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Sound engineer, dj, produttore, label manager. Marco Pellegrino è una delle personalità più interessanti della musica elettronica contemporanea. Con il suo lavoro è infatti responsabile di una grande quantità di release techno, acid, house e electro che ogni giorno escono sui principali store di settore.

Residente a Berlino ma romano di nascita e formazione, Marco Pellegrino muove i suoi primi passi nel mondo del clubbing a Roma, esibendosi nei primi anni 2000 in locali iconici come il Brancaleone e il Goa. Sin dalla giovane età si appassiona al mondo della musica nella sua totalità, creando un rapporto quasi viscerale con il suono, approfondendo anno dopo anno la sua attrazione per questa forza misteriosa che ci permette di godere appieno dell’esperienza musicale.

La chiacchierata con Marco ci ha permesso di addentrarci in un mondo ancora poco conosciuto, che funge da anello di congiunzione tra il producer e il risultato finale. Il suo ruolo è spesso determinante e influisce di molto sulla qualità del suono del vinile. Proprio per questi motivi abbiamo voluto presentarvi una figura che conosce la musica nei suoi aspetti più nascosti, che ha l’opportunità di scoprire in anteprima quello che si ballerà nei dancefloor del domani. Ecco cosa ci ha raccontato Marco Pellegrino, in arte Ancut.

Buongiorno Marco e benvenuto su Parkett. Iniziamo parlando di una ricorrenza speciale celebrata proprio in questo mese di settembre con un party all’OXI di Berlino: il tuo studio Analogcut compie 10 anni, complimenti! Come ci sei arrivato a questo traguardo?

Ciao ragazzi, grazie mille. Come ci sono arrivato? È stato un percorso lungo e diciamo che ci sono riuscito anche grazie al mio grande attaccamento al vinile. Quando ho iniziato a lavorare nel mondo del mastering sapevo che era la cosa che avrei voluto fare, ma ovviamente non sapevo come sarebbe andata. Questo è un mondo dove devi crearti il tuo spazio da solo, nessuno è propenso a “farti entrare”.

Ho provato a lavorare in studio insieme ad altre persone, ma ho capito presto che questo è un lavoro solitario. Conoscendo già qualche persona all’interno della musica elettronica ho deciso di provarci e, grazie anche all’aiuto di persone come gli Analogue Cops e Alex Picone, sono riuscito a farmi conoscere e in qualche modo ad affermarmi. Alex infatti è stato il primo ad affidarmi i master delle label presenti nella sua distribuzione. Credo di essermi trovato al posto giusto nel momento giusto.

Vivendo a Berlino avevo la possibilità di essere in contatto diretto con molte più realtà, e nel momento in cui ho iniziato a fare il master engineer c’è stato un ricambio generazionale. I miei colleghi avevano già tutti una cinquantina d’anni e molti artisti giovani si trovavano un po’ in difficoltà nel doversi relazionare con persone con vent’anni in più di loro. C’era mancanza di comunicazione. Inoltre, stavano cambiando i generi musicali. Nel 2013 stava terminando l’epoca della minimal e si iniziavano ad imporre dei nuovi generi musicali con influenze totalmente differenti. Molte persone non sapevano a chi affidarsi, pertanto credo che una figura nuova, un nuovo riferimento per tutti questi artisti fosse necessario. Proprio in quel momento ho avuto l’opportunità di iniziare a collaborare stabilmente con tutte queste realtà.

Parlando del party dei 10 anni, non nasce dall’idea di celebrare per forza me o il mio studio, anzi. La mia intenzione era quella di creare un party che avesse come protagonisti gli artisti che hanno condiviso con me questo percorso, come Onur Özer per esempio, che non suonava a Berlino da 5 anni. Per me era molto importante che fosse presente, perché con lui sono cresciuto professionalmente, grazie ai suoi continui feedback e alle sue indicazioni.

Per diventare un master engineer esiste un percorso accademico tradizionale? Oppure è uno di quei “mestieri” che si impara lavorando al fianco di figure esperte e navigate? Come sei arrivato a capire che volevi fare proprio questo nella vita?

