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Paolo Tocci, sound designer e music programmer, prossimamente in line up al FRAC Festival, si presenta ai lettori di Parkett.

Paolo Tocci: la parabola ascendente di un artista che congiunge istinto creativo a maestria tecnica, dando vita a suggestive evocazioni; l’assolutizzazione del suono fino a renderlo fisico, concreto, palpabile. Una sensibilità raffinata che espande una ricerca profonda che dall’essenziale si muove verso l’esistenziale.

Tra gli impegni estivi di Paolo Tocci anche il Frac-Festival di Ricerca per le Arti Contemporanee, HOMETOWN EDITION, che il 5, 6, 7 agosto torna in Calabria per la sesta edizione. A tal proposito, abbiamo intervistato Paolo Tocci per presentare ai nostri lettori la sua visione artistica.

Ciao Paolo, benvenuto su Parkett! Il tuo lavoro si muove sul filo dell’immaterialità e dell’incorporeo, all’interno di metafore digitali e sonore che con perizia sottoponi ad un processo trasformativo tanto da renderlo tangibile, fino a trasformare l’idea in arte. Esiste, quindi un equilibrio tra spazio tecnico e slancio creativo?

Direi di sì, il mio approccio si basa sull’esplorazione costante di questo equilibrio di cui parli.

Questa condizione esiste ma va ricercata, interrogata e rimessa in discussione finché non percepisci che le due componenti stanno in equilibrio e il risultato è oggettivamente interessante. In realtà è un processo a volte un po’ complesso ma anche appagante e credo sia una delle cose che più mi interessa nella musica come pratica; la ricerca di metodi creativi nuovi che una volta scoperti e fatti propri, possono essere messi a disposizione dell’istinto.

L’eco-sostenibilità è una emergenza che ha un impatto culturale notevole; nella dimensione del tuo lavoro, questo concetto è più affine a un campo visivo o un campo sonoro?

Mmm… credo possa essere più affine al campo sonoro; magari posso ritrovare una connessione nel fatto che nei miei lavori sto cercando sempre di più di considerare il silenzio come elemento necessario che possa elevare il resto del contenuto e stimolare il mio orecchio verso la ricerca dell’essenziale.

In generale, penso che ci troviamo davanti ad un paradosso: il bello della musica è di essere la forma d’arte più trasversale e accessibile in assoluto; però proprio per questo, siamo arrivati ad abusare di questo suo potere fino al punto di trasformarci in ascoltatori passivi, ascoltando suoni che ci vengono somministrati senza sosta. Tutto questo, genera inquinamento soprattutto in termini digitali, che potrebbe essere ridotto se l’ascolto fosse un po’ più consapevole e dosato.

Quanto la definizione di Sound Designer, in questo momento, in cui linguaggio e tecnologia hanno raggiunto una eco-convivenza, rappresenta effettivamente il lavoro di sound designer? Il tuo approccio lavorativo oltrepassa l’etimologia del linguaggio?

Credo che la definizione sia piuttosto inclusiva e in realtà puoi essere un sound designer senza conoscere il nome di una nota. Non ho nulla contro. Per me fare questo lavoro significa essere in grado di aumentare immagini e momenti di vita con l’uso del suono. La tecnologia è il mio mezzo, ma non saprei dirti se il mio approccio oltrepassi la definizione, io cerco solo di farlo al meglio, creando contenuti che possano suscitare o rievocare le emozioni legate ad un momento speciale.

Sunnei, è il brand dell’interconnessione artistica. In un progetto, le cui prospettive estetiche sono ampie, rendere oggetto il suono inserendolo in uno spazio, rientra in una tua proiezione visionaria o rappresenta un naturale processo di concretizzazione?

Credo sia un mix tra le due cose, se parliamo ad esempio delle soundtrack per gli show (a cui amo lavorare per la quantità di emozioni che stanno dietro a un evento di questo tipo) è chiara la necessità di dover creare un suono che rifletta l’idea che sta dietro alla performance e alla collezione, ma di solito le tempistiche sono talmente ristrette da dover richiedere uno slancio poco razionale dove l’energia che arriva dai direttori creativi è carburante per la mia ispirazione.

Alla fine metto insieme tutto questo con la mia idea di come sarà lo show (di solito visualizzo nella mia testa le location dopo averle visitate preventivamente) e cerco di tirar fuori il contenuto sonoro migliore.

Sarai presente, al FRAC Festival che il 5-6-7 agosto si svolgerà nel cuore della Calabria, una terra per alcuni punti vista «incontaminata». Quale connessione può realizzarsi tra suggestivi echi storici-mitologici, luoghi di permanenze culturali antiche e la raffinatezza di suoni tecnologicamente elaborati e mutuati?

Il richiamo tra un certo tipo di estetica nella musica elettronica e luoghi incontaminati con un passato importante è naturale. Sono sicuro che l’atmosfera sarà magica. La Calabria è una terra difficile che conosco bene, una regione con enormi potenzialità.

La natura è incredibile e la sua forma la rende molto versatile. Sempre più di frequente sento di persone che decidono di fare cose belle ed investire il loro tempo in progetti culturali e imprenditoriali. Penso che il trend attuale di lasciare le città (o quanto meno di passarci meno tempo), insieme alle possibilità che il digitale offre al mondo del lavoro, potranno dare un’ulteriore spinta verso una consapevolezza nuova del valore di queste terre.

Cosa proporrai al FRAC festival di musica e di ricerca sulle arti contemporanee? Anticipaci qualcosa.

Farò due dj set nel primo giorno di festival insieme ad Ettore, amico di vecchia data oltre che uno dei migliori selector in circolazione. Dovremmo poterci esibire in più momenti e spaziare tra tempi e stili. La nostra intesa musicale è spontanea e il melting che verrà fuori, sono sicuro, sarà interessante!

Giulia Massara