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Ad un mese dall’improvvisa scomparsa del poliedrico Pino d’Angiò, al secolo Giuseppe Chierchia, portiamo avanti la memoria e l’eredità di un artista che l’Italia ha compreso a tratti e solo in parte.

Caro Giuseppe,

è passato un mese dalla tua scomparsa e siamo qui a ricordarti, soprattutto attraverso quello che ci hai lasciato. Iniziamo con un’amara considerazione: per molti prima del tuo ritorno eri “quello di Ma Quale Idea” il successo che ti ha portato alla ribalta negli anni ’80 e che ti ha consacrato come il simbolo dell’italiano di quegli anni.

Siamo certi che però tu di quest’etichetta ne abbia fatto solo un marchio per portare avanti l’immagine di Pino D’Angiò, lo scugnizzo irriverente, sempre ben vestito, con un immancabile sigaretta accesa tra le mani, che fa strage di cuori e a cui importa solo di come cade il pantalone sui mocassini lucidi.è un ritratto un po’ impietoso quello appena tracciato, ma l’abbiamo fatto provocatoriamente: sappiamo che tu non eri questo.

Non dico neanche “solo”, perché come ha detto tua moglie Maria Teresa in una toccante quanto sentita intervista: “quello era Pino D’Angiò, il mio uomo si chiama Giuseppe Chierchia”, proprio a voler rimarcare il fatto che Pino e Giuseppe erano due entità diverse, l’una nei panni dell’altra, ma mai viceversa.

Ti è sempre piaciuto prendere in giro, più te stesso che gli altri, però lo facevi in un modo talmente sottile che neanche ce ne siamo accorti: “Ma Quale Idea”, come tu stesso hai ammesso, era il ritratto di uno sfigato, di una persona che credeva di essere irresistibile ma che in realtà era costretto ad inventare mirabolanti storie di conquista per reggere tutto il castello creato.

Alle nostre orecchie però, unita alla presenza scenica di Pino D’Angiò, era il ritratto di un affermato playboy, e per questo generazioni e generazioni di ragazzi ( e mi ci metto anche io che sto scrivendo ) l’hanno usata prima dei loro eventi o prima di appuntamenti galanti, per darsi forza. Come se solo attraverso la tua musica e la tua immagine potessimo acquisire la prestanza del tuo personaggio.

E così, prendendoti in giro e mai troppo sul serio, sei diventato una star internazionale. Se però alle orecchie italiane “Ma Quale Idea”, “Okay Okay”, “Che Strano Amore Questo Amore” e “Una Notte da Impazzire” sono diventati i soli quattro tuoi emblemi, per l’estero non è stato così.

Mi dicesti una sera che esistono due “Pino D’Angiò”, quello dell’estero e quello italiano. Il primo, è andato avanti, ha fatto tantissime cose oltre i quattro dischi soprannominati, mentre il secondo si è fermato agli anni ’80, prima di venire risuscitato e, in un certo senso, valorizzato, solo in tempi recenti.

Sai cosa? Ci vogliamo allacciare al discorso iniziale: il tuo ritorno sui palchi, unito alla presenza di internet, ha fatto sì che tantissimi giovani approfondissero la tua carriera, e scoprissero tantissime tue perle, guardandosi con vergogna quando, appunto, ti apostrofavano solo come “quello di Ma Quale Idea” (che poi, spesso, veniva storpiato nel semplice “che idea”).

Grazie al tuo ritorno, tanti DJ suonano la tua musica in tutto il mondo, ti dedicano tributi sui palchi attualmente più prestigiosi per la scena: artisti come Mochakk, Riva Starr, Myd ed il nostro Tommy Boy scavano senza sosta nella tua discografia cercando questo o quel singolo da suonare così com’è, o da remixare, quasi per unire simbolicamente la loro mano con la tua.

Sei stato un innovatore, in tutto e per tutto, e la tua forza, forse quella più grande, è stata quella di fare tutto senza l’assordante roboanza o l’assurda spavalderia che contraddistingue i nostri giorni. Lo hai fatto in silenzio, semplicemente lavorando.

Non ci neghiamo che crediamo che uno dei tuoi pensieri fissi fosse “ma davvero vi piace questa roba? E va bene, eccola qui per voi.”Ma sperimentavi, e sperimentavi, e sperimentavi. Hai affondato a piene mani nel Funk, per cui sei stato anche riconosciuto come uno dei pionieri del genere (vedi il World Tribute to Funk: l’unico italiano inserito sei proprio tu, ma questo già lo sai..), plasmandolo “alla italiana”.

Ma sei andato dritto anche nell’house music, quella classica, quella tutta ballare in locali underground: la perla in questione è “Without Without You”, dell’ottobre del 1992, contenuta nell’album “Siamo Tutti Stufi”, pubblicato dalla sempre lungimirante Carosello. In quell’album, inizi ad allontanarti dal tuo genere principe, ma il risultato di qualità si vede eccome.E ancora, tutti ormai lo sanno, ma è giusto menzionare il contributo tuo e di Bruno Sanchioni alla musica elettronica, con “The Age Of Love”.

Qui il discorso è controverso per tanti motivi, in parte già affrontati in un altro articolo, ma a tutti gli effetti sei stato l’inventore della musica trance. Anche se non sai “nemmeno cosa sia”.

Hai dato il tuo contributo irriverente, ancora, in tempi recenti ma con la voce purtroppo segnata, a “Tutta Sola” di Corinne, la cantante francese che più volte ha strizzato l’occhio all’Italia nei suoi testi e nelle sue opere, e tu non potevi che proporti. Che poi Giuseppe, ci sarebbe tantissimo da esplorare della tua discografia, come tutto il tuo contributo agli anni ’90, che ti hanno dato una visibilità incredibile anche all’interno dei meandri delle televisioni, delle radio, o negli studi di altri cantanti per cui tu hai scritto (per esempio, una certa “Signora Mazzini”).

Insomma, sei entrato nella musica, con questa hai ballato, ti sei divertito, hai fumato, l’hai plasmata e modificata a tuo piacimento, e poi con la stessa discrezione con la quale sei entrato, sei andato via. Un po’ come a dire “non vi aspetterete che rimanga qui per voi, ho altro da fare!”. Grazie per tutto quello che hai fatto, grazie per il tuo regalo della tua musica, e grazie per esserti divertito, mentre noi cantavamo a squarciagola le note della tua musica. Ti mandiamo un abbraccio. Ovunque tu stia cantando (e fumando, chiaramente).

I ragazzi funk.

Lorenzo Giudice