Aslice lascia un’importante eredità morale che fa luce sui meccanismi di pagamento dei diritti d’autore legati alla performance.
Che la club culture e la musica siano universi molto difficili in cui inserirsi e con cui arrivare ad un livello tale da poter vivere solo con i proventi derivanti dalla propria attività è risaputo. Già dai tempi antichi il “vivere d’arte” rappresenta un sogno a cui solo pochi artisti riescono ad arrivare.
Ancora, che la suddetta cultura del club sia in forte crisi, complice una moltitudine di fattori, è anch’essa evidente.
Infine, che la musica elettronica contenga delle sperequazioni sistemiche in termini di attività e retribuzioni, fattore anch’esso derivante da congiunzioni di elementi disparati non sempre possibili o facili da controllare, è forse un tratto distintivo di questo particolare settore, che lo accompagna più o meno da quando l’uomo ha scoperto il suono.
Cos’era, cosa faceva e chi c’era dietro Aslice
In tempi come questi, dove sembra che emergere come artista musicale “elettronico” e poterci vivere è un’impresa quasi impossibile, per dare occasione ai giovani artisti di poter essere supportati finanziariamente durante la difficile fase di affermazione, è arrivata l’idea rivoluzionaria del DJ e produttore di musica techno DVS1, al secolo Zak Khutoretsky.
Ha deciso, ormai tre anni fa, di creare una piattaforma, in cui i DJs potevano condividere parte dei propri guadagni derivanti dalle performances. Questo per far sì che i produttori di quelle stesse tracce potessero avere il pagamento che gli spettava.
Aslice ha collezionato, durante i suoi anni di attività, un totale di 422.696 mila dollari da 7396 playlists inviate da 935 Dj a 27.395 produttori che creavano la loro musica da 57 paesi diversi.
Il sistema creato dalla piattaforma Aslice è riuscito a smascherare una serie di problemi che si annidano all’interno dell’industria. Ad esempio il sistema delle organizzazioni che gestiscono i i diritti di performance, che a detta dello staff di Aslice “sono percepiti come poco affidabili nell’allocare correttamente i fondi”.
Aslice ha inoltre evidenziato una serie di difetti del sistema tradizionale della gestione dei diritti di performance. Tra questi, la poca accuratezza nel track matching, nessun pagamento delle opere non ufficialmente rilasciate una volta che queste venivano poi registrate, nessun incoraggiamento al processo di networking tra artisti, modelli di distribuzione obsoleti e barriere all’ingresso per la registrazione dei Djs.
Il sistema della club culture, inoltre, contribuiva alla disparità di pagamento tra Djs e produttori che Aslice cercava di colmare. In un sistema in crisi, i Djs, specialmente se locali, o cosiddetti “piccoli-medi successi” vengono pagati sempre meno. Questo si ripercuote chiaramente sulla somma poi destinata ai produttori.
Aslice, a causa dei grossi costi di gestione (pari a quasi 250000 dollari), non è risultata essere sostenibile finanziariamente.
Le reazioni dei musicisti
La fine di Aslice è stata comunque commentata negativamente da Djs di alto calibro. Ad esempio Richie Hawtin, che attraverso il suo profilo Instagram sta pubblicando post e stories in cui incita alla riflessione il proprio seguito.
«Non ha fallito Aslice nel proprio compito, hanno fallito molti grandi DJs che seguiamo.» Questo è quanto amaramente constatato da Hawtin in un lungo video non editato e spontaneo tutt’ora presente sul proprio profilo.
È lo stesso Hawtin a ribadire quello che abbiamo cercato di riassumere fin qui. Il DJ suona musica di altri, viene pagato per questo e costruisce la propria carriera.
Questo non accade per le band o le pop stars, che suonano la propria musica e vengono pagati, sia come artisti che come produttori. A meno che un DJ suoni solamente tracce autoprodotte, verrà pagato per riprodurre musica che non ha effettivamente creato. Quello che poi arriva al produttore è molto di meno, nella maggioranza dei casi, di quanto effettivamente percepito dal DJ.
Come siamo arrivati fin qui, e dove siamo diretti?
Lo scopo di questo insieme di considerazioni, che fino ad ora si è limitato a riassumere, seppur in maniera sommaria, quanto espresso nel report finale di Aslice, disponibile sul loro sito, è quello di far luce sugli errori di un sistema destinato a perdere attrattività.
Questo accade per un motivo essenziale. Immaginate un evento in cui ci sono tutti i crismi per essere un’esperienza memorabile. Luci, ballerine, un grande nome dietro la consolle, tanta gente, ottimi drinks.
La musica, però, non c’è: non è che non si sente, non c’è proprio. Il Dj si agita, spinge bottoni, alza e abbassa i volumi, regola le frequenze, ma gli altoparlanti non cantano.
In questo modo, forse, si può capire l’importanza dei produttori. Creano musica e spesso hanno molta meno visibilità di chi, quella musica, la suona. In più senza corrispondere una fetta dei propri guadagni, anche con una sorta di comportamento ingrato.
Senza questo sistema di mutuo supporto costituito da Aslice, i produttori perderanno una delle poche luci che dipanavano in una notte buia, dove il Sole dell’equità, semmai ci sia stato, è calato tanto tempo fa. L’unica cosa che brilla, lontana, è la luce degli eventi, e delle carriere di quei DJ che suonano tracce di altri.
Più le proprie tracce vengono prodotte, più ci si avvicina alla luce. Tuttavia l’impressione è quella di non poterla raggiungere mai veramente, a meno di sposare la carriera del DJ/producer, creare un ibrido che prima era molto più scontato.
Potremmo considerare tutto questo come un grande campanello d’allarme: attenzione a sottovalutare l’importanza dei produttori. È vero, ce ne sono tanti, e tanti sono appassionati. Alcuni persino credono ciecamente di poter vivere della propria arte ed ottenere un giorno ciò che gli spetta di diritto.
Dobbiamo però considerare tutta quella grande fetta di produttori vittima di frustrazione e rabbia, che presto o tardi decideranno di abbandonare il proprio sogno e smettere di produrre.
Che succederà quando anche i grandi produttori, o quelli più suonati, penseranno che in fondo non ne vale più la pena, e lasceranno per sempre i propri computers, vendendo i propri strumenti?
La redenzione è sempre possibile, e ci si augura che quanto fin d’ora detto possa effettivamente costituire un punto di partenza per il cambiamento.