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Cerchiamo di capire cosa sta succedendo e perché in queste ore non si parla d’altro che del Witchtek 2k22, il rave party svoltosi a Modena qualche giorno fa. Per andare più a fondo nella questione abbiamo intervistato Andrea Staid, docente universitario di Antropologia Culturale.

In questi giorni non si parla d’altro, il dibattito pubblico è stato completamente monopolizzato dall’evento del momento. Dalle più blasonate testate giornalistiche alle TV e radio nazionali, nei bar, nelle piazze, si discute solo di questo, del (momentaneo) nemico numero uno dello stato italiano, tanto da essere stato oggetto di un decreto legge lampo che lo colpisce duramente: il rave party di Modena.

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Un provvedimento che ha generato una norma palesemente scritta male perché troppo ondivaga, che lascia troppo spazio all’interpretazione, troppo indeterminata, fatta evidentemente in fretta e in furia, su cui è stato già detto di tutto e sulla quale gli stessi membri del governo si sono resi conto che forse hanno esagerato, rimandandola – in sede di conversione del parlamento – a una profonda riscrizione.

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Ma forse non avevamo bisogno di una nuova norma poiché,  così com’è stata scritta, entra in conflitto con diversi principi dell’ordinamento italiano, come il diritto a riunirsi e manifestare, e ha tutta l’aria di sembrare un ipertrofismo giudiziario: spacciare è già un reato, come invadere terreni e disturbare la quieta pubblica.

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Se pensiamo che nell’ultimo anno ci sono stati circa trenta grandi rave party, di cui più dei due terzi bloccati in anticipo, allora si può benissimo constatare l’esistenza dei mezzi per fermarli. Anche il rave di Modena grazie, e  questo va detto, al buon senso e all’operato ragionevole di forze dell’ordine, prefetto e sindaco, si è dissolto senza scontri in modo pacifico con l’area completamente ripulita una volta conclusosi.

(Codice Penale-art. 633)
                                     Art. 633. 
                    (In materia di:Invasione di terreni o edifici)

Ci teniamo però a ribadire che qui non siamo a favore dell’illegalità, ci sono delle criticità evidenti, come la pericolosità di alcuni luoghi scelti per i raduni, ma in un momento di crisi economica, energetica, climatica, lavorativa, con una guerra in corso e il problema Covid non ancora terminato, era così urgente cercare una normativa per contrastare un fenomeno sociale? Già ci sono leggi che combattono illeciti interni al fatto in esame.

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LaPresse

Uno dei punti più divisivi però, è la sanzione spropositata prevista, che pesca anche dal codice antimafia autorizzando, così com’è scritta, anche all’uso delle intercettazioni. Per giustificare il decreto sono stati impugnati altri ordinamenti europei, quasi a voler dire: “Siamo gli ultimi in europa contro i rave!”, i quali però, tranne i sei mesi previsti in Francia come estrema ratio in caso di comprovata pericolosità, prevedono sanzioni amministrative, sequestri e multe anche e giustamente salate (un articolo di SkyTg24 approfondisce questo tema), ma nessuno parla di 6 anni di reclusione previsti invece dalla legge italiana.

Una pena irragionevole se si pensa che reati come Atti di terrorismo con ordigni micidiali, Omissione di soccorso, Abbandono di minori, Adescamento di minorenni o Occultamento di cadavere ne prevedono meno.

Leggi anche: “Techno Forest: in Polonia c’è una foresta piantata dai raver”

Se volessimo davvero prendere come modello altri Paesi dell’Unione Europea però, potremmo guardare alla Germania, un esempio di come sia possibile trovare degli spunti per cercare di rendere legali i free party, che sono visti come una realtà remunerativa un po’ in tutto il Paese. La Germania inoltre è una nazione dove oltre ai rave si sta pensando di legalizzare anche la cannabis, uscendo dalle vecchie dinamiche proibizioniste che ci hanno reso schiavi per quasi un secolo.

Ma per comprendere appieno il fenomeno serve soprattutto capire cosa sia il movimento rave, e per farlo abbiamo raggiunto Andrea Staid, docente universitario di Antropologia Culturale e Visuale presso la Naba – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e di Antropologia Culturale presso l’Università statale di Genova, scrittore di diversi libri tradotti in Grecia, Germania, Spagna e Cina come “I dannati della metropoli” (Milieu 2014), “Gli arditi del popolo (Milieu 2015), “Abitare illegale” (Milieu 2017), “Contro la gerarchia e il dominio” (Meltemi 2018) e “Noi siamo natura Antropologia: l’ambiente tra vita e narrazione” (UTET 2022); il professore inoltre dirige per Meltemi la collana Biblioteca/Antropologia e collabora con diverse testate giornalistiche tra le quali Il Tascabile e Left.

