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I temi dell’ecosostenibilità, della precarietà delle condizioni dell’ambiente che ci circonda e della conseguente necessità per tutti noi di adottare pratiche di tutela e rispetto del nostro pianeta sono ormai (e tuttavia, già tardi) all’ordine del giorno.

Dalle parole di Greta Thunberg all’impegno di un crescente numero di aziende nel mondo a lavorare in questa direzione, siamo quotidianamente bombardati da notizie e dati che ci ricordano il nostro impatto sul pianeta Terra e l’importanza di una rieducazione globale.

Avete mai pensato al fatto che anche la vita notturna possa avere conseguenze ambientali e che il futuro dei club vada immaginato anche in questo senso?

Più difficile da percepire e misurare per la sua natura in un certo modo “nascosta” dalle luci del giorno e delle altre attività che avvengono sotto gli occhi della maggior parte della popolazione, la nightlife ha un’economia a sé stante, più o meno florida a seconda del Paese in cui ci troviamo. In un certo modo, sembra che lo stato di salute di tali economie sia correlato al grado di avanzamento di un Paese nelle sue politiche di tutela dell’ambiente.

I migliori esempi arrivano, infatti, da Paesi come la Germania, il Regno Unito o da Ibiza, dove la cultura per la vita notturna esiste ed opera da decenni. Forti infrastrutture e politiche mature e collaudate, insieme a un pubblico più ricettivo e disposto a farsi inspirare da istituzioni (club e locali) di settore, hanno avuto come risultato alcune delle migliori iniziative a livello globale.

L’esempio di Berlino, di cui vi parlammo qualche mese fa, è come sempre uno tra i più degni di nota. Con l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2050, la città è sede di una serie di progetti che ruotano intorno al concetto di green clubbing e che prevedono ad esempio l’utilizzo di fonti rinnovabili, sistemi di raffreddamento e riscaldamento ad alta efficienza energetica, luci a LED anziché normali, migliore gestione e smaltimento dei rifiuti, progetti di dance-floor capaci di generare energia elettrica e molto altro.

Anche dal Regno Unito arrivano interessanti idee, come Strawars, un progetto volto a minimizzare l’utilizzo di cannucce di plastica in ristoranti, bar e locali di intrattenimento, fornendole solo se richieste espressamente dai clienti od offrendo un’alternativa biodegradabile. Sulla stessa tematica operava The Last Straw nel gennaio 2018, per cui la testata giornalistica inglese Evening Standard si fece promotrice di una campagna volta ad eliminare le cannucce di plastica dalle strade di Londra.

Ad Ibiza, infine, il tema degli ultimi DJ Awards è stato proprio l’ecosostenibilità: attraverso lo slogan “Plastic No More”, l’evento si è fatto promotore di un forte messaggio rivolto sia a chi lavora nell’industria musicale, ma anche a chi ne fruisce.

plastic takes 500 years to decompose sign

Fortunatamente, alcuni esempi virtuosi arrivano anche dal nostro Paese, come “Abbasso impatto”, una straordinaria campagna lanciata a marzo di quest’anno a Torino. I locali del quartiere San Salvario hanno infatti aderito ad un’iniziativa locale per diventare ecosostenibili, scegliendo prodotti e servizi (dai detersivi all’energia elettrica) con impatto inferiore sull’ambiente, con l’obiettivo ultimo di diffondere una maggiore consapevolezza delle proprie scelte di consumo, sia tra i clienti che tra gli esercenti stessi.

Sempre a Torino, l’associazione GreenTo, ispiratosi all’idea dell’associazione Less Glass di Genova, ha creato Plastic Free Movida, una rete integrata sul territorio cittadino per cui i frequentatori dei locali aderenti all’iniziativa possono acquistare al prezzo di un euro un bicchiere di plastica riutilizzabile, da usare ogni volta che vorranno comprare un drink. Al termine della serata, i clienti potranno decidere di tenere il bicchiere o restituirlo in un qualsiasi locale parte del progetto e ricevere la caparra versata.

Di qualche mese fa, infine, l’ultima edizione di successo dei ToDays, che ha applicato alcuni degli esempi virtuosi appena visti al contesto dei festival, raggiungendo l’importante traguardo di un evento completamente plastic free.

A fianco di tanti strutturati progetti supportati a livello politico e mediatico, o ancora, nati dallo sforzo congiunto di diversi Paesi, come ad esempio Plastic Pollution Coalition, sembrano nascere negli anni anche molte iniziative di scala minore, che attingono alla forza del concetto di comunità per farsi promotrici di tematiche di protezione dell’ambiente.

