BLUEM, cantautrice sarda di base a Londra che unisce elettronica e musica d’autore, è ospite di Parkett in occasione della sua prossima performance al festival Spring Attitude.
BLUEM è il nome d’arte di Chiara Floris, una giovane artista con le idee molto decise. Classe ’95, la produttrice nata in Sardegna si trasferisce nel 2014 a Londra dove studia musica e dove fortifica il suo linguaggio musicale. Un linguaggio in cui modernità e tradizione dialogano costantemente, teso a una ricerca introspettiva faticosa.
Ogni lavoro di BLUEM è uno scatto sul presente, in continuo mutamento. Fotografie musicali che tracciano il desiderio di libertà, la consapevolezza del proprio trascorso come trampolino per un tuffo verso il futuro.
BLUEM ha la Spring Attitude, quell’entusiasmo puro e genuino verso un mondo che non smette di contemplare e di scavare. Con la fame della musicista, con l’anima della poetessa e soprattutto con una buona dose di fragilità femminile. Onesta e dritta come il suo ultimo lavoro “Nou”. Ne abbiamo parlato con lei, buona lettura!

Buongiorno BLUEM, benvenuta su Parkett, è un piacere averti come nostra ospite. Vorrei iniziare questa chiacchierata partendo dal prossimo live che ti vedrà sul prestigioso palco di Spring Attitude. Cosa ti aspetti da questa esperienza e che tipo di performance dovremo aspettarci?
Sono molto contenta di suonare a Roma e soprattutto in occasione dello Spring Attitude, è da tanto che non faccio una performance là e sto cercando, in mezzo al chaos, di portare qualcosa di speciale. Porterò il live in full band come ho fatto sempre quest’estate, ma ci saranno delle leggere variazioni che saranno anche delle anticipazioni di qualcosa che annuncerò più avanti. Mi aspetto di divertirmi ovviamente, e spero che sia così anche per chi sarà dall’altra parte.
Nel tuo modo di concepire e rappresentare la musica, ogni melodia e ogni pezzo si ricollega a un immaginario che delinei tra mito e leggende, in riferimenti culturali che ti appartengono nel profondo e che riesci a elaborare in maniera sempre personale tramite il tuo vissuto. Qual è il processo che governa la concretizzazione in musica delle tue ispirazioni e delle tue visioni BLUEM?
Difficile dirlo, perché è un processo in continua mutazione ed avviene in maniera molto diversa a seconda del brano. Ci sono brani in cui magari inizio dalla produzione, e quindi proprio dalla parte musicale, ed in base alle sensazioni che mi trasmette quel qualcosa che ho creato istintivamente vado a cercare le parole, in un’esperienza personale a volte ma nel caso di “nou” molto spesso in una leggenda o una storia antica. Altre volte sono talmente appassionata alla storia o al personaggio, come nel caso di “Creusa” e “Sula”, brani di apertura e chiusura del disco, che faccio un lavoro su misura. I riferimenti culturali che scelgo sono sempre cose con cui ho un rapporto diretto o che sento mi rappresentino molto in quel momento, quindi conciliare me con i personaggi che cito è molto semplice perché a livello personale magari sto utilizzando la loro storia per imparare qualcosa di me stessa.
La Sardegna è la tua terra, il centro della tua narrazione nonostante tu viva a Londra. Questo sguardo da lontano e non più da persona che la vive quotidianamente che punto di vista ti ha dato per poter raccontare la tua terra?
La Sardegna non è realmente il centro della mia narrazione, ci sono tanti aspetti diversi nel mio progetto, basti pensare che se non fossi vissuta a Londra per nove anni probabilmente non avrebbe proprio mai preso forma, o sarebbe totalmente diverso. La mia terra però è sicuramente un luogo in cui mi piace spesso ambientare la narrazione all’interno del progetto. È incredibilmente affascinante ed è anche un posto con cui ho un legame viscerale, al contrario di Londra con cui ho dovuto costruire un rapporto spesso con grande difficoltà. Andarmene è servito a rendermi conto di quanto fossi stata fortunata a nascere e crescere in un posto così grandioso e unico. Poter attingere alla ricchezza culturale sarda per me è sempre un grande privilegio.