Ad Andrea Staid abbiamo fatto alcune domande sul fenomeno dei rave party e non sono mancati  gli spunti di riflessione.

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Andrea Staid, docente universitario di Antropologia Culturale

Salve Professore e benvenuto su Parkett, ci può spiegare da che bisogno nasce questo fenomeno? I rave, i suoi riti, le sue cerimonie possono essere considerati, a suo avviso, un disagio sociale?

Ciao Nicola, diamoci del tu.

Dal mio punto di vista i rave sono dei rituali collettivi alla ricerca di divertimento e danza, liberazione dalla costrizione sociale ma anche della grande voglia di comunità e di spazi di condivisione non mercificati. Di fatto stiamo parlando di un movimento che nell’arco di un trentennio, ha forgiato nei circuiti underground generi musicali innovativi come jungle, grime, dubstep. Nonostante la natura utopica, questa cultura pirata, tra azione diretta, neotribalismo e cyberpunk, si è concretizzata in un crogiolo di istanze politico-esistenziali, unendo in una danza collettiva sognatori di comunità liberate, sperimentazione artistica, lotte per i diritti dei gay e lotte contro vertici [esempio, come i G8 e affini, ndr], come ci racconta molto bene Tobia D’Onofrio, nel suo Rave new world (Agenzia X, nuova edizione 2018) in cui raccoglie le testimonianze e gli spunti più interessanti degli studiosi e dei protagonisti a livello internazionale, offrendo al lettore un’inedita panoramica storica che include le numerose idee realizzate, i punti critici e le possibili prospettive di una importante controcultura.

Il disagio quello esistenziale c’è ma lo vedo come un grido di sopravvivenza necessario nella società iper individualista e consumista nella quale viviamo.

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Santeria Cubana (Photo/Javier Galeano)

Mentre, il concetto di ‘riappropriazione dello spazio’ quanto è importante? Mi spiego, (tralasciando gli atti vandalici) tramite l’occupazione illegale a volte vengono riavvivati spazi che altrimenti sarebbero morti, cosa ne pensi?

La tragedia sociale, politica ed economica è quella degli spazi abbandonati lasciati al degrado o alla speculazione. Ben vengano donne e uomini capaci di risignificarli e valorizzarli attraverso feste e momenti conflittuali capaci di immaginare altri modi di vivere tra lo spazio e il tempo. Donne e uomini che riprendono ciò che è loro negato, manifestano nella produzione di feste e zone temporaneamente liberate una grande capacità di costruire legami sociali con fini comuni, costruiscono quello che gli antropologi chiamano cultura e che sarebbe il mondo, costruito e non, delle relazioni tra persone e luoghi, la rete di reciprocità che tiene in piedi e spinge una società.

vedi anche: “Uno studio suggerisce che i rave aiutino ad unire le persone”

Quindi si può dire che è un fenomeno prettamente giovanile quello dei rave party, o non è così?

Assolutamente no, è un fenomeno che si muove tra generazioni differenti.

E nella storia dell’uomo quale ruolo ha svolto la danza libera, la musica, il riunirsi in insieme per pratiche che inducevano al cosiddetto stato di trance?

Questo è in punto fondamentale. L’essere umano da sempre crea rituali collettivi di danza, trance, stati alterati di coscienza, basti pensare al celebre lavoro di Margaret Mead e Gregory Beatson dance and trance in Bali, solo per citare uno dei classici dell’antropologia. Si può raggiungere lo stato di trance assumendo sostanze o solo ballando, sono tanti e differenti i rituali possibili per raggiungere stati di coscienza fuori dal razionale al quale siamo abituati. Nella mia esperienza personale possono tranquillamente avvenire senza sostanze all’interno di un bosco incontaminato o attraverso la letteratura. Ad ognuno il suo!

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Tarantismo

E allora sulla questione sostanze?

Sulla questione sostanze potremmo aggiungere un cappello introduttivo a un mio lungo lavoro di ricerca se vuoi.

Ci sono storie che nessuno racconta e molto spesso le cose non scritte e non dette sono quelle che riguardano la maggior parte delle persone. Di sostanze illegali se ne parla sempre in modo superficiale, soprattutto sui grandi media e troppo spesso la narrazione mainstream è più tossica delle sostanze vendute sul mercato illegale. L’antropologia del contemporaneo, le etnografie nelle zone grigie delle nostre metropoli ci aiutano a riorientarci e a capire meglio fenomeni nascosti sotto la coltre del perbenismo o peggio della malafede.

