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In occasione dell’Ortigia Sound (1-4 Agosto) abbiamo incontrato Aho Ssan, moniker di Désiré Niamké, artista francese attivo nella scena elettronica sperimentale. Ecco la nostra intervista.

In collaborazione con l’Ortigia Sound, abbiamo avuto l’opportunità di chiacchierare con Aho Ssan, nome d’arte di Désiré Niamké, artista francese che sta lasciando il segno nella scena elettronica sperimentale. Il suo lavoro, che esplora la fusione di hip hop, glitch, ambient e grime con influenze dal mondo della filosofia e della letteratura, promette di offrire performance coinvolgenti e originali.

Aho Ssan condivide con noi le sue riflessioni sulla realtà distopica in cui viviamo, ci parla del suo ultimo album “Rhizomes”, uscito per la label Other People di Nicolas Jaar e ci racconta le storie mitiche di suo nonno musicista.

Ciao Désiré, benvenuto su Parkett Channel. Quali sono le tue sensazioni in vista dell’Ortigia Sound? Ci sono alcune performance a cui sei particolarmente interessato?

Ciao Martina, grazie! Sono davvero entusiasta, visto che è la mia prima volta all’Ortigia Sound e in Sicilia. Non vedo l’ora di vedere Antonina Nowacka, un’amica con cui ho suonato all’Unsound Festival di New York. Si esibirà proprio il giorno in cui arrivo, quindi è perfetto. Sono anche curioso di vedere David August—ho remixato una delle sue tracce, quindi sarà fantastico incontrarlo finalmente dal vivo e vedere il suo spettacolo con MFO, un altro buon amico.

L’anno scorso, ho assistito alla tua performance al Berlin Atonal con Sevi Iko Domochewski. È stata un’esperienza immersiva, con visual che sembravano ispirarsi dal mondo dei videogiochi. Puoi darci un piccolo spoiler sulla tua performance all’Ortigia Sound?

Non so ancora esattamente come sarà, perché adatto i miei set all’atmosfera del festival. Al momento, il mio scopo è creare un healing space/safe space durante le mie performance. Sarà un’esibizione solista, diversa dai miei set con Sevi, che sono più immersivi e travolgenti.

Ho riflettuto molto su come i nostri occhi si concentrino costantemente su schermi e immagini. Voglio che i miei “solo show” si focalizzino più sul suono, per garantire un’esperienza più intima.

Credit Photo: Helge Mundt

Ho letto che hai studiato matematica, fisica e informatica e che sei un artista autodidatta. Volevo chiederti se e come i tuoi studi in questi campi hanno influenzato la tua musica e il modo in cui la crei.

Direi di sì. Ho iniziato a fare musica mentre studiavo matematica, fisica e informatica, grazie a un amico che mi ha mostrato un software chiamato Max MSP. Ci sarà sicuramente una connessione.

Usare software come Max MSP per creare suoni significa lavorare con onde sinusoidali, che sono completamente basate su fisica e matematica. Il mio primo approccio alla musica è stato più scientifico che creativo.

Anche i miei studi in graphic design e cinema hanno influenzato il mio modo di fare musica. Dopo aver finito gli studi in cinema, ho iniziato a produrre con amici che erano ottimi ballerini. Anche se amo ancora il cinema, mi sono lanciato nella musica. Quindi, tutto è collegato, ma è difficile spiegare esattamente come.

La tua arte combina diverse discipline, come si è visto nella tua performance lo scorso anno al Berlin Atonal e nel tuo progetto con Kim Grano, illustratore della book release di Rhizomes. Hai altri progetti interdisciplinari in mente?

Sì, certamente. Ho realizzato alcuni video per il mio primo album e, per il secondo, ho collaborato con KMRU, ci siamo divertiti molto insieme. Ora voglio coinvolgere altre persone nel mio lavoro, come ho fatto con Rhizomes, invitando altri artisti a contribuire con le loro visioni.

Sto lavorando su installazioni musicali che offrono esperienze diverse e sono coinvolto in un progetto teatrale che debutterà a settembre. Anche se la musica è sempre al centro, mi piace muovermi in territori multidisciplinari.

