Il 22 febbraio è stata lanciata DJs Against Apartheid, una petizione che vede più di 500 DJ, produttori, collettivi e locali unire le proprie voci per condannare l’occupazione israeliana della Palestina.
Negli anni, il panorama della musica elettronica ha dimostrato di essere non solo uno spazio di espressione artistica ma anche un potente veicolo di resistenza e solidarietà. DJs Against Apartheid, affiancato da iniziative come Ravers for Palestine e Strike Germany, ha scosso le fondamenta del mondo dell’arte elettronica.
Una Sinergia di Voci contro l’Occupazione
La petizione è stata ideata in collaborazione con il collettivo Palestine Forever, per affrontare tematiche cruciali come l’occupazione israeliana e il genocidio in corso a Gaza. Oltre ai DJ che hanno firmato la dichiarazione, numerosi locali e promotori, tra cui nomi noti come dweller, Jupiter Disco e Bar Jade a New York, hanno unito le proprie forze in questa causa.
La dichiarazione, firmata da nomi di spicco come Logic1000, Nene H, AceMo, e molti altri, mette in luce la responsabilità degli artisti nel plasmare l’opinione pubblica e nella lotta per la liberazione. Nour Khalil, cofondatrice di Palestine Forever, ha sottolineato il significato di questa iniziativa più specifica rispetto ad altre, sottolineando il ruolo della musica dance come forma di resistenza:
“Per molti anni, Israele ha utilizzato la musica techno e l’ambiente queer come strumenti per normalizzare l’occupazione, promuovendo la sua capitale Tel Aviv come capitale gay e techno della regione. Stiamo riprendendo questi spazi come nostri.”
Artists Against Apartheid
Un aspetto chiave è il collegamento tra la petizione DJs Against Apartheid e la precedente iniziativa Artists Against Apartheid. Quest’ultima, nata per sensibilizzare su oltre 75 anni di occupazione e violenze, ha contribuito a creare un terreno fertile per l’attuale movimento più specifico legato alla musica dance. L’arte e la cultura diventano così strumenti di resistenza e consapevolezza, con gli artisti impegnati a utilizzare le proprie piattaforme per sfidare la disinformazione e sostenere la giusta causa del popolo palestinese.
Ravers for Palestine: Oltre i Confini della Musica
Parallelamente, il movimento Ravers for Palestine ha portato la sua voce al coro di proteste, coinvolgendo oltre 300 membri della scena musicale underground di Londra. L’organizzazione di eventi elettronici e la creazione di una lettera aperta, sottoscritta da più di 300 DJ, produttori, collettivi e locali, sono un segno tangibile di solidarietà con il popolo palestinese e di condanna delle azioni di Israele.
Questo collettivo, che si definisce orizzontale, coinvolge artisti, DJ e individui attivi nella scena musicale elettronica di Londra. La loro missione è di mettere in luce la solidarietà tra gli individui di questa comunità artistica e chiedere alle istituzioni dell’industria musicale di prendere posizione contro l’assedio di Gaza.
La lettera aperta rilasciata da Ravers for Palestine è un richiamo potente all’azione, sottolineando l’importanza critica dei luoghi legati alla musica elettronica come spazi di liberazione, resistenza e comunità, soprattutto per le persone queer e marginalizzate.
La lettera sottolinea l’urgente bisogno di azione, chiedendo alle organizzazioni e ai club londinesi di dichiarare pubblicamente la loro solidarietà con il popolo palestinese. Questo appello è accompagnato da un richiamo all’unità della comunità artistica, a rifiutare la partecipazione a spazi che ignorano la violenza del colonialismo e a utilizzare la loro voce e creatività per sostenere la giusta causa.
Il collettivo si erge come una voce significativa nella lotta contro l’ingiustizia e l’oppressione, sottolineando che la liberazione queer è strettamente intrecciata con la lotta globale contro l’imperialismo e il colonialismo.
Strike Germany: Uno Sciopero di Proporzioni Culturali
Da Berlino, un altro movimento, Strike Germany, ha avuto un impatto diretto sul territorio tedesco. Oltre 850 artisti e lavoratori del settore culturale, tra cui nomi sulla line-up come Jyoty, Manuka Honey e DJ Fuckoff, hanno annullato la loro partecipazione a molti eventi in segno di protesta contro le politiche repressive dello stato tedesco, accusato di limitare la libertà d’espressione degli enti culturali in relazione al conflitto israelo-palestinese.
DJsForPalestine
Mentre oggi la comunità artistica internazionale si unisce nel coro di proteste contro l’occupazione israeliana e il genocidio in corso, è cruciale riconoscere che il fermento di questa resistenza non è nuovo. Già nel 2018, artisti palestinesi facevano eco a questa chiamata all’azione attraverso la campagna #DJsForPalestine. Questa iniziativa, che chiedeva un boicottaggio culturale di Israele a causa delle persistenti violazioni dei diritti umani, ha anticipato il terribile scenario che oggi continua a sconvolgere la Palestina.
Le voci coraggiose di quegli artisti, che cinque anni fa denunciavano gli orrori della guerra, risuonano ancora oggi nella protesta contemporanea.
Una guerra che dura da oltre 75 anni
Il contesto storico che circonda l’iniziativa è fondamentale per comprendere l’urgenza e la necessità di unire le forze contro il genocidio in corso. La dichiarazione sottolinea gli eventi recenti, come la dichiarazione di “completo assedio” di Israele a Gaza il 9 ottobre, portando alla luce le atrocità compiute, con bombe sganciate su scuole e ospedali, condannate persino dalle Nazioni Unite. Il bilancio delle vittime è drammatico, con oltre 27.000 morti, tra cui quasi la metà sono bambini, e l’avvertimento dell’ONU di ulteriori perdite umane.
Call to Action
La petizione DJs Against Apartheid non è solo un atto simbolico ma un appello concreto all’azione. Gli artisti chiedono ai club e alle comunità di unirsi pubblicamente alla loro causa, rifiutando di partecipare a contesti che ignorano la violenza del colonialismo e che, allo stesso tempo, traggono profitto dalla creatività di musicisti provenienti da tutto il mondo.
Il coinvolgimento internazionale è evidente nei nomi di artisti che hanno sottoscritto la dichiarazione e la dimensione globale di questa iniziativa sottolinea come la comunità artistica stia convergendo, superando le barriere geografiche e culturali per combattere un’ingiustizia che va oltre i confini naziona
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