Alessio Viggiano è oggi tra i giovani producer più interessanti del panorama underground europeo.
Alessio Viggiano è un nome che non poteva mancare nella rubrica Myzone. Tra gli artisti italiani della scena underground, in questo momento si è senza dubbio distinto per la capacità di aver percorso una strada di ricerca ed evoluzione.
La sua musica è frutto ed influenza delle sue esperienze e dei luoghi in cui ha vissuto. Un progetto a lungo termine che vede il suo compimento nell’ascolto e nell’ecletticità di un sound mai uguale a se stesso, pronto ad esplorare nuovi orizzonti.
Se le coordinate dell’house music e della minimal son stata la base di partenza per lo sviluppo della personalità artistica di Viggiano, il suo sound si è espresso in numerose sfaccettature.
Label come PIV, We R House Hedzup, Moan Recordings,Soul.On Records e Oge hanno segnato i momenti più importanti in questo cammino. Ma lasciamo la parola a colui che al meglio può raccontare questo viaggio all’interno dell’universo elettronico.
Ciao Alessio! Benvenuto su Parkett. Partirei dalle origini. Com’è iniziato l’interesse verso la musica elettronica e quali sono stati i primi ascolti che hanno influenzato il tuo modo di fare
musica?
Ciao Martina e un caloroso saluto a tutto il team di Parkett! La cultura del vinile appartiene alla mia famiglia. Trasmessa da mio padre, ex disc jockey di una radio locale. A casa, ovviamente, come ogni dj old school, non mancavano giradischi e vinili di tutti i generi, specialmente Italo Disco.
Spesso vedevo mio padre ascoltare musica in casa, fin quando non abbiamo iniziato per gioco a condividere lo stesso mixer. Una volta ragazzino, mi dilettavo a suonare nelle festicciole tra amici ed anno dopo anno mi sono ritrovato ad amare ciò che facevo fino a fare ciò che oggi mi rappresenta.
Gli artisti che hanno influenzato il mio sound, provenienti sempre dalla collezione di mio padre sono due: Giorgio Moroder e Tullio De Piscopo. Il primo, come tutti sappiamo, noto per l’uso dei sintetizzatori, che mi hanno da subito entusiasmato, il secondo noto per le sue abilità nel suonare la batteria. Oggi ascolto ancora i loro dischi per ispirarmi prima e/o durante i miei progetti.
Il tuo sound ha subito nel corso degli anni un’evoluzione piuttosto evidente. A che punto del processo evolutivo musicale è oggi Alessio Viggiano e come definiresti oggi il tuo sound?
Onestamente non saprei dirti a che punto è la mia evoluzione musicale. Mi piace sperimentare, cercare nuovi suoni, nuovi mood, restando sempre me stesso.
Credo che un fattore fondamentale sia l’introspezione. Bisogna sapere bene chi si vuole essere e lavorare affinché si venga riconosciuti per un sound identificativo. Non mi piace etichettare la mia musica e catalogarla in un genere preciso, lo vedo riduttivo.
Sicuramente alla base c’è un sound che spazia dall’house alla minimal, che però ho cercato di personalizzare il più possibile. Infatti uno dei feedback che ho ricevuto spesso, per fortuna, è proprio quello di essere riconosciuto per la mia impronta definita e non banale.
Spesso i dj che si avvicinano al tuo genere musicale continuano ancora oggi, nell’odierno mercato veloce e con tendenze nuove continue, a definire il tuo stile underground. Ma per
Alessio Viggiano, cosa significa essere underground e quali sono i limiti che questa definizione si porta addosso?
La parola Underground oggi viene associata a qualcosa che nessuno conosce realmente. Non è un stile di musica a farti definire in tale maniera, ne come ti vesti. Per quanto possa parlarne, significa sicuramente vivere dei contesti sociali e attivi di una cultura ben definita.
Quando si usa la parola underground legata alla musica, sembra quasi che si voglia allontanare ogni aspetto di diffusione della musica stessa. A volte è come se il miglior disco “underground” dell’artista “underground” debba esistere solo nella chiavetta di chi l’ha creato per accontentare chi di underground si riempie la bocca. Io credo che nella nostra scena, la musica è rimasta semplicemente più genuina.
Le influenze sono caratterizzate da incontri di varie arti e si spazia molto di più nella ricerca dello stile, proprio perché non si deve per forza rispettare i cliché che le major richiedono. Però c’è da dire anche che ognuno di noi artisti punta in alto, specialmente chi vive di questo.