Hai menzionato il tuo ultimo album Rhizomes. Il concetto di “rizoma” tratto dall’opera “Poétique de la Relation” di Édouard Glissant sembra starti a cuore. Un rizoma ha radici che si estendono in molte direzioni senza un inizio o una fine definiti. Quando crei e produci musica, come fai a sapere quando un progetto è finito? Il rizoma ha una fine?

Domanda difficile. Non so mai davvero quando è finito. Per Rhizomes, ho dovuto prestabilire una scadenza perché coinvolgeva molti artisti e ha richiesto molto tempo.

Dopo aver terminato l’album, abbiamo iniziato i live dove abbiamo suonato nuove versioni delle tracce. Anche ora, ho nuovi pezzi per le prossime performance che derivano dagli stessi patch su cui stavo lavorando.

L’album è finito per ora, ma i brani continuano a evolversi attraverso conversazioni e performance. È sempre in evoluzione.

Hai pubblicato Rhizomes sull’etichetta di Nicolas Jaar “Other People” e avete collaborato al pezzo “Le Tremblement”. Lavorare con lui e incontrarlo deve essere stata un’esperienza significativa. Nicolas Jaar ha influenzato la tua musica o carriera in qualche modo?

Assolutamente, Nicolas ha avuto una grande influenza su di me. Ero un suo fan prima ancora che collaborassimo, quindi essere amici e lavorare insieme ha sicuramente influenzato la mia musica. È difficile dire esattamente come ha cambiato la mia carriera, ma lavorare con Nicolas è stato certamente una pietra miliare.

L’ho conosciuto attraverso un progetto con l’Unsound Festival, dove abbiamo collaborato a una performance chiamata Weavings durante la pandemia. Circa tre anni fa. Io, Nicolas e molti altri artisti ci siamo esibiti online e dopo la fine della pandemia abbiamo riproposto il live in Polonia. Poi, l’intera performance è stata rilasciata come album.

Incontrare Nicolas e altri artisti attraverso questo progetto è stato un punto di svolta per me. Ho conosciuto persone che ammiro molto, come Resina e Angel Bat Dawid, ed è stato incredibile passare dal fare musica da solo nel mio piccolo studio a esibirsi dal vivo con artisti che ammiro.

Il modo in cui l’album suona e le opportunità che ha aperto sono direttamente legate al lavoro con lui. È uno dei migliori artisti che conosco.

Per Rhizomes hai collaborato con molti artisti, infatti nell’album è stata rilasciata solo una traccia senza featuring, “Tetsuo II”. È la tua traccia più intima perché unica solista?

Non direi. Anche se Tetsuo II è solista, non è stata pensata come la più intima. Penso che Away con Exsald S e Valentina Magaletti sia la traccia più personale, perché esplora temi più intimi e profondi. “Tetsuo II”, però, è uno dei miei pezzi preferiti dell’album e rappresenta una direzione artistica che voglio seguire.

Fondi molti generi nella tua musica—dubstep, grime, ambient, glitch, hip-hop e altro. Da dove viene questo desiderio di combinare diversi generi? Ci sono progetti o artisti specifici che ti ispirano?

Mescolare generi è qualcosa a cui tengo molto. Ci sono così tanti artisti che mi hanno influenzato, è difficile individuarne solo alcuni. Ad esempio, James Ginzburg di Empty Set è stato una grande ispirazione; la sua musica fa sentire il suono quasi fisico, come se ti avvolgesse.

La mia famiglia gioca un ruolo sicuramente importante. Mio nonno era appassionato di jazz e afrobeat, mentre i miei genitori ascoltavano musica cubana e free jazz. I miei fratelli erano appassionati di pop e rap. Crescere circondato da tutti questi stili ha reso naturale per me mescolarli nella mia musica.

Penso che sia importante continuare a evolversi e non restare bloccati in un solo genere o etichetta. Il mondo cambia costantemente, e voglio che la mia musica rifletta questo. Che sia fare una traccia pop o sperimentare con qualcosa di più avant-garde, l’importante è fare ciò che ci piace fare.

Quando ho cominciato, ero molto interessato alla musica acusmatica, che coinvolge la musica concreta con field recordings in modi sperimentali. Ma è una direzione un po’ “bourgeois”. Decostruire e reimmaginare questi generi è una grande parte del mio processo creativo.