Io sono sempre stato legato al vinile, da sempre ho avuto una connessione forte con il supporto analogico. Mio padre collezionava dischi progressive rock, che in un certo modo mi hanno permesso di entrare sin da subito all’interno dell’idea che il disco fosse strettamente collegato al concetto di musica e di audio. All’età di 14 anni ho iniziato a comprare i miei dischi e a suonarli. A Roma lavoravo in un negozio di dischi che ora non esiste più, Remix, dove facevo delle lezioni di beat matching, e per un periodo ho collaborato anche con un service audio.

Accademicamente mi sono formato allo IED di Roma: avevo 19 anni e pensavo che lo IED fosse la cosa più simile a quello che avrei voluto fare: specializzarmi nella registrazione e nell’incisione dei dischi in vinile. A posteriori però vi posso dire che un lavoro come il mio, poco praticato in generale nel mondo, è proprio come dite voi un “mestiere” che si impara sul campo, nonostante servano molte nozioni scientifiche che, ovviamente, vanno studiate e imparate nei manuali. Poi però bisogna avere la possibilità di mettere in pratica queste nozioni, e in Italia è quasi impossibile, perché ci sono solo tre torni per incidere i dischi in tutta la Penisola, mentre solo a Berlino ce ne saranno almeno una ventina. Purtroppo non hai la possibilità di accedere a questo mestiere se non hai modo di entrarci… 

Però poco fa ci hai detto che hai iniziato a lavorare in studio insieme ad altre persone…

La storia nuda e cruda è questa: quando vivevo a Roma avevo una Suzuki Swift. L’ho venduta per comprare un tornio incisore che mi permettesse di stampare i dubplate. Nei primi mesi avrò buttato più di 300 dischi ma, suonando qualche volta nei club, ho avuto anche la possibilità di provarli e di capire se funzionavano e come andassero perfezionati. Una volta ottenuto un prodotto soddisfacente ho aperto un sito internet in cui offrivo la stampa di dubplate. Un giorno mi scrisse Lucretio degli Analogue Cops dicendomi che la persona che di solito gli faceva i dubplate a Berlino non poteva stamparglieli e da lì è nato tutto. Per questo dicevo che oltre alle competenze ci vuole anche un po’ di fortuna.

Facciamo un passo indietro: quando ci hai parlato del party per i 10 anni dello studio hai sottolineato l’importanza di ricevere dei feedback. Ma come si fa a capire come deve suonare una determinata traccia? Ci sono stati episodi in cui qualche produttore ti ha detto che la sua traccia non suonava come avrebbe dovuto? Quanto il tuo intervento va a modificare quello che è il lavoro iniziale del producer?

Dipende molto dal produttore stesso. Se il produttore ha le idee chiare, quando ti manda la produzione è già arrivato molto vicino a quello che vorrebbe fosse il risultato finale e sa spiegarti molto bene quale deve essere. Credo che comunque il mio lavoro possa influire di almeno il 30% sul risultato. Io sono un conservatore e non vado mai a stravolgere la traccia. Se però sei un nuovo cliente e non ho mai lavorato con te, sono io a chiederti quanto tu sia soddisfatto del lavoro che mi stai mandando, perché se lo sei allora significa che vuoi che la traccia suoni così. Nel caso mi dicessi che non sei soddisfatto allora sono io a chiederti il perché la vuoi modificare, poiché bisognerebbe sempre partire da qualcosa che ti soddisfa e in cui ti riconosci.

In generale questo è un lavoro in cui da un lato bisogna conoscere l’artista e lo stile musicale, dall’altro occorre specializzarsi per fare in modo che anche gli stessi producer o etichette possano riconoscere il tuo intervento. Il risultato possiamo dire che è un mix tra il mio gusto, il gusto dell’artista e il buon senso.

Ritornando un po’ sul lato tecnico, ci spieghi la differenza tra il master digitale e il master per il vinile? Sappiamo che alle label invii sempre i due formati ma non abbiamo ben chiaro il perché.

Il master digitale è una cosa che non facevo, l’ho iniziato a fare quando sono ritornate nel genere underground le sonorità trance. Diciamo che è come se fosse ritornata la “loudness war”, ovvero la lotta a chi ha il master più alto. Io non ho mai voluto parteciparvi perché i miei master sono molto dinamici ma non esasperati a livello di volume, poiché penso che il risultato sia migliore.