È come scattare di livello in qualsiasi lavoro; una questione di vita insomma. Spesso quello che mi dispiace è sentire denigrare chi riesce a raggiungere livelli alti solo perché, per conseguenza, raggiunge anche un pò di fama.
Tornando al tuo modo di lavorare, oltre alla crescita dal punto di vista delle produzioni ti sei tolto diverse soddisfazioni anche a livello di selezione musicale. Cosa non può mancare durante i tuoi di set e quali sono gli artisti al momento che reputi più stimolanti?
Ma guarda ogni volta è un pò come improvvisare. Una jam session con il pubblico insomma. Sicuramente ascolto e seleziono a casa i dischi da portare con me, ma non mi piace andare in consolle e seguire un copione già scritto. Ritengo sia molto importante saper leggere la pista.
Infatti ogni volta mi ritrovo a cambiare radicalmente il set. Ci sono degli artisti che sicuramente al momento reputo tra i più stimolanti tra cui : Sweely, Youandewan, Gene On Earth, giusto per citarne alcuni. A mio modesto parere, ciò che li distingue è riuscire a creare trip melodici e groove coinvolgenti.
Hai suonato in numerosi contesti e situazioni diverse. Ma un traguardo importante è stato la tua residenza al party Deependance.Come descriveresti questa esperienza e come ti trovi con il dancefloor parigino?
Sono profondamente legato a questa città e a questo party, dove ho potuto esibirmi senza porre freno alla mia libertà di espressione dinanzi ad un pubblico fantastico in un atmosfera unica all’interno di stupende warehouse curate nei minimi dettagli. Più di tutto, ciò che mi ha sorpreso è stato vedere le persone dedicarsi completamente al party e alla musica creando un’intesa speciale.
In questi anni hai fondato la tua personale etichetta Meslow. Quali son i prossimi obiettivi e la direzione che la tua label intraprenderà?
Meslow è il progetto che nasce da me e il mio socio Akyra nel 2019, con l’obiettivo di tradurre la nostra ricerca musicale in un prodotto di qualità, efficace sul dancefloor e in qualsiasi situazione. Dopo anni di conoscenza e collaborazioni, abbiamo sentito l’esigenza di creare una label o meglio una famiglia in cui accogliere, artisti/amici, italiani ed internazionali di cui abbiamo più stima, sia a livello umano che sul piano musicale.
Ad oggi in un mare di musica è facile perdersi, ma quando si hanno dei solidi punti di riferimento, la strada da seguire è chiara. Per il futuro, vista la situazione, è complicato fare progetti, ci piacerebbe organizzare degli showcase invitando tutti gli artisti che hanno contribuito alle nostre release e continuare a stampare musica di spessore. Meslow diventerà anche un progetto duo a cui già stiamo lavorando (come già fatto in passato con i rispettivi AKA), per il resto… occhi e orecchie aperte!
Il Covid ha lasciato un segno molto forte sul clubbin’, chiudendo in tanti paesi tassativamente i club dallo scorso marzo. In Italia, a parte la piccola ripresa estiva, molti lamentano lo scarso supporto alla realtà. Come vedi lo stato di salute del clubbin’ in Italia, dopo questa crisi così drammatica?
Sicuramente lo scenario che stiamo vivendo accomuna tutti indistintamente dall’appartenenza geografica. Tantissime realtà ben note hanno dovuto adeguare la propria identità ai vari dpcm, vedi “Ca’ Incastrati After Caposile“, un progetto, tra i più belli d’Europa, dove ultimamente ho avuto il piacere di esibirmi, gestito da ragazzi coraggiosi, che hanno cercato in tutti i modi di non fermare la produzione dei loro eventi.
Altre realtà purtroppo sono state costrette a congelare o ad arrestare definitivamente le loro attività. Analizzando la scena con una lettura a ritroso, posso affermare che I club vivevano da anni in uno stato di totale inflazione, dividendo la scena tra realtà ben affermate ed altre improvvisate.
Alla ripartenza spero di trovare un nuovo spirito di appartenenza comune tra gli addetti ai lavori. Magari sfatando il dogma della club culture all’italiana, sorprendendoci tutti della creazione di sinergie tra i vari gruppi italiani, facendo rivivere quello che era lo spirito presente fino agli inizi degli anni 2000, quale tutti siamo affezionati con un sentimento di malinconia.
Spero soprattutto che ci sia un regolamento a livello governativo che tuteli la scena clubbing italiana riconoscendone l’importanza culturale ed economicamente produttiva. Auguro ai giovani ragazzi come noi di poter essere protagonisti della gestione e della nascita di club, proponendo una visione giovane ed innovativa dell’intero panorama legato alla night life.