“Nou” significa nuovo e racconta questo legame perfettamente bilanciato tra la natura bucolica nostalgica della Sardegna e i ritmi elettronici inglesi. Cosa significa per te fare qualcosa di nuovo in un’epoca in continuo mutamento come la nostra dove la sperimentazione viaggia su binari sempre più veloci?
Non lo so, non so esiste la possibilità di fare qualcosa di nuovo. Per me è un termine che è legato alla ricerca. Il fatto che stiamo vivendo un momento così caotico però rende la ricerca stessa molto difficile. Accumuliamo talmente tante informazioni passivamente che, almeno io, trovo fare ricerca attivamente molto faticoso.
Spesso sento di non avere più le energie per concentrarmi perché vengono consumate da degli stimoli esterni che sono praticamente inevitabili. Vorrei avere meno mezzi, ecco, per conoscere nel profondo poche cose e poter poi trovare un nuovo modo di utilizzarle. Invece mi trovo ad avere accesso a tutto e quindi a non approfondire niente. In questo momento mi mancano un po’ i tempi in cui ero bambina e avevo un maestro come mentore, quando studiavo la chitarra classica. In questo senso però “nou” è il frutto di un’epoca in continuo mutamento e quindi forse è più contemporaneo, ed è giusto che un progetto creativo che rimane nel tempo rappresenti il tempo in cui è stato creato. Forse il prossimo rappresenterà invece il bisogno di una figlia di quest’epoca di fermarsi.
La leggenda delle donne di Janas è uno dei più interessanti riferimenti del tuo album. Ti va BLUEM di raccontarci in che modo questa leggenda della tradizione sarda ha influenzato il tuo album e quale sia la figura della donna che si delinea attraverso la tua musica?
Ho scelto la leggenda delle Janas perché è una delle più conosciute della tradizione sarda e anche di quelle con più varianti probabilmente. Queste piccole donne che abitavano parte della Sardegna secondo la tradizione rappresentano molto bene il popolo sardo. La storia narra che passassero le loro giornate a lavorare l’oro in filigrana e che uscissero la sera nei paesi vicini, indossando i propri gioielli, per incontrare gli umani.
Se incontravano persone oneste, le portavano nelle loro case (domus de janas), mostravano i loro lavori, le premiavano. Se qualcuno cercava di rubare da loro invece veniva punito e perseguitato da una maledizione. Dico che rappresentano il popolo sardo perché noi siamo caratterizzati da una diffidenza e chiusura iniziale nei confronti degli altri, e diventiamo poi estremamente generosi nel momento in cui qualcuno merita la nostra fiducia, ma anche estremamente duri e vendicativi se veniamo ingannati. Penso che questo valga a prescindere dal genere, ma “nou” in generale è sicuramente caratterizzato da un’energia femminile potente e anticonformista.
La Sardegna ha alle spalle, rispetto al resto d’Italia una storia matriarcale importante, in cui si il maschilismo è stato difficile da abbattere ma in cui il ruolo della donna rispetto ad altre società è sempre stato centrale nelle dinamiche familiari. Questo aspetto è stato importante nella tua storia? Cosa pensi che oggi specialmente nella scena elettronica manchi per avere una reale parità di genere?
Si, è stato importante sicuramente. Per quanto abbia avuto e abbia tutt’ora figure maschili molto importanti nella mia crescita, le donne della mia famiglia sono state l’influenza più grande. Il mio carattere, che non si può definire proprio un carattere semplice, mi è sicuramente stato trasmesso dalle donne con cui sono cresciuta. Le mie nonne, mia madre, le mie zie, tutte donne incredibili ed incontrollabili.