Ad un certo punto però ho notato che i clienti mi chiedevano se si potesse avere il volume del master un po’ più alto. Non volendo sacrificare il master del vinile, ho iniziato a farne un secondo in digitale, per poterne avere uno che suonasse più alto da utilizzare per gli snippet su soundcloud, per gli shop online e per i contenuti Instagram. In questo modo io stesso sono più tranquillo perché so che il master per il vinile “è salvo”. Per fortuna nel nostro genere questo fenomeno è marginale, ma ci sono colleghi che hanno a che fare con tipologie di musica diverse in cui la loudness war è tutto. 

Parlando di vinile, abbiamo notato alcuni paradossi. Si parla di un grande ritorno al vinile da parte dei dj di vecchia e nuova generazione ma, parallelamente, c’è anche un calo delle vendite. Allo stesso tempo stiamo notando la crescita di un fenomeno che possiamo definire in modo grossolano come la comparsa della musica “usa e getta”. C’è tantissima offerta di musica molto simile. Come possiamo spiegarci, se c’è un ritorno al vinile, questo calo delle vendite in un mercato dove ci sono un sacco di release che i dj comprano, suonano un paio di volte e poi non suonano più perché quel suond o quella tendenza specifica ha già stancato? Sembra che non esistano più i dischi che “rimangono” nelle valigie per mesi: un disco che compri oggi domani è già dimenticato. Questo implicherebbe una maggior vendita per logica. Tu che hai la possibilità di ascoltare moltissima musica, ti sei fatto un’idea delle cause di tutto ciò?

Beh, un’idea me la sono fatta ma purtroppo non credo di avere la risposta alla vostra domanda. Dal mio punto di vista tutto è iniziato durante la pandemia. In lockdown molte persone si sono concentrate sulla produzione musicale, pubblicando una grande quantità di musica (è stato il periodo dove ho lavorato di più della mia vita) saturando il mercato. La conseguenza di tutto ciò è stata sovraccaricare di lavoro le stamperie, anche perché – a causa del covid appunto – non era possibile essere operativi al 100% sia per quanto riguarda le spedizioni, sia per il reperimento dei materiali e via dicendo, provocando grandi ritardi rispetto sulla produzione delle release.

Con l’inizio della guerra in Ucraina, alla sovrapproduzione musicale e ai ritardi si è aggiunta l’inflazione, che ha aumentato il costo del vinile almeno dal 20% al 30% rispetto al 2019. Nonostante i prezzi di gas e elettricità stiano scendendo, il prezzo del vinile è rimasto quello. La vita costa di più, con il tuo potere d’acquisto se prima compravi 2 dischi con poco più di 15 euro ora ne compri 1 anche se la produzione è diminuita. Inoltre, come dite voi, c’è comunque troppa roba che esce, con conseguente appiattimento a livello creativo e sonoro.

Molte persone sono anche convinte che producendo avranno un incremento delle date come dj e cercano visibilità in questo modo. Le label ora vendono meno copie rispetto a prima, non riuscendo più ad autofinanziarsi completamente e dovendo filtrare il più possibile le release. 

A mio parere si dovrebbe ridimensionare la quantità di materiale che esce. È quasi frustrante sentire che la maggior parte delle nuove release suonano simili tra di loro. Ovviamente la musica bella esiste, ma è molto più difficile riuscire a scovarla… Inoltre la presenza di molti dischi sulla stessa wave tende ad abbassare il rapporto qualità-prezzo delle release.

Quindi esiste ancora della musica di qualità tra le nuove produzioni su cui lavori? 

Sì esiste, solamente che è sommersa dalla troppa roba simile che esce. Le novità che mi piacciono me le segno tutte e ci sono dei trend molto interessanti.

A tal proposito ci racconti un po’ della tua etichetta, Discarded Gems? Come nasce l’idea di aprire e gestire una tua label?

