Gli anni passano ma “Berlin Calling” rimane un cult assoluto per tutti gli amanti della club culture. Quali sono state le ragioni di tanto successo? Ecco tutto quello che devi sapere sul film che ha fatto di Berlino la capitale della techno europea.
Musica e film sono sempre stati due forme d’arte profondamente intrecciate. Ci sono film che attraverso la propria colonna sonora sono diventati dei colossal (vedi “Inception” o “Interstellar”, entrambe frutto del genio di Hans Zimmer) e poi ci sono film che hanno messo la musica al centro del proprio contesto narrativo. Oggi, vi parliamo di uno di questi: “Berlin Calling” compie 14 anni dalla sua pubblicazione.
Questa pellicola è invecchiata, però continua ad esercitare ancora un certo fascino. Riguardarla oggi provoca un certo effetto: é quasi un’azione amarcord, perché tanto la musica quanto il mondo che ruota attorno ad essa è profondamente cambiato.
Questo film ha influenzato tanto e tanti. All’epoca rappresentava la differenza, l’avanguardia. E a buon ragione, sotto alcuni aspetti, lo è tutt’ora. In successione trovi alcuni aspetti che (forse) non avevi mai considerato di questo film e che, anche inconsapevolmente, hanno influenzato il tuo modo di intendere la musica elettronica. Prima di proseguire, schiaccia play e riascolta “Berlin Calling“.
1. Berlin Calling, ovvero il canto del cigno dell’industria cinediscografica.
“Berlin Calling” non ha inventato un bel niente. Ha raccontato una storia (che, col senno di poi, appare anche piuttosto banale) ponendo al centro il Djing e l’universo del clubbing. Non è stato certamente la prima pellicola a fare questo. Anzi, ci sono pellicole che raccontano “storie elettroniche” in modo molto più convincente ed interessante.
Con tali premesse potrebbe sembrare tutto piuttosto contradditorio. Verrebbe da chiedersi del perché “Berlin Calling” è un cult per chiunque sia cresciuto fra gli anni ’90-’00. Capire il successo di questo film, e ricordiamo che stiamo parlando di una pellicola indipendente (quindi low-budget), è piuttosto semplice: rappresenta il mondo della notte in modo tanto romantico quanto crudo e decadente. Una decadenza ricca di fascino.
Di film sulla club culture ne sono usciti prima del 2008-09: penso a “24 Hours Party People” e “Groove” (2002), a “Party Monster” (2003) o, ancora, “It’s All Gone Pete Tong” (2004). Quello che ha reso “Berlin Calling” un unicum rispetto al resto è il fatto di aver mostrato, prima di altri, la visione del Dj. Una prospettiva inedita, autoriale. È un film tecnicamente valido? Non proprio, ma rimane senza ombra di dubbio qualcosa di originale rispetto alle produzioni precedenti.
2. Ha lanciato (definitivamente) la carriera di Paul Kalkbrenner
Su un aspetto Berlin Calling è assolutamente fedele: DJ Icarus (a.k.a. Paul Kalkbrenner) è un DJ in ascesa, con alcuni lavori all’attivo e tanta voglia di emergere. La carriera dell’artista tedesco inizia nel 2001 con alcuni lavori per BPitch Control – “Superimpose” (2001) e “Zeit” (2001) pubblicati sotto lo pseudonimo “Paul Db+”. È nel 2004 però che Kalkbrenner inizia a fare sul serio: il 1° marzo viene pubblicato “Self“.
A differenza dei precedenti dischi, con questo album l’artista introduce una componente narrativa. Ogni brano sembra essere parte di un progetto più ampio, una sorta di racconto che si articola attraverso sonorità sempre differenti. A suggellare il successo dell’album arriva il singolo “Gebrünn Gebrünn” – pubblicato nel 2005 – che mostra le grandi potenzialità crossover di Kalkbrenner.
Come avrete avuto modo di capire, che Kalkbrenner fosse un Dj con grande potenzialità era chiaro ancor prima di questo film. Era sicuramente un artista apprezzato, ma non una superstar di caratura mondiale. Dopo “Berlin Calling” la percezione popolare dell’artista – ma anche della nightlife – cambia sotto ogni aspetto.
Nella produzione filmica tutti gli elementi erano al posto giusto. Vuoi una colonna sonora imprescindibile, vuoi una rappresentazione del clubbing come realtà bohémien contro la piattezza del grigiore cittadino o, ancora, il citazionismo a “Trainspotting” di Danny Boyle: tutto ha contribuito a fare di “Berlin Calling” (e del suo protagonista) icone nazional-popolari della club culture.
3. Ha incentivato il turismo musicale a Berlino
Se oggi consideriamo Berlino la capitale della musica techno, un ruolo decisivo l’ha giocato anche “Berlin Calling“. Nel film infatti sono ritratti alcuni locali diventati un must per qualsiasi clubbers deciso a visitare la capitale tedesca. Nel 2022 questa spinta nello scoprire la città è venuta meno, complice anche il fatto che (ahimè) alcuni luoghi come il Bar 25 o il Maria am Ostbahnhof sono stati chiusi.
