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Batu inaugura la label Lethal Press con “Question Mark”, un EP che ridefinisce la club music tra futurismo sonoro e bass music sperimentale.

Con “Question Mark“, Batu inaugura Lethal Press, nuova etichetta sorella della raffinata Oath di Istanbul, e firma il suo primo EP su un’etichetta esterna dopo sette anni. Una mossa non casuale: il producer di Bristol, alias Omar McCutcheon, sceglie questo nuovo spazio per rilasciare un progetto che sintetizza il percorso intrapreso negli ultimi anni. Tra sound design sperimentale e il suo recente focus verso una club music ipermoderna con una marcata impronta britannica.

Abituato a lavorare in autonomia attraverso le sue label Timedance e A Long Strange Dream, Batu coglie qui l’occasione di creare un dialogo con una piattaforma esterna, consegnando un lavoro che è tanto discografico quanto curatoriale.

Il titolo dell’EP evoca ambiguità e apertura al possibile. Non è solo una provocazione retorica, ma una vera e propria estetica dell’incertezza. Permea profondamente tutti e quattro i brani: ogni traccia è una domanda aperta, mai una risposta.

L’apertura affidata alla title-track è già un’introduzione all’estetica del progetto. “Soupy arpeggios”, “metallic shrouds” – descrizioni azzeccate che evocano una materia sonora densa e fluida, qualcosa di liquido ma pesante. Il beat è decentrato, il groove lascia spazio a un’architettura sonora che pulsa come un organismo artificiale.

Segue “Seize“, che si potrebbe definire il “banger” del disco, ma sarebbe riduttivo. Sì, qui c’è un basso rude e tagliente, ma è il dettaglio che fa la differenza – micro-sculture percussive, riempimenti obliqui. Una costante tensione tra caos e controllo, tipica della mano esperta di McCutcheon in studio.

Clump” introduce un groove dembow destrutturato, spogliato della sua sensualità per rivelare un’anatomia scheletrica fatta di basse frequenze striscianti. Il brano si muove intorno ai 100 BPM, il tempo ideale per far emergere ogni modulazione infinitesimale. Batu mostra qui la sua abilità nel manipolare texture: i dettagli emergono e scompaiono, i colpi di batteria scintillano su un fondale quasi liquido.

Chiude “Meridian“, traccia che potrebbe essere definita ambient, se non fosse per la sua gravità interna, quel peso specifico che la fa suonare come il punto zero di una nuova cosmologia ritmica. È qui che Batu si avvicina maggiormente alla trascendenza, ma non con la leggerezza del new age, piuttosto con il respiro di una musica rituale per un’era ipertecnologica.

Con “Question Mark”, Batu non solo lancia una nuova etichetta, ma stabilisce anche un nuovo standard per ciò che la club music può – e forse deve – diventare nel 2025. Un suono che non si accontenta di intrattenere o evocare, ma che insiste nel trasformare. Batu non offre risposte, ma enigmi ritmici, sculture sonore in movimento che sembrano tratte da un futuro disallineato. In un’epoca in cui molta elettronica si rifugia nel comfort del revival o della nostalgia, lui continua ad andare verso un altrove ancora informe.