L’idea della label nasce più che altro da una mia personale esigenza. Nel 2016 avevo prodotto tre tracce in cui credevo molto, ma non ricevevo feedback quando inviavo le demo. Avevo mandato la traccia anche a Domenico degli Analogue Cops, che mi ha inviato un remix di sua spontanea volontà. Dopo aver atteso qualche tempo e convinto dell’EP che avrei voluto fare, senza scendere a compromessi o cambiare le produzioni, ho deciso di aprire la mia label. Da qui anche il nome Discarded Gems.

Inizialmente il disco andò malissimo, avevo venduto 16 copie in 3 mesi. Un giorno però Andrew James Gustav suonò una delle tracce durante un back-to-back trasmesso in live streaming, mi sembra al Concrete di Parigi, e il giorno dopo il disco è andato sold out, vendendo il rimanente delle 350 copie. Da quel momento in poi ho cominciato a ricevere musica e richieste su tutti i canali. Questo fa capire come un disco, in mezzo alla valanga di musica che viene prodotta oggi giorno, può passare davvero inosservato. Questo finché non arriva qualcuno che lo porta all’attenzione del pubblico e tutti si rendono conto che effettivamente funziona (ma magari non avevano avuto occasione di ascoltarlo).

Così è nata la label: oggi quando creo un EP con un producer che seguo e che mi piace, sono io stesso a chiedere di mandarmi la proposta già definita di EP, non sono uno di quelli che ascolta 50 produzioni e poi le sceglie. Credo sia giusto che siano gli stessi artisti a proporre il proprio concetto di EP in tutte le sue sfaccettature. In questo modo è l’artista stesso partecipe del suo EP, non sono io che davanti a un computer lo scelgo, e questo mi piace molto.

Abbiamo notato inoltre che nel catalogo di Discarded Gems ci sono uscite molto diverse tra di loro. La label è molto eterogenea a livello di proposte. Come scegli la musica?

Diciamo che su Discarded Gems esce la musica che io suono: non per forza però deve essere tutta uguale e può cambiare nel tempo. L’importante è che ogni mia uscita rappresenti comunque il mio gusto, ieri come oggi.

Marco Pellegrino oggi è più un sound engineer, un dj o un produttore?

Beh, a oggi passo otto ore della mia giornata facendo il sound engineer. È il mio lavoro e la mia passione. Al tempo stesso però non potrei vivere senza fare il DJ. La passione per il digging è molto forte e cerco sempre di dedicarci molto tempo, sacrificando un po’ forse la parte di producer. Le tre cose comunque sono molto collegate: magari ci sono periodi in cui una prevale sull’altra, ma quando sono in studio e ascolto prendo ispirazione per le produzioni e, allo stesso tempo, mi annoto le release che vorrò comprare per la mia borsa. Tutto nasce soprattutto con il mio percorso da DJ: a Roma avevo una piccola residency. Suonare mi ha sempre rilassato e divertito, non potrei immaginarmi senza questa parte di me. Se togliessi questo, la parte di mastering e produzione ne soffrirebbero molto. L’essere DJ è un po’ il motore di tutto.

In merito ai party come DJ, l’affinità tra Discarded Gems e Superluminal come nasce? 

È un’affinità che nasce soprattutto a livello personale. Con Matthias stavo facendo dei master in studio e ci siamo trovati subito bene a chiacchierare. Ragionando del più e del meno ci siamo trovati d’accordo sul fatto che a Berlino mancassero dei party che rappresentassero la musica underground: decidemmo di provare a fare una festa noi. Una mattina per sbaglio mi imbatto in un piccolo posto squat a Ziegrastrasse. Parlando con il proprietario siamo riusciti a organizzare la nostra prima serata. Il party è andato molto bene e abbiamo deciso di continuare. Oggi siamo in tre resident: io, Matthias e So-Fi e due volte all’anno torniamo con il nostro party a Ziegrastrasse, dove tutto è nato. Anche nella selezione della line up cerchiamo di includere sempre artisti che ci piacciono e vogliamo portare a Berlino, senza sapere se in realtà sono nomi che possono attirare (o no) le persone.

