyo (cammino che non dovrebbe neanche risuonarvi troppo lontano contando che fu oggetto di sua mini-trattazione in occasione del primo contenuto MyZone mai pubblicato, quando ci ritrovammo a ripercorrere i passi di Harpitical e un veloce STOP tra le note di “Gata” – terza release della label – fu assolutamente obbligatorio) KUMO ha comunque rivestito un ruolo fondamentale.
A un anno esatto dalla prima pubblicazione; KUMO, Harptical ed HEDRA lavorano su ARY 1.0, una compilation di 7 tracce in free download a sigillare 12 mesi di grandissime soddisfazioni: l’intero lavoro ricalca un attitudine decisamente più elettronica, materiale pensato quasi apposta per il dancefloor. “Eleven”, “Reach Me” e “New Wave” hanno i sapori predominanti della Dance, della New-garage e della Future Bass; nel complesso, brani che lusingano piedi così come orecchie.
Quello che oggi ci regala in anteprima, è un brano che sembra quasi solcare l’anno kaleidoscopico ma con la stessa disinvoltura che ha caratterizzato il suo lavoro nell’ultimo periodo. Con “Sleeping Beauties” sembriamo rientrare tra i confini di un desiderio di ricerca e di sperimentazione – fuori quindi dai vincoli della pista; qualcosa che più da ballare, sia primariamente da ascoltare.
Nel circuito dell’elettronica indipendente, l’Italia sta vivendo un momento di incredibile fioritura. La proposta non solo è tanta, ma anche estremamente variegata: giovanissimi talenti dai campi musicali più disparati stanno convergendo tra sintetizzatori e drum machines arricchendo il sistema di incredibile vivacità creativa.
In tutto ciò, quali sono gli stimoli con cui interagisce un produttore emergente?
Gli stimoli provengono da un po’ tutto quello che ti gravita attorno; personalmente mi sono sempre ritrovato altamente influenzato dal contesto: un paesaggio, un viaggio, una visione, un concetto che prima di essere messo in musica passa dentro di me e viene interpretato secondo ciò che sento. Trovo molto stimolante prendere samples dai vecchi vinili di mio nonno, anche solo un piccolo suono messo dentro ad un sampler, poi trasformato in un pad. Oppure fare una bella passeggiata in riva al fiume registrando suoni.
Collaborare con altri artisti è un’esperienza altamente stimolante per me, come quella di immaginarsi il contesto in cui verrà suonata od ascoltata la musica che stai producendo.
Ho sperimentato anche una personalissima “camera anecoica” di stimoli in passato, cercando di non ascoltare niente di particolare e trovando ispirazione solo dai suoni che mi venivano in mente; sono nate delle tracce che nono sono ancora state pubblicate e che sono difficilmente incanalabili nei generi tradizionali della musica elettronica.
…per contro però, lo spettro di una possibile “saturazione” rimane pur sempre un’evenienza non poi così lontana. Il rischio che potremmo legittimamente aspettarci è un riciclo ingiustificato e insostenibile di idee tale da far perdere credibilità alla scena stessa. Avvolte, troppo frettolosamente si esalta in via molto esemplificata un generale carattere di “unicità” per ovviare al suddetto rischio, senza che vi sia però un più accurato approfondimento sulla qualità intrinseca del termine. Dalla tua esperienza, cosa vuol dire nel concreto essere originali? Dove si manifesta pragmaticamente quest’attribuzione?
“Essere originali” non è mai un obiettivo, bensì la naturale conseguenza del creare personali interpretazioni artistiche. Certo, può capitare di trovare due artisti molto simili, due anime affini, con la stessa sensibilità artistica nei confronti di una particolare tematica scelta, ma raramente si assiste nell’arte, quella vera, sofferta, amata, e a volte maledettamente perseguitante, a fenomeni di identicità.
Nella mia esperienza personale mi sono sentito dire che producevo cose troppo strane e troppo variegate, che dovevo invece concentrarmi su un unico genere per essere riconoscibile tra la gente. Io vorrei chiedere oggi a quelle persone, sono i generi musicali che creano gli artisti o gli artisti che creano i generi? O sono i critici musicali ad incanalare le varie tendenze e i caratteri ricorrenti di alcuni brani dentro ad una unica sorgente virtualmente creata con un nome sopra? Credo al “genere” quando descrive un movimento, un gruppo di artisti che di comune accordo in un determinato periodo storico, decidono di proporre una tematica attraverso modalità simili.
Personalmente creare è un bisogno quotidiano, come esprimere ciò che interpreto, tradurre ciò che vedo; presto poca attenzione ai generi o al target. Oppure ci penso intensamente e faccio una bella traccia house/techno perché voglio far ballare la gente. Insomma, faccio un po’ quello che voglio.
Appurato ciò, di quale formula si privilegia il tuo processo compositivo? È una questione di jam e da lì, intuizione per intuizione, dai organica struttura, lavori partendo da un pre-concept mentale o un mix di entrambe le cose?
Dipende, ci sono momenti in cui parto da un’idea, cerco di trasporla in suoni e la altero durante il processo finché il risultato non mi soddisfa. A volte invece sto due ore su un beat fatto con field recordings per poi archiviarlo nella mia libreria personale.
Sleeping beauties ad esempio è nata prendendo samples da un vecchio vinile di musica tradizionale giapponese e una 606 per il beat. Piccoli millesimi di secondo di sample messi in un sampler mandati in loop sono quasi tutti i pad della traccia, mentre piccoli secondi di campionamenti mandati in reverse e rielaborati sono gli altri strumenti.