A rimanere intatto è lo spirito della città: ribelle, multietnica, divisiva e, soprattutto, autentica. Chiunque guardi “Berlin Calling” non potrà che rimanere affascinato da alcune riprese. Ognuno di noi ha desiderato, almeno una volta, di poter ascoltare la propria musica osservando il sole calare sullo skyline berlinese. Se siete fra queste persone, sappiate che questa pellicola ha avuto un’influenza anche su di voi.
4. “Berlin Calling” ha creato un immaginario collettivo
Per quanto il film sulla storia di Dj Icarus sia piuttosto semplicistico nella trama, ha contribuito – con i suoi pro e contro – a creare una visione collettiva della nightlife. Il mondo della notte è fatto di ombre e luci stroboscopiche, di artisti e promoter, di accordi discografici e vincoli di amicizia. Per molti lettori ciò potrebbe risultare un’ovvietà, eppure, nel 2008-2009 questa consapevolezza non apparteneva al grande pubblico.
Non vogliamo sostenere che prima di “Berlin Calling” fosse tutto avvolto da un alone di mistero, però, è altrettanto vero che questo film rende ancora più esplicite alcune dinamiche che i più finivano per ignorare.
Se da un lato quanto appena detto è un elemento positivo, il colpo di coda è che il film ha rinvigorito quella visione (retrograda) secondo cui “il club è dove si consuma la droga!“. Sarebbe stupidamente fazioso negare il problema: la droga nei club esiste, ma non meno di quanto avviene in altre realtà – clicca qui per approfondire.
Ridurre però “Berlin Calling” ha un film di “sesso, droga e Rock ‘N’ Roll” sarebbe come definire “Shining” uno splatter di fondo psicologico – finendo dunque per banalizzare i vari momenti di tensione che il film offre.
Questo film ha dato un volto alla Berlino che balla, indicando una realtà intrisa di cultura, passione e divertimento. E di questo dobbiamo solo che esserne felici.
5. Ci ha regalato una colonna sonora divenuta cult
Se pensiamo al mondo cinematografico, alcuni film sono passati alla storia, oltre che per profondità, anche per l’uso sapiente della musica – ad esempio il già citato “Shining“, “Lo Squalo“, “Eyes Wide Shut” o “Halloween“. Con “Berlin Calling” però ci addentriamo in un particolare ambito della produzione filmica, e in questo è molto più difficile trovare colonne sonore capaci di reggere il confronto.
Il lavoro fatto da Paul e Fritz Kalkbrenner – perché si, il fratello Fritz Kalkbrenner ha collaborato a piene mani all’interno della soundtrack sebbene non gli sia mai stato riconosciuto un grande merito da parte del pubblico – è semplicemente magistrale.
Tutti associano “Berlin Calling” a “Sky and Sand“, ma sono tante le perle contenute nell’album – penso ad “Aaron“, “Train“, “Azure” o “Revolte“. Insomma, limitarsi alla prima delle canzoni citate è veramente un peccato. E se pensiamo al mondo cinediscografico diventa veramente difficile trovare rivali che siano riusciti ad entrare nella cultura popolare così come le canzoni presenti in “Berlin Calling“.
Un confronto potrebbe essere azzardato con “Trainspotting” e la sua iconica “Born Slippy” degli Underworld, ma sarebbe inappropriato. Nel caso di “Trainspotting” una canzone esistente è stata utilizzata in modo magistrale per descrivere una situazione. Nel caso di “Berlin Calling” tutto è inedito: ogni canzone è stata creata da zero in modo da rappresentare il contesto narrativo del film. E direi che la realtà ha superato di gran lunga le aspettative, facendo dell’omonimo album un cult della musica elettronica.
Cosa succede se immergi la cultura pop nella capitale della techno? Nasce Berlin Calling
Che il film di Hannes Stör non sia un capolavoro è inutile scriverlo. Ciò che lo ha reso il cult generazionale che è poi diventato è stata una commistione di elementi.
Fermiamoci un attimo e cerchiamo di ripercorrere il momento storico. Il 2008 è l’anno della crisi economica in Europa; Apple lancia il primo iPhone nel nostro continente; le droghe sintetiche raggiungono un nuovo boom in termini di consumo (a riportarlo è lo stesso Istituto Superiore di Sanità).
Considerando quanto appena detto, è facile comprendere il successo della pellicola: “Berlin Calling” era assolutamente credibile – attenzione, non reale! Era la perfetta visione romanzata di una società affetta da una crisi economica e che cercava nella musica un modo di uscire da questo stallo, sfociando in eccessi e contraddizioni interne.
Proprio per questo abbiamo amato “Berlin Calling“: pur consapevoli che non fosse la realtà, ci permetteva di sfiorare un mondo dai contorni sfumati, in cui il limite tra giusto e sbagliato era segnato dal solo colpo di cassa. Ed è perfetto così.