Ci sembra un po’ strano sentirti dire che il party nasce perché in una città come Berlino questa tipologia di proposta non c’era

Ebbene sì: Berlino è una città molto techno con tantissima offerta di questo genere. Inoltre, le room 2 dei locali techno propongono come alternativa sonorità molto più house. Certo, al CDV e all’Hoppetosse facevano dei party molto più simili al nostro, ma non rispecchiavano esattamente quello che volevamo proporre. Inoltre credo che il nostro sound non sia molto capito e rispettato in città. Forse anche per questo abbiamo creato un buona rete di pubblico che ci segue e sostiene. Proprio perché mancava questo tipo di proposta che unisce break, techno, house, electro, post-minimal.

Guardando al futuro, ci piacerebbe affrontare con te il tema della sostenibilità nell’industria del vinile. La produzione ovviamente ha un impatto negativo sull’ambiente dato dall’utilizzo e all’eventuale smaltimento di materiali inquinanti. Sai se si stanno cercando delle alternative concrete?

Sicuramente il tema del vinile, del PVC, è molto importante. Ci sono delle stamperie che utilizzano solamente materiali riciclati, per esempio. Molte stamperie stanno scegliendo anche materiali che non sono derivati direttamente dal petrolio. Credo che in questo senso a breve ci saranno dei netti miglioramenti. Già oggi, rispetto magari a 10 anni fa, c’è molta più attenzione su tutto il processo.

Riguardo invece l’intelligenza artificiale? Ci sono dei tool che potrebbero in qualche modo sostituirsi al lavoro che tu e altri sound engineer svolgete?

Beh questo è già realtà. Il LANDR è stato il primo software a fare i master in modo automatico e ora, con l’AI ce ne sono moltissimi altri. Io credo che questo tipo di servizi sono validi soprattutto se devi suonare la tua traccia a una festa. Ma se hai speso ore e ore di lavoro su una produzione, vuoi che sia una persona che se ne occupi. Vuoi relazionarti con qualcuno quando si tratta di mettere mano alla tua musica, alla tua opera d’arte. Con l’avvento dell’AI c’era un po’ di timore nel nostro settore, ma in realtà non ne abbiamo risentito. Perché se tu hai fatto una cosa con passione vuoi affidarla a una persona che ci lavori con la stessa passione.

Un’ultima domanda prima di salutarci. Ci affascina molto pensare che con il lavoro che fai hai la possibilità di conoscere in anticipo quali saranno le tendenze musicali del futuro. Ci sono stati dei momenti in cui ti sei reso conto che la musica stava cambiando? Come avviene questo cambiamento?

Sì, mi è già successo un paio di volte di rendermi conto che qualcosa stesse cambiando, ma non esiste una dinamica precisa. Ci vuole del tempo prima che il sound cambi completamente, anche se ci sono dei momenti in cui inizi a ricevere degli EP che suonano in un modo diverso. Magari un giorno la musica arriva da Amsterdam, poi da Berlino, poi da Londra, e tutti gli EP suonano in un modo molto simile. Per circostanze che non sono controllabili ci sono persone in diverse città che in qualche modo stanno facendo le stesse cose, con le stesse influenze e in tempi molto simili. Nel giro di pochi mesi riscontri che gli artisti e le label hanno cambiato influenze e stile. In quel momento allora pensi: “è vero, la musica sta cambiando”… L’ultima volta, ad esempio, è avvenuto con l’ingresso delle sonorità trance nel mondo underground.

E oggi? Ci sono delle influenze esterne che stanno entrando nuovamente nella scena?

Una cosa che ho notato è il ritorno delle percussioni che una volta venivano etichettate come “tribal”. Fino a questo momento erano state categoricamente tenute fuori da certi ambienti. Sento utilizzare bonghetti e percussioni da artisti che non li avevano mai usati. Ovviamente vengono inseriti in modo diverso, ma li sento.

ENGLISH VERSION

Good morning, Marco, and welcome to Parkett. We’d like to start this interview by talking about a special anniversary that was just celebrated this September with a party at Berlin’s OXI: your studio Analogcut turns 10 years old, congratulations! How did you reach this milestone?

Hi guys, thank you very much. How did I get here? It’s been a long journey, and I’d say I made it largely thanks to my deep attachment to vinyl. When I started working in mastering, I knew it was something I wanted to do, but of course, I didn’t know how it would turn out. This is a world where you have to carve out your own space no one is eager to “let you in.” I tried working in studios with other people, but I soon realized that this is a solitary job.