Julie’s Bicycle a Londra ne è un esempio: si tratta di una charity che supporta la comunità creativa locale, rendendola il luogo adatto ad ospitare la conversazione sulle tematiche ambientali e realizzare azioni concrete per combattere il cambiamento climatico. Operando nell’ambito delle arti e della cultura, l’associazione ha elaborato i “Creative Industry Green Tools”, un set di calcolatori online attualmente utilizzati da oltre 3.000 organizzazioni a livello mondiale. Questi strumenti permettono ai vari enti di misurare l’impatto sull’ambiente di locali, tour, eventi o festival.

Seppure difficile da immaginare e concepire in numeri assoluti, l’economia della dance music è responsabile di un’enorme quantitativo di emissioni di diossido di carbonio nell’atmosfera ed una delle cause primarie è il trasporto aereo. In un mondo dove il successo di un artista sembra determinato dal numero di show internazionali e conseguentemente dal numero dei suoi voli in giro per il mondo, è facile comprendere come questo determini livelli altissimo di inquinamento dell’aria.

Come evidenziato in uno studio riportato da Resident Advisor qualche mese fa, un volo andata e ritorno per l’Australia produce oltre cinque tonnellate di CO2, l’equivalente di quanto un normale cittadino produce in un anno. Le soluzioni a questa problematica sono in fase di studio e prevedono, ad esempio, la messa a punto di programmi di compensazione, per cui gli artisti sono invitati a spendere l’equivalente di quanto immettono nell’ambiente in forma di gas tossici, in progetti che si occupano di ripulire l’aria, preservare le foreste piantando nuovi alberi e così via. Alcuni artisti hanno deciso addirittura di smettere di volare, con conseguenze ovviamente impattanti sulla propria carriera.

pollution caused by aviation

La tematica del trasporto aereo riguarda anche i frequentatori di club e festival: voli estremamente economici hanno favorito ed aiutato il settore negli ultimi anni, fino a quando non è stato scoperto che Ryanair, ad esempio, è una delle dieci compagnie aeree più inquinanti d’Europa.

L’intero sistema sembra necessitare di un cambiamento più radicale, che vada anche al di là delle politiche di compensazione prima citate: pur essendo iniziative interessanti e con risultati positivi sull’ambiente, questi piani hanno, tuttavia, un risvolto psicologico da non sottovalutare. Artisti, clubber e, in generale, ognuno di noi, in quanto essere umano, è portato a pensare che la soluzione all’inquinamento sia semplicemente investire in progetti green. Estremizzare quest’idea ci porta a considerare l’approccio “inquino, però pianto nuovi alberi” come positivo, quando in realtà non lo è. Ecco che il cambiamento richiesto deve essere più profondo ed avvenire a livello culturale.

Utilizzare casi virtuosi degli artisti, considerati dalle masse come esempi da seguire e da imitare, non basta più. Forse è necessario considerare l’intera economia dei voli economici, del fast fashion, dell’usa e getta, del next-day delivery come qualcosa da cui allontanarsi, poiché responsabile delle preoccupanti notizie sull’ambiente che vediamo ogni giorno. Forse noi, in qualità di frequentatori di festival e club possiamo dare il nostro contributo, cambiando le nostre abitudini e modo di vivere, ma anche iniziare un movimento globale, creando una rete di contatto con clubber di tutto il mondo, ove scambiare opinioni e diffondere esempi positivi.

Quello che talvolta sembra difficile è proprio trovare queste reti ed immaginare questi spazi-fucine di nuove idee, soprattutto nel nostro Paese. Un’eccezione è rappresentata da Club Futuro, una vera e propria piattaforma di trasformazione culturale che mira a creare nuovi linguaggi e approcci per interpretare i cambiamenti, comprendere le criticità e cogliere le opportunità della cultura della notte e dei club. Con un team di ragazzi under 30 che condividono una grande passione per musica, notte e cultura, Club Futuro invita professionisti, accademici, designer, visionari, artisti e partecipanti all’ideazione collettiva del futuro dei club, fornendo loro uno spazio in cui dialogare, analizzare esempi virtuosi e guardare al futuro in maniera costruttiva.

Il fil rouge di queste iniziative e la nostra speranza è che l’amore per il clubbing si rifletta in amore per l’ambiente e che, sui dance-floor di tutto il mondo, possiamo ballare consapevoli di proteggere la nostra Terra.

Non ci sono dancefloor su un pianeta che muore, purtroppo.

(foto di Sarthak Navjivan, John Tison e Joshua Hoehene)

(in collaborazione con Club Futuro)