Marc Rebillet si è esibito al Santeria Social Club di Milano lo scorso 15 di febbraio, confermandosi uno dei fenomeni più divertenti ed interessanti degli ultimi tempi.
Jazz:Re:Found in collaborazione con Anna Molly, una delle realtà in costante ascesa nel panorama musicale Milanese, hanno portato al Santeria Social Club di Milano Marc Rebillet.
Marc Rebillet è un’artista straordinario che ha raggiunto la fama grazie alla rete, mostrando al pubblico non quello che sa fare meglio, nel suo caso suonare il pianoforte (blues), ma una percentuale minima di quella maestria mescolata ad improvvisati lampi di genio che gli hanno permesso di rendersi subito virale ed unico. Grazie alle sue performance accompagnate dalla sua inseparabile loop station BOSS RC-505 e il midi controller Axiom, ha trovato la combinazione perfetta per fare di se stesso, una vera e propria opera d’arte.
Avevamo avuto modo di intervistarlo qualche settimana prima (leggi QUI) e quello che ci aveva colpito era il suo esporsi a noi in modo sincero, umile e atipicamente sarcastico. Ma è solo guardandolo dietro alla console che è possibile accorgersi del suo potenziale e di come Marc Rebillet sia un’artista in grado di manipolare le logiche che legano la console al pubblico che lo osserva. Sa cantare, imitare, suonare e muoversi sul palco con un atteggiamento e un’eleganza che sembrano arrivare dai personaggi più goffi dei telefilm americani anni ’80.
Ispirato dal musicista e comico Reggie Watts, il suo non prendersi sul serio vince, innova, esalta e piace a tutti i presenti nel teatro del Santeria Social Club. Il linguaggio che utilizza per comunicare alle persone le sue creazioni, genera dei guasti visivi e sonori paradossali. Estremizza la banalità di una parole, la unisce al suo linguaggio corporeo, alla musica e ci crea improvvisazioni Hip Hop, House Music o Funk; attraversando con ironia la semplicità del quotidiano, del sesso, della vita comune fino ad arrivare alla politica; in chiave completamente ironica e assurda.
Utilizzando l’ovvio di un vocabolo apparentemente insignificante, è in grado di trasfigurarlo e crearne qualcosa di musicalmente attuale e spassoso. Non stila un programma prima di esibirsi, ma fa in modo che la sua arte diventi un tutt’uno coi presenti e improvvisa attraverso una mimica corporea che riportano alla mente l’attore comico e regista americano Jerry Lewis. Si nutre dell’entusiasmo che genera sull’osservatore grazie ad un’insieme di fattori fondamentali: la sua musica e il suo modo di interagire con le parole, a volte fin troppo banali, ma popolari, e quindi vincenti.
“Credo che la performance rispecchi assolutamente il vero me, ma per lo show tutto è esagerato. Sensualità esagerata, aggressività esagerata, assurdità esagerata. Sono molto simile nella mia vita quotidiana, ma non vicino a quel livello. Nessuno vorrebbe uscire con me se fossi come nei video tutto il tempo.”
Aveva dichiarato durante la nostra intervista.
Marc ha una straordinaria ed innata capacità di spostare l’asticella invisibile che durante un’esibizione si genera tra artista e osservatore. Sbilancia gli equilibri e la porta esattamente al centro di tutto, generando così un’armonia simbiotica perfetta tra le parti. Ed è per questo che non è un’artista in console come ce ne sono molti, perché Marc ha la capacità di trasformare chi lo segue in arte, le pareti stesse della location che lo ospita in arte, quello che ha vissuto poco prima della performance in arte.
Ma non è solo genialità la sua, Marc Rebillet è una sferzata di aria fresca in un circuito monotono di proposte senza fantasia o di creatività forzata. È qualcosa di straordinario solo musicalmente? Forse no. È qualcosa di straordinario assistere a un’esibizione di Marc Rebillet? Assolutamente si!
Immaginatevi infatti un anonimo producer esibirsi immobile con le sue tracce, non divertirebbe molto probabilmente. Ma nel suo insieme chiuso di semplicità compositiva e teatralità, è quello che i grandi pensatori identificavano con l’affermazione “non fate dei capolavori, siate dei capolavori”. E lui inconsapevolmente si avvicina, in modo sicuramente più spensierato e superficiale, proprio a quegli artisti che fanno arte perché sono, arte.