Knowing a few people in electronic music, I decided to give it a try, and thanks to the help of people like the Analogue Cops and Alex Picone, I managed to make a name for myself and, in some way, establish myself. Alex, in fact, was the first to entrust me with the mastering of labels under his distribution. I think I was in the right place at the right time.

Living in Berlin, I had the chance to be in direct contact with many more scenes, and when I started working as a mastering engineer, there was a generational shift happening: all of my colleagues were in their fifties, and many young artists struggled to communicate with people twenty years older than them. There was a communication gap. Plus, the musical genres were changing. In 2013, the minimal era was ending, and new genres with entirely different influences were emerging. Many people didn’t know who to turn to, so I think a new figure, a fresh reference point for these artists, was needed. It was at that moment that I had the opportunity to begin collaborating consistently with all these scenes.

Speaking of the 10-year anniversary party, it didn’t come from the idea of celebrating yourself or your studio, right?

No, exactly. My intention was to create a party that featured the artists who shared this journey with me, like Onur Özer, for example, who hadn’t played in Berlin for 5 years. It was really important to me that he was there because I grew professionally alongside him, thanks to his constant feedback and guidance.

Is there a traditional academic path to becoming a mastering engineer? Or is it one of those “trades” that you learn by working alongside experienced professionals? How did you realize that this was what you wanted to do in life?

I’ve always been connected to vinyl; I’ve always had a strong bond with analog formats. My father collected progressive rock records, which in some way introduced me early on to the idea that records were closely tied to the concept of music and sound. At the age of 14, I started buying and playing my own records. In Rome, I worked in a record store that no longer exists, Remix, where I also taught beat matching lessons, and for a while, I worked with an audio service.

Academically, I trained at the IED (Istituto Europeo di Design) in Rome: I was 19 years old and thought that IED was the closest thing to what I wanted to do, specializing in recording and cutting vinyl records. Looking back, though, I can tell you that a job like mine, which is rare in the world, is indeed one of those “trades” you learn on the job, even though it requires a lot of scientific knowledge that obviously needs to be studied from manuals. But then you have to be able to put that knowledge into practice, which is almost impossible in Italy because there are only three vinyl cutting lathes in the whole country, whereas in Berlin alone, there are at least twenty. Unfortunately, you can’t access this job unless you find a way in…

But earlier you told us that you started working in studios with other people…

The raw story is this: when I was living in Rome, I had a Suzuki Swift. I sold it to buy a cutting lathe that would allow me to press dubplates. In the first few months, I must have wasted over 300 records, but since I was occasionally playing in clubs, I had the chance to test them and figure out whether they worked and how they could be improved. Once I had a satisfactory product, I opened a website offering dubplate pressing services. One day, Lucretio from Analogue Cops wrote to me, saying that the person who usually pressed his dubplates in Berlin wasn’t available, and that’s how it all started. This is why I was telling you that beyond skills, a bit of luck is also needed…

Let’s take a step back: when you talked about the 10-year studio party, you emphasized the importance of receiving feedback. But how do you know how a particular track should sound? Have there been times when a producer told you that their track didn’t sound how it should? How much does your work change the producer’s initial work?

It really depends on the producer. If they have a clear idea, when they send you the production, they’re already very close to the final result they want and can explain it well. I think that my work can still influence the outcome by about 30%. I’m a traditionalist, so I never drastically change a track. However, if you’re a new client and I’ve never worked with you before, I’ll ask you how satisfied you are with the work you’re sending me because if you’re happy with it, it means you want the track to sound that way. If you tell me you’re not satisfied, then I’ll ask why you want to change it because we should always start with something you’re happy with and that you identify with.

Generally, this is a job where, on one hand, you need to know the artist and the musical style, and on the other hand, you need to specialize so that even producers and labels can recognize your input. The final result is a mix of my taste, the artist’s taste, and common sense.