Artisti come Flying Lotus hanno avuto un impatto significativo su di me, il suo modo di incorporare jazz e visual ai suoi show mi ha dimostrato che non ci sono limiti nella sperimentazione musicale.

Sia per l’album Simulacrum che per Rhizomes ti sei ispirato ad opere letterarie filosofiche. Utilizzerai questo approccio creativo anche per produzioni future?

Sono molto appassionato di libri e filosofia. Per me, connettere filosofia e musica è naturale, poiché sono due linguaggi che esplorano e interpretano concetti in modi diversi.

I libri accendono il mio entusiasmo e offrono nuove prospettive ogni volta che li rileggo. Per i progetti futuri, sono più orientato ad ispirarmi ad eventi reali e questioni politiche, trovandoli più rilevanti per la mia musica rispetto ai concetti astratti. Ho spesso attinto a opere di carattere distopico ma con i rapidi cambiamenti tecnologici e gli eventi attuali, la distopia è ormai realtà.

Quando ho iniziato a fare musica, mi sentivo disconnesso dagli artisti intorno a me, non c’erano molti artisti neri nella scena elettronica sperimentale francese. Ho trovato conforto tornando alle mie radici, traendo ispirazione dalla musica di mio nonno, anche se non l’ho mai ascoltata. Questa connessione personale mi ha aiutato a creare qualcosa di significativo e autentico.

Quindi mentre il mio lavoro attuale è più radicato nelle esperienze reali, la letteratura e la filosofia rimarranno sempre parte del mio processo creativo.

Quando hai cominiciato a fare musica ti sentivi un po’ “perso” perché non c’erano molti altri artisti neri nella scena elettronica sperimentale francese. Pensi la scena sia cambiata da allora?

La scena è cambiata molto. Poco dopo l’uscita di Simulacrum, il movimento Black Lives Matter ha aumentato la visibilità degli artisti neri. Il Black Artist Database ha aperto nuove opportunità e connessioni. Ora mi sento meno solo e ho amici e colleghi nella scena.

Dicevi che non hai mai ascoltato la musica di tuo nonno. Puoi dirci perché?

Sì, purtroppo non ne ho mai avuto la possibilità. Mio nonno era abbastanza famoso ai suoi tempi, suonava la tromba negli anni ’50, ma non ci sono registrazioni del suo lavoro che io sappia. Non ha mai pubblicato nulla.

La connessione con mio nonno è diventata molto importante per me quando ho iniziato a fare musica sul serio. Mia madre mi raccontava storie su di lui e su come stessi seguendo le sue orme.

Dopo la sua morte, la mia famiglia ha conservato la sua tromba come un ricordo per mantenere vivo il suo spirito. La tromba, però, è stata persa per molti anni ed è stata ritrovata in seguito nelle case di vari membri della famiglia in Africa. Storie come questa e il mistero intorno alla sua musica mi hanno sempre affascinato. È parte del motivo per cui volevo creare la mia band immaginaria—per via di queste storie intriganti, quasi mitiche, sulla sua vita e musica.

Mi hai detto che ti senti influenzato dall’afrobeat, mi chiedevo se anche ritmi ed estetiche afrofuturiste e la African diasporic music giochino un ruolo importante nel tuo modo di fare musica? Hai intenzione di esplorare di più queste direzioni nel tuo lavoro futuro?

Sì, sicuramente. Lavorare sulla musica con Angel Bat Dawid e collaborare con Moor Mother mi ha spinto in quella direzione. Abbiamo fatto un trio concert a Parigi a maggio completamente immerso nei ritmi e le vibe dell’afro jazz e del free jazz. Spero sicuramente di esplorare e sperimentare di più con questi stili in futuro.


ENGLISH VERSION

Aho Ssan: Mythical Stories and Infinite Rhizomes from Mathematics to Music

Before the upcoming Ortigia Sound (August 1-4), we met Aho Ssan, the moniker of French artist Désiré Niamké, who is active in the experimental electronic scene. Here’s our interview.

In collaboration with Ortigia Sound, we had the opportunity to speak with Aho Ssan, the stage name of Désiré Niamké, a French artist making waves in the experimental electronic scene. His work, which explores the fusion of hip-hop, glitch, ambient, and grime with influences from philosophy and literature, promises to deliver engaging and original performances.

