Algorave: algorithm e rave. Un modus operandi che si pone come punto di intersezione tra l’arte generativa e la scena rave.
Cos’è successo negli ultimi dieci anni? Come sono cambiati i modi di sentire e vedere? Le persone vanno al cinema per guardare visual art, per ascoltare il puro sound design, si recano nei musei per vedere installazioni multimediali e vanno ai rave a ballare algoritmi. Com’è cambiato il modo di fare musica? Non si scrivono più le note ma si scrivono codici. Ok, stiamo tirando troppe somme tutte insieme. Facciamo un passo alla volta. Parliamo di quello che crediamo sia una delle più innovative filosofie della scena musicale degli ultimi tempi: parliamo di Algorave.
Cos’è Algorave? La parola nasce dall’unione tra algorithm e rave. È infatti un modus operandi che si pone come punto di intersezione tra l’arte generativa e la scena rave perché è un party in cui la musica e visual sono generati in live coding o usando codici per comporre live. Tradotto? La musica non si scrive più soltanto sotto forma di note ma scrivendo codici unici, personali.
Che linguaggio usa Algorave? È costituito da “suoni interamente o prevalentemente caratterizzati dall’emissione di una successione di condizionali ripetitivi”. Usa un linguaggio di scrittura tramite programmi come IXI Lang, puredata, Max/MSP, SuperCollider, Extempore, Fluxus, TidalCycles, Gibber, Sonic Pi, FoxDot e Cyril: sistemi creati per costruire musica e immagini algoritmiche. Sappiamo bene che al giorno d’oggi la musica elettronica digitale viene prodotta tramite l’utilizzo di software specifici.
Quasi mai la figura del producer combacia con quella di colui che crea gli algoritmi/software per la produzione di musica. La sfida di Algorave è anche questa: abbattere le barriere artificiali tra musicisti e live coders, restituendo un’unione e una vera e propria identificazione tra le due differenti modalità creative.
Algorave è soprattutto una filosofia hacker basata sull’importanza di essere una community, sulla condivisione di codici tra algoravers ma soprattutto con il pubblico di questo movimento. A questi eventi vengono proiettati in tempo reale i codici generati. La filosofia della condivisione arriva così a sfiorare il suo massimo apice, proprio con la volontà di condividere con il pubblico ciò che sta avvenendo, ciò che si sta scrivendo, ciò che si sta ascoltando e vedendo.
È come se durante questa tipologia di eventi avvenisse una transustanziazione in reverso: il punto di riferimento per le persone non è il musicista informatico ma lo schermo, poiché mostra il processo di scrittura del codice sorgente in tutta trasparenza, in modo tale che il pubblico non solo ascolti ma veda tale processo di programmazione svolgersi, nudo e crudo.
Il live coding appare molto interessante anche nella misura in cui restituisce il dono dell’improvvisazione alla composizione, specie in un contesto come il nostro dove sono poche le istituzioni che danno una formazione improvvisativa nello studio della musica elettronica o elettroacustica.
Ma quando nasce Algorave? TOPLAP la live coding community ha festeggiato già 15 anni dalla sua fondazione ma è da poco che in Italia si sente parlare del movimento, oltretutto di recente al primo Alograve di Roma è stato presentato il nuovo nodo Toplap Italia, uno strumento che facilita la conoscenza reciproca e lo scambio di idee tra i live coders, stessa cosa vale per Live Coding Italia. Il primo avvenne a Londra, come concerto di apertura durante il SuperCollider Symposium 2012.
Ma il termine vero e proprio è stato coniato nel 2011 mentre i live coders Nick Collins e Alex McLean erano in viaggio tra le strade del Regno Unito: ad un tratto si sintonizzano su una stazione radio pirata di stampo happy hardcore, mentre si stavano dirigendo a un live. Da quel momento in poi il movimento è cresciuto in maniera esponenziale: dall’Europa all’Asia, dall’Australia al Nord America.
L’intera idea non è del tutto nuova: l’approccio algoritmico è stato a lungo applicato nell’electronic dance music già dal 1970, da Brian Eno che, durante la sua lunga carriera, riversò le pratiche di randomizzazione musicale all’interno della musica generativa. Ma del tutto innovativo rimane l’approccio: Algorave si concentra sugli esseri umani che la musica la fanno e la ballano.
I musicisti si assumono la piena responsabilità della musica da essi prodotta, senza troppe pretese circa la creatività del loro software ma usando qualsiasi mezzo a disposizione. Il focus è interamente sulla musica e sui dancers, più che a ciò che il musicista sta facendo. Le best practices dell’old school rave si fondono alle più futuriste sonorità aliene. Il vero senso creativo risiede nella condivisione di intenti: fare una grande festa.