On a technical level, can you explain the difference between digital mastering and mastering for vinyl? We know you always send both formats to labels, but we don’t really understand why…

I didn’t use to do digital mastering. I started when trance sounds made a comeback in the underground scene. It’s like the “loudness war” returned, where everyone competes to have the loudest master. I never wanted to participate in this because my masters are very dynamic but not overblown in volume, as I think the result is better. But at a certain point, clients started asking if the master volume could be raised a bit, and not wanting to sacrifice the vinyl master, I began making a second digital version that could be louder for use in SoundCloud snippets, online shops, and Instagram content. This way, I’m at peace knowing the vinyl master is “safe.” Fortunately, in our genre, this phenomenon is marginal, but there are colleagues working with other types of music where the loudness war is everything…

Speaking of vinyl, we’ve noticed some paradoxes: there’s talk of a major comeback of vinyl among DJs from both older and newer generations, but at the same time, there’s also a drop in sales. Meanwhile, we’re seeing the growth of what could be called “throwaway music” a vast amount of very similar music. How do we explain this contradiction of a vinyl resurgence with declining sales in a market where DJs buy releases, play them a couple of times, and then stop because that sound or trend is already old? It seems like there are no more records that “stay” in the bags for months: a record bought today is already forgotten tomorrow. Logically, this would imply more sales… Do you have any thoughts on the causes of this phenomenon, since you get to listen to so much music?

Well, I do have some ideas, but unfortunately, I don’t think I have the answer to your question. From my perspective, it all started during the pandemic: during lockdown, many people focused on music production, flooding the market with releases (it was the busiest time of my life in terms of work). The consequence was an overload of work for pressing plants, also because, due to COVID, it wasn’t possible to operate at 100% capacity whether for shipping or obtaining materials, which caused significant delays in the release schedules. Then, with the war in Ukraine, inflation added to the issues of musical overproduction and delays, raising the cost of vinyl by at least 20-30% compared to 2019. Despite gas and electricity prices dropping, the cost of vinyl has stayed the same.

Life is more expensive now, and with your purchasing power, if you used to buy two records for a little over 15 euros, now you can only afford one, even though production has decreased. Furthermore, as you mentioned, too much music is being released, leading to a flattening of creative and sonic diversity. Many people also believe that producing music will lead to more DJ gigs, so they seek visibility this way. Labels are selling fewer copies than before, can no longer fully finance themselves, and need to filter releases as much as possible. In my opinion, the amount of material being released needs to be reduced because it’s almost frustrating to hear that most new releases sound similar. Of course, there is good music, but it’s much harder to find it… Plus, the sheer number of records on the same wave tends to lower the quality-to-price ratio of releases.

So, is there still quality music among the new productions you work on?

Yes, there is, but it’s buried under too much similar stuff being released. I keep track of the new things I like, and there are some very interesting trends…

Speaking of which, can you tell us a bit about your label, Discarded Gems? How did the idea of starting and running your own label come about?

The idea for the label came mainly from a personal need: in 2016, I had produced three tracks that I really believed in, but I wasn’t getting any feedback when I sent out demos. I even sent the track to Domenico from Analogue Cops, who sent me back a remix of his own accord. After waiting some time and being confident about the EP I wanted to make, without compromising or changing the productions, I decided to start my own label. That’s where the name Discarded Gems comes from.

Initially, the record did terribly, I had sold 16 copies in 3 months; but then one day, Andrew James Gustav played one of the tracks during a back-to-back live-streamed set, I think at Concrete in Paris, and the next day, the record sold out, with the remaining 350 copies selling. From that moment on, I started receiving music and requests across all channels. This shows how a record, in the avalanche of music produced nowadays, can really go unnoticed until someone brings it to the public’s attention, and then everyone realizes that the record works (though maybe they didn’t have a chance to hear it).

That’s how the label started: today, when I create an EP with a producer I follow and like, I ask them to send me a fully developed EP concept. I’m not one of those who listens to 50 productions and then picks one. I believe it’s right for the artists to propose their own concept of an EP in all its facets; this way, the artist is involved in their EP, rather than me just picking it out in front of a computer, and I really like that.

We’ve also noticed that the Discarded Gems catalog features very diverse releases: the label offers a wide variety of music. How do you choose the music?

Let’s say that Discarded Gems releases music that I play: not all of it has to be the same, and it can evolve over time. The important thing is that each release still represents my taste, both yesterday and today.