Aho Ssan shares his thoughts on the dystopian reality we live in, discusses his latest album “Rhizomes”, released on Nicolas Jaar’s Other People label, and recounts the mythical stories of his musician grandfather.

Hi Desirée, welcome to Parkett Channel. What are your feelings before Ortigia Sound? Are there any particular performances that you’re looking forward to seeing?

Hi Martina, thanks! I’m really excited since it’s my first time in Sicily and at Ortigia Sound. I’m looking forward to seeing Antonina Nowacka, a friend I performed with at Unsound Festival in New York. She’s playing on the day I arrive, so that’s perfect. I’m also keen to see David August—I’ve remixed one of his tracks, so meeting him and seeing his show with MFO, another good friend of mine, will be great.

Credit Photo: Helge Mundt

I read that you studied mathematics, physics, and informatics, and that you’re a self-taught artist. I wanted to ask if and how your studies in these fields have influenced your music and the way you create it.

Directly I can’t tell you, but I think so. I started making music when I was learning mathematics, physics, and informatics because one of my friends showed me this software called Max MSP.

I guess when you’re using software like Max MSP to make sound, you have to work with sine waves, which is entirely based on physics and mathematics. So my interest in music was more scientific than purely creative.

My studies in graphic design and cinema are connected to my music too. After finishing my studies in cinema, I started doing music with friends who were really good dancers. Even though I still love cinema, I jumped into music instead. So, it’s all connected, but it’s difficult to put into words exactly how.

It’s pretty fascinating how your studies in graphic design and cinema are reflected in your interdisciplinary approach to music. Your art seems to blend various disciplines, as seen in your performance last year at Berlin Atonal and your project with Kim Grano, where he illustrated your Rhizomes‘ tracks in a book release. Do you have any other interdisciplinary projects in mind?

Yes. I love cinema, and I did some videos for my first album. For the second one, I collaborated with KMRU on a video, which was a lot of fun. After that, I started thinking about how I could make my work less about me and more about collaboration.

I wanted to incorporate other people’s visions into my work, as I also did for Rhizomes, so I began inviting others to add their perspectives. This interdisciplinary approach allowed me to explore different mediums and collaborate extensively.

Lately, I’ve been working on a few installations, which are still connected to music but offer a different experience. I’m also involved in a theater project premiering in September. So, it’s always about music, but viewed through different lenses.

You mentioned your last album Rhizomes. The concept of “rhizome” coming from the piece “Poétique de la Relation” by Édouard Glissant seems close to your heart. A rhizome has roots that extend in many directions without a defining beginning or end. When you’re creating and producing music, how do you know when a project is finished? Does the rhizome have an end?

It’s hard to say. I never really know when it’s finished. For Rhizomes, I had to set a deadline because it involved so many artists and took a lot of time.

After finishing the album, we started live performances where we played new versions of the tracks. Even now, I have new tracks for upcoming performances that come from the same patches I was working on.

The album is finished for now, but the tracks continue to evolve through conversations and performances. It’s always evolving.

You released Rhizomes on Nicolas Jaar’s label “Other People” and you also have a feat in the album “Le Tremblement”, Working with him and meeting him must have been a significant experience. Did working with Nicolas Jaar influence your music or career in any way?

Absolutely, Nicolas has had a big influence on me. I was a fan of his before we ever worked together, so being friends and collaborating with him has definitely impacted my music. It’s hard to say exactly how it has changed my career from the outside, but working with Nicolas has certainly been a major milestone.

First and foremost, I see Nicolas as a friend. Our collaborations and conversations have always felt like advice from a friend rather than just a label head. I met him through a project with Unsound Festival, where we did a performance called Weavings during the pandemic. That was about three years ago. Me, Nicolas and many other artists did it online first and then performed it live in Poland. Then, the entire performance has been released as an album.

Meeting Nicolas and other artists through this project was a turning point for me. I connected with people I really admire, like Resina and Angel Bat Dawid, and it was amazing to go from making music alone in my small studio to performing live with artists I look up to.

The way the album sounds and the opportunities it opened up are directly tied to working with him. He’s one of the best artists I know.

You have many features on Rhizomes, with only one solo track, “Tetsuo II”. Is it your most intimate track because since it’s your only solo piece?

Not necessarily. If I had to pick the most intimate track, I’d say it’s Away with Exsald S and Valentina Magaletti. It’s more personal and explores deeper themes. But “Tetsuo II” is one of my favorites and represents a direction I want to pursue more in the future.