Ad oggi penso che manchino ancora molte donne che prendano le redini del proprio progetto e non si appoggino a un uomo. Ci sono, e stanno venendo fuori, ma servirà più tempo perché pareggino il numero di uomini che fa parte di quella scena. Noto spesso che l’atteggiamento degli uomini di questo settore, anche inconsapevolmente, è di approcciare qualunque progetto femminile come il progetto di un’interprete, o al massimo di una cantautrice.
C’è bisogno di sentire più energia femminile dietro la produzione, più visione e direzione creativa femminile, nel pop, nell’elettronica, ovunque. Dobbiamo tirare fuori un briciolo di quella presunzione che gli uomini che fanno questo mestiere ci sbattono in faccia ogni giorno da sempre.
“Adele” è una traccia che mi ha colpito nel profondo. Come sei arrivata ad un pezzo strumentale così nostalgico e quando hai deciso di togliere la parte cantata?
Tutto è iniziato quando Antonio Marras ha deciso di utilizzare “VENERDÌ”, dal mio album “NOTTE”, come brano di chiusura del corto della sua sfilata ambientata nelle terre sarde colpite dagli incendi. Il resto delle musiche di quel corto era stato composto da Adele Madau, a cui ho anche appunto dedicato il titolo del brano.
C’era una parte di quella composizione che non riuscivo a togliermi dalla testa, quindi ho chiesto ad Adele di campionarlo. Lei è stata gentilissima e disponibile, ha guardato quella sua composizione trasformarsi nel mio brano con grande fascino ed apertura. Ho lavorato al brano con Bawrut che ha dovuto portare molta pazienza soprattutto perché continuavo ad essere indecisa proprio sulla questione voci. Ad un certo punto ho accettato che era un brano strumentale e che, come era stato pensato, bisognava lasciare il rilievo a quei campionamenti che mi avevano appassionata tanto.
“NOTTE” invece racconta un po’ un grande mito per gli artisti ovvero il valore creativo della notte come momento di scrittura e di introspezione. Come nasce questo brano e riesci nonostante il successo specialmente dell’ultimo anno a creare la tua musica in tranquillità liberandoti da ogni tipo di pressione che il mondo discografico spesso impone?
“NOTTE” è quello che io ormai definisco un momento irripetibile. L’esordio di un artista è cruciale perché appunto, quando attira l’attenzione, ti mette poi nelle condizioni di non poter più fare musica nel modo in cui l’avevi fatta fino a quel momento. Per me è stato molto traumatico. “NOTTE” era nato durante le sere di una settimana di ferie da un lavoro in ristorazione che mi stava soffocando. E’ nato nella camera di una casa popolare, con i mezzi più basici che si possano immaginare. C’era un’idea però e c’era una sensazione che aveva raggiunto il proprio culmine. L’ho criticato per tanto tempo, ora ci sono fortemente affezionata. Sto ancora cercando di capire come si vada avanti, e “nou” è sicuramente stato molto utile in questo.
Ciò che mi sentirei di dire però ad un artista emergente che sta facendo un esordio che ha ricevuto un buon riscontro, è di non affezionarsi troppo a quel periodo. Stiamo vivendo un momento in cui la gente cerca sempre stimoli nuovi, e un esordio, e il modo in cui si vive un esordio, insieme alla sensazioni che si provano per la prima volta, non dura per sempre. Bisogna abituarsi all’idea che è un momento di prime volte e che il fatto che poi ci si “abitui” a certe cose non toglie valore alla crescita che si sta portando avanti o alle fasi successive del proprio progetto creativo.
Quali sono i prossimi progetti in arrivo per BLUEM e i nuovi confini musicali che ti piacerebbe esplorare?
Sto lavorando a delle collaborazioni di cui sono molto felice, e ragionando su un progetto a lungo termine che però ancora è un miraggio. Non voglio dire troppo, anche perché non so, ma nonostante tutto sento ancora una forte esigenza di andare avanti e questa è la cosa più importante.