Nel mio lavoro su I dannati della metropoli (nuova edizione economica 2020, Milieu edizioni) cerco di capire meglio, grazie ai protagonisti spesso invisibili dei margini delle nostre città, come si alimenta la città illegale e come è labile quel confine che ci vogliono far credere monolitico tra città legale e illegale.
Sono convinto che esistono da sempre due città, una legale e l’altra illegale le cui frontiere si spostano a seconda delle epoche storiche e delle necessità economiche contingenti. Spesso gli abitanti di queste due città si sfiorano, interagiscono, confliggono. Sulle loro contaminazioni si costruisce il tessuto sociale. Quasi sempre gli abitanti della città oscura non hanno voce sui media ufficiali: sono un numero, una statistica o un titolo di giornale

Grazie per il suo apporto al dibattito e per la sua disponibilità, professore.

Grazie a voi.


ENGLISH VERSION

Hi Professor and welcome to Parkett, can you explain to us what need this phenomenon comes from? Can raves, its rites, its ceremonies be considered, in his opinion, a social hardship?

Hi Nicola, let’s be more friendly.

From my point of view, raves are collective rituals in search of fun and dance, liberation from social constraint but also the great desire for community and non-commodified sharing spaces. In fact, we are talking about a movement that over the span of thirty years has forged innovative musical genres in the underground circuits such as jungle, grime, dubstep. Despite its utopian nature, this pirate culture, between direct action, neotribalism and cyberpunk, has materialized in a melting pot of political-existential instances, uniting dreamers of liberated communities, artistic experimentation, struggles for gay rights and struggles in a collective dance. against vertices [example, such as the G8 and similar, ed], as Tobia D’Onofrio tells us very well, in his Rave new world (Agenzia X, new edition 2018) in which he collects the most interesting testimonies and ideas of scholars and of the protagonists at an international level, offering the reader an unprecedented historical overview that includes the numerous ideas realized, the critical points and the possible perspectives of an important counterculture.

The existential discomfort is there but I see it as a necessary survival cry in the hyper individualistic and consumerist society in which we live.

While, how important is the concept of ‘re-appropriation of space’? I mean, (leaving aside the vandalism) through illegal occupation sometimes spaces that would otherwise have died are revived, what do you think?

The social, political and economic tragedy is that of abandoned spaces left to decay or speculation. Men and women who are able to re-signify and enhance them are welcome through parties and conflicting moments capable of imagining other ways of living between space and time. Women and men who take up what is denied them, manifest in the production of parties and temporarily liberated areas a great ability to build social bonds with common ends, they build what anthropologists call culture and which would be the world, built or not, of relationships between people and places, the network of reciprocity that supports and pushes a society.

So it can be said that rave party is a purely youth phenomenon, or isn’t it?

Absolutely not, it is a phenomenon that moves between different generations.

And in the history of man what role has free dance, music, coming together for practices that induced the so-called trance state played?

This is crucial. The human being has always created collective rituals of dance, trance, altered states of consciousness, just think of the famous work by Margaret Mead and Gregory Beatson dance and trance in Bali, just to mention one of the classics of anthropology. You can reach the state of trance by taking substances or just dancing, there are many and different possible rituals to reach states of consciousness outside the rational to which we are used. In my personal experience they can easily happen without substances in an uncontaminated forest or through literature. To each his own!

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So what about the drugs issue?

On the drugs, we could add an introductory hat to my long research work if you want.

There are stories that no one tells and very often the unspoken and unspoken things are the ones that affect most people. Illegal substances are always talked about in a superficial way, especially in the big media and too often the mainstream narrative is more toxic than the substances sold on the illegal market. The anthropology of the contemporary, the ethnographies in the gray areas of our metropolises help us to reorient ourselves and to better understand phenomena hidden under the blanket of respectability or worse, bad faith.

In my work on The Damned of the Metropolis (new economic edition 2020, Milieu edizioni) I try to understand better, thanks to the often invisible protagonists of the margins of our cities, how the illegal city is fed and how the border that they want us to believe is blurred monolithic between legal and illegal city.
I am convinced that there have always been two cities, one legal and the other illegal whose borders shift according to historical periods and contingent economic needs. Often the inhabitants of these two cities touch, interact, conflict. The social fabric is built on their contamination. Almost always the inhabitants of the dark city have no voice in the official media: they are a number, a statistic or a newspaper headline

Thank you for your contribution to the debate and for your availability, Professor.

Thanks to you.