You blend a lot of genres in your music—dubstep, grime, ambient, glitches, hip-hop, and more. Where does this desire to mix different genres come from? Are there specific projects or artists that inspire you?

Blending genres is something I’m really passionate about. There are so many artists who have influenced me, it’s hard to pin down just a few. For example, James Ginzburg of Empty Set has been a major inspiration; his music makes sound feel almost physical, like it’s enveloping you.

Family plays a big role too. My grandpa was into jazz and Afrobeat, while my parents listened to Cuban music and free jazz. My siblings were into pop and rap. Growing up surrounded by all these styles made it natural for me to blend them into my own music.

I think it’s important to keep evolving and not stick to one genre. The world is constantly changing, and I want my music to reflect that. Whether it’s making a pop track or experimenting with something more avant-garde, it’s about what feels right in the moment.

When I started out, I was really into acousmatic music, which involves concrete music, mixing real-life sounds in experimental ways. But it can be too “bourgeois”, you know. Deconstructing and reimagining these genres is a big part of my creative process.

Artists like Flying Lotus also had a significant impact on me. When I discovered his music about ten years ago, he was mixing jazz with various other styles and incorporating elements of art. His work showed me that there are no boundaries in music.

For you album “Simulacrum” you got inspired by Baudrillard’s “Simulacres et Simulation.” It seems you draw a lot from philosophy and literature. Are there any other philosophical or literary connections or influences you’re exploring for your future music?

I’m really into books and philosophy. For me, connecting philosophy with music is natural because both are different languages, and I enjoy interpreting concepts through my music.

Books are crucial for me; they spark excitement and offer new perspectives every time I revisit them. As for future projects, right now, I’m more focused on real-life events and political issues. The world is constantly changing, and I’m finding that real-world events are more relevant to my music than abstract concepts. I used to be deeply into dystopian themes, especially when working on “Simulacrum,” but with today’s rapid technological advances and current events, it feels like dystopia is blending with reality.

When I started making music, I felt disconnected from the genres and artists around me, there were not so many black artists in the experimental electronic French scene. I found solace in returning to my roots, drawing inspiration from my grandfather’s music, even though I never actually heard it. This personal connection helped me create something meaningful and authentic.

So, while my current work is more grounded in real-life experiences, literature and philosophy will always be a part of my creative process.

You mentioned feeling a bit lost because there weren’t many Black artists in the electronic experimental French scene. How do you feel about this now? Has this feeling influenced you, and how has the scene changed since then?

Yeah, it’s changed a lot. When I released my album about four years ago, it was right before the Black Lives Matter movement gained massive momentum after George Floyd’s death. That event really shifted things for Black artists. Around the same time, a website called Black Artist Database launched, which was a huge help.

Before that, it felt like there were very few Black artists in the electronic experimental scene, and it was hard to find them. But with the rise of this database and the increased visibility, it’s like a whole new world opened up. It’s amazing to have this connection and realize I’m not alone in this space.

So, that feeling of being lost has faded. Now, I have friends and peers in the scene and it feels like we’re all speaking the same language.

So, you’ve never listened to your grandpa’s music. Can you tell me why that is?

Yeah, unfortunately, I never listened to his music. My grandpa was pretty famous in his time, playing the trumpet in the ’50s, but there are no recordings of his work that I know of. He never released an album or anything like that.

The connection to my grandpa became really important to me when I started focusing on music. My mom would tell me stories about him and how I was following in his footsteps.

After he passed away, my family kept his trumpet as a memento to keep his spirit alive. Somehow the trumpet got lost for many years and was eventually found in different family members’ homes in Africa.

This story, and the mystery around his music, has always fascinated me. It’s part of why I wanted to create my imaginary band —because of these intriguing, almost mythical stories about his life and music.

You told me that you feel influenced by afro beats, I was wondering how do you feel towards afro futurism and African diasporic music? Do you plan to explore these directions more in your future work?

Yeah, for sure. Working on music with Angel Bat Dawid and collaborating with Moor Mother has definitely pushed me in that direction. We did a trio concert in Paris in May that was completely immersed in Afro jazz and free jazz vibes. I definitely hope to explore and experiment more with these styles in the future.