Is Marco Pellegrino more of a sound engineer, a DJ, or a producer today?

Well, today I spend eight hours of my day as a sound engineer: it’s my job and my passion, but at the same time, I couldn’t live without being a DJ. My passion for digging is very strong, and I always try to dedicate a lot of time to it, maybe sacrificing a bit of the producer side. But all three things are closely connected and must be. Sometimes, one may take precedence over the others, but when I’m in the studio and listening, I get inspiration for productions, and at the same time, I note down the releases I want to buy for my record bag.

Everything really started with my journey as a DJ: in Rome, I had a small residency, and playing music has always relaxed and entertained me. I couldn’t imagine myself without this part of me. If I took that away, the mastering and production side would suffer greatly. Being a DJ is sort of the driving force behind everything.

Regarding DJing at parties, how did the affinity between Discarded Gems and Superluminal come about?

It’s an affinity that started on a personal level. Matthias was doing some mastering in my studio, and we immediately got along well. While chatting about various things, we agreed that Berlin was lacking parties representing underground music, so we decided to try organizing one ourselves. One morning, I accidentally stumbled upon a small squat space in Ziegrastrasse, and after talking to the owner, we managed to organize our first night there. The party went really well, and we decided to keep going. Today, we have three residents: me, Matthias, and So-Fi, and twice a year, we return with our party to Ziegrastrasse, where it all began. Even when choosing the lineup, we always try to include artists we like and want to bring to Berlin, without worrying whether they’re big names that can draw a crowd or not.

It seems a bit strange to hear you say that the party started because, in a city like Berlin, there wasn’t this type of offering…

Yes, exactly: Berlin is a very techno-centric city with a lot of offerings in that genre. Plus, the second rooms in techno clubs often offer much more house-oriented sounds as an alternative. Sure, CDV and Hoppetosse threw parties more similar to ours, but they didn’t quite reflect what we wanted to offer. Moreover, I think our sound isn’t very well understood or respected in the city, and maybe that’s also why we’ve built a solid following that supports us, because this kind of offering that combines breakbeat, techno, house, electro, post-minimal was missing.

Looking to the future, we’d like to discuss sustainability in the vinyl industry. Production obviously has a negative environmental impact due to the use and eventual disposal of polluting materials. Do you know if any concrete alternatives are being sought?

Yes, vinyl and PVC are big topics. There are pressing plants that only use recycled materials, for example. Many plants are also opting for materials that aren’t directly derived from petroleum. I believe we’ll see significant improvements in this area soon. Already today, compared to maybe 10 years ago, there’s much more attention being paid to the whole process…

And what about artificial intelligence? Are there tools that could somehow replace the work that you and other sound engineers do?

Well, that’s already a reality: LANDR was the first software to automate mastering, and now with AI, there are many more. I think these services are great, especially if you need to play your track at a party. But if you’ve spent hours and hours working on a production, you want a person to handle it you want to have a relationship with someone when it comes to working on your music, your work of art. With the advent of AI, there was some fear in our sector, but we haven’t really felt the impact because if you’ve done something with passion, you want to entrust it to someone who will work on it with the same passion…

We have one last question for you before we say goodbye. We find it fascinating to think that through your work, you get an early glimpse of what the future musical trends will be. Have there been moments when you realized music was changing? How does this change happen?

Yes, it has happened to me a couple of times where I’ve realized something was changing, but there’s no precise dynamic. It takes time for the sound to completely change, although there are moments when you start receiving EPs that sound different: maybe one day the music is coming from Amsterdam, then from Berlin, then from London, and all the EPs sound very similar. Due to circumstances that can’t be controlled, there are people in different cities somehow doing the same things, with the same influences, at the same time. Within a few months, you notice that artists and labels have shifted influences and style, and at that moment, you think, “It’s true, music is changing.” The last time this happened was when trance sounds entered the underground scene.

And today? Are there any external influences entering the scene again?

One thing I’ve noticed is the return of percussion that was once labeled as “tribal.” Until now, they had been categorically excluded from certain environments. I’m hearing bongos and percussion being used by artists who had never used them before; obviously, they’re being incorporated differently, but I’m hearing them…

Andrea Beccarini

Alessandro Carniel

Alessandra Sola