Electronic Generations di Carl Cox è stato pubblicato da poco più di una settimana. Un lavoro con basi solidissime, eppure non ha avuto la risonanza che ci sarebbe aspettati.
Non indignarti. Il nuovo album di Carl Cox è sicuramente uno dei progetti più validi che avrai ascoltato nell’arco di questa settimana. E sono convinto rimarrà tale anche nel prossimo futuro. È un disco eclettico, che racconta una carriera trentennale di un artista che ha veramente cambiato il modo di intendere la discoteca, in Italia e nel mondo – clicca qui per approfondire.
Il problema, dunque, non sta tanto in “Electronic Generations“, piuttosto nel contesto intorno al quale si inserisce questo disco: il mercato musicale.
Nel marzo del 2022 Spotify riportava il caricamento di (circa) un brano al secondo, per un totale di 60.000 canzoni nell’arco di una giornata. Pensate siano troppe? Bene: ad oggi Spotify ha superato (quasi) la soglia di 100.000 canzoni caricate in 24 ore.
È facilmente intuibile che in un mercato musicale (non quello italiano, ma quello internazionale) che viaggia su questi standard, alcuni progetti non ottengano la visibilità che gli spetta. Il consumatore medio non ha materialmente il tempo per ascoltare e interiorizzare un progetto. Qual è quindi l’elemento che discrimina un buon album da una delle tante uscite giornaliere? Semplicemente, il tempo. Questo è il contesto, ma ora vediamo dove si colloca Carl Cox in questo marasma (sconfinato!) di pubblicazioni.
Cosa rappresenta Electronic Generations nella carriera di Carl Cox?
Parlare di “Three Deck Wizzard” non è mai semplice. Se aggiungi che pubblica un nuovo album (ufficiale) ogni dieci anni – letteralmente – allora valutare criticamente un suo lavoro diventa veramente difficile. Fermiamoci un attimo. Molti di voi potrebbero pensare che si stia scrivendo a braccio: d’altra parte il dj originario di Carshalton dal 2011 – anni di pubblicazione di “All Roads Lead To The Dancefloor ” – non si è fermato un attimo. Ogni anno ha pubblicato compilation, singoli o progetti di altro tipo che palesavano la sua presenza all’interno della scena musicale elettronica.
Facciamo dunque un ripasso di che cosa rappresenti un disco in studio – o “ufficiale”. Se l’EP, una compilation o, banalmente, un singolo viene rilasciato (anche) come strumento di promozione per mantenere l’attenzione su un determinato perfermer, l’album manifesta la volontà di esprimere un’idea più ampia da parte dello stesso artista. C’è una narrativa più articolata: si parte dall’ideare una storia, per poi cercare di svilupparla attraverso brani realizzati ad hoc. Tutto parte da un concept e il resto si sviluppa attorno.
La grande differenza tra un “disco in studio” e l’EP parte da una questione di lunghezza. L’EP, o Extended Play, ha una durata compresa tra i 20 e i 30 minuti: capite bene che, soprattutto nella musica elettronica in cui la durata media di un brano è di circa 8 minuti, si tratta di un tempo piuttosto risicato per esprimere delle idee di ampio respiro.
Attenzione! Non vogliamo intendere che l’EP sia privo di idee, anzi, tutt’altro. Sono diversi gli EP che hanno segnato la storia della musica elettronica: penso a “Everybody needs a 303” di Fatboy Slim o al famoso “Move Your Body” di Marshall Jefferson contenuto in “The House Music Anthem“, di fatto un EP.
Tornando al nocciolo della questione, “Electronic Generations” ha un valore importantissimo all’interno della discografia dell’artista, infatti, dopo un silenzio – anche piuttosto lungo considerati gli standard odierni – ha deciso di proporre un lavoro corposo, identitario e che fosse in grado di rappresentare un’ulteriore evoluzione della sua musica. Ci è riuscito? Lo scopriamo tra un attimo.
Carl Cox riporta l’attenzione sulla musica
Fughiamo ogni dubbio: “Electronic Generations” è un disco che vi stupirà sopra ogni aspettativa. Dal primo momento capirete che l’intenzione del Dj è quello di proporre musica di qualità, fatta secondo i crismi di chi esperienza ne ha da vendere – e ci riesce eccome. Partiamo da alcune dichiarazioni di Carl Cox:
“Mi sento molto fortunato ad avere l’opportunità di condividere questo album. Come artista ho avuto modo di suonare in giro per il mondo e di vedere persone godersi l’esperienza dell’essere insieme e danzare. Ho unito tutti gli elementi che ho acquisito, aggiungendo il mio sound, cercando di portare al pubblico una vera esperienza di musica elettronica.”
(Carl Cox)
Quello che ci aspetta infatti non è un viaggio lineare. La stessa suddivisione in due dischi è una sorta di omaggio allo sviluppo della musica elettronica. Se nel primo disco abbiamo un unico autore/narratore – Carl Cox – nella seconda parte figurano tante versioni remix che danno spazio ad artisti come Fatboy Slim, Dan Diamond, Riton, Chase & Status, Franky Wah o LF System. “Electronic Generations” riesce in qualcosa di importante: offrire combinazioni che lasciano intravedere sfumature musicali inedite anche per la carriera di un Dj come “Three Deck Wizzard“. E già questo dovrebbe bastare per considerare l’album un grande passo in avanti nella carriera di Carl Cox.
Esperienza e Analogico
Chiunque abbia già avuto modo di ascoltare l’album si sarà accorto di quanto il suono risulti caldo. Ciò è dovuto dal quasi totale utilizzo di macchine analogiche. Ma soffermarsi sul lato squisitamente tecnico non renderebbe giustizia ad un disco come questo.
La forza di “Electronic Generations” è il riuscire a canalizzare in un comparto unico tutto ciò che la musica elettronica di stampo britannico ha saputo regalarci negli anni. Non è un caso infatti che gli artisti coinvolti siano tutti di “scuola anglofona”.
Mettendo in play si viene completamente travolti da sonorità mai banali, pur rimanendo classiche nel loro proporsi: ad alternarsi abbiamo line di basso di stampo acid, il classico kick da banger di gusto techno, le influenze raw e le linee melodiche industrial tipiche di Birmingham – e non solo.
Quello che emerge è tutta la versatilità di un artista che, con sapienza, alterna stili differenti modificando toni e ritmi, passano dai momenti più frenetici a quelli più “polished” e definiti – basta pensare al brano “Keep The Pressure On” e al successivo “Get After It“.
È un istant classic della musica elettronica?
“Electronic Generations” non è un istant classic. E probabilmente non lo vuole nemmeno essere. Il problema però non è tanto legato al disco in sé, quanto piuttosto all’intero meccanismo in cui questo album si inserisce, overo l’industria discografica. Qui l’offerta – ovvero la musica pubblicata settimanalmente – supera (di molto) la domanda – la disponibilità dei più di usufruire di questo prodotto. È una legge economica: se l’offerta è molto superiore alla domanda, il valore del prodotto, per forza di cose, diminuisce.
Quello di cui siamo sicuri è che questo disco verrà valutato nel tempo: nel 2022 produrre “un buon disco” significa realizzare un prodotto musicale che a distanza di mesi riesce ad avere ancora appeal e a risultare interessante (anche) per il vasto pubblico. “Electronic Generations” crediamo sia proprio questo: un disco che con il passare del tempo darà il meglio di sé.
Non è un instant classic per la musica elettronica. Ma lo è certamente nella carriera dell’artista inglese. In una frase? “Electronic Generations” è la perfetta chiosa di un libro lungo trent’anni titolato Carl Cox.