Ceri, ospite dello Spring Attitude Festival, è uno dei produttori più interessanti della scena pop italiana. Ha collaborato con artisti del calibro di Frah Quintale, Coez e Alan Sorrenti.
Innovativo, consapevole e curioso sono i tre aggettivi che secondo noi descrivono Stefano Ceri, musicista e produttore che ha contribuito alla nascita di un suono ben definito nel mondo della musica pop italiana. Ospite dello Spring Attitude Festival, che si terrà a Roma il 10-15-16-17 Settembre, abbiamo avuto il piacere di intervistare Ceri. Abbiamo affrontato diverse tematiche che vanno dall’hip hop alla musica elettronica, fino al suo ultimo disco fino ad arrivare ai problemi che il mercato musicale sta patendo in questo momento storico.
Frequenta il conservatorio di musica elettronica ed inizia un percorso di produzione e sperimentazione per l’etichetta milanese Undamento. Deciso, eclettico e concentrato, negli anni, Ceri ha collaborato con nomi davvero importanti. Primo tra i quali l’amico Frah Quintale, per poi incontrare artisti come Alan Sorrenti, Mahmood, Salmo, Coez, Calcutta, Franco 126, i Crookers e Joan Thiele.
Negli anni diventa sempre più influente all’interno della scena pop italiana, ma la sua sperimentazione e la sua ricerca non risulta mai superficiale. Nel 2021 Ceri produce e pubblica WAXTAPE, album solista nel quale esprime tutta la sua vena elettronica, combinando ritmi incalzanti da club con melodie tipiche delle sue influenze stilistiche.
Un disco ricco, quello di Ceri, composto da 27 tracce, tra le quali possiamo trovare dei suoi remix e dei pezzi prodotti con artisti come GINEVRA, Joan Thiele e cmqmartina.
Colonna portante dell’album è il suo singolo “Soli Insieme“. Il ritmo e la ricerca del sound giusto sono al centro della produzione di Ceri, su cui è stato realizzato il video ufficiale in UK ed ora è candidato come miglior video al “Berlin Music Video Awards 2022“.
Ciao Ceri, benvenuto su Parkett. Sei un giovane e brillante produttore di musica elettronica. Mi farebbe piacere incominciare l’intervista chiedendoti di raccontarci cosa hanno visto i tuoi occhi e cosa hanno sentito le tue orecchie da quando hai concluso il conservatorio ad oggi, qual è stato il tuo “viaggio” stilistico e sonoro?
Ciao a tutti, è un piacere essere qui con voi.
Durante il conservatorio di musica elettronica avevo sentito delle cose che probabilmente puoi sentire soltanto lì, ma non perché sei più figo, ma proprio perché nessuno è interessato a sentire quelle cose lì, e per certi versi è anche comprensibile soprattutto in quegli anni.
Il mio percorso dopo il conservatorio (che non ho terminato) è legato a doppia mandata a tutto il filone musicale di Undamento e di fatto è con loro che ho iniziato a produrre musica. Quindi ho iniziato grazie la produzione del secondo disco di Coez poi successivamente con Frah Quintale e così via. La musica prodotta diciamo che si potrebbe definire pop anche se poi l’hanno chiamata anche in un altro modo.
Di che genere di musica ti nutrivi nel periodo in cui sei uscito dal conservatorio?
In realtà io non mi ricordo mai che cosa ascolto in passato. Può addirittura capitare che io mi fissi su di una canzone, che l’ascolto per tre settimane di fila e poi smetto completamente di ascoltarla. Tieni conto che, stando magari 8 ore in studio a fare musica, quando esco l’ultima cosa che voglio fare è ascoltare altra musica. Anzi, spesso mi succede che torno a casa e devo ascoltare di nuovo quello che ho fatto in studio per terminarlo.
Non sono fissato con un genere in particolare. Sono stato grande amante del rap, del soul e del funk per tutta l’adolescenza, perché comunque sono generi molto interconnessi. La musica black mi è sempre piaciuta molto e penso che si senta nelle influenze e nei dischi prodotti con Frah Quintale.
Di recente ho dato un grosso taglio all’ascolto del rap poiché preferisco ascoltarne poco ma di grande qualità, o come ad esempio la trap, che all’inizio ne ascoltavo tantissima nel periodo in cui usciva senza il rap sopra, fino a quando né ho ascoltata sempre meno.
Di conseguenza ciò che ascoltavi lo sperimentavi anche nelle tue produzioni?
All’epoca avevo un gruppo con cui facevamo rap ed io ero il produttore. In quel periodo ascoltavo molta musica elettronica come, ad esempio, Crookers o anche della dubstep, nonostante la dubstep quella “da festival” non mi fosse mai piaciuta. Ovviamente in quegli anni nelle produzioni iniziavo ad inserirci del rap, anche a causa dei miei dieci anni di ascolto di quel genere lì, e piano piano tutti quanti iniziarono a farlo.
Questa pratica nel tempo ha fatto venire fuori nomi iconici come, ad esempio, Salmo ed altri grandi artisti. Sicuramente la musica che ho iniziato a produrre dopo il conservatorio era ben lontana da quella che creavo durante la mia formazione, e di certo se un mio maestro avesse sentito quello che poi ho iniziato a produrre successivamente, credo che si sarebbe fatto una bella risata.
Un percorso ricco di influenze che ha portato i suoi frutti.
Si. Il risultato quando lavori bene, conosci bene la musica, hai un po’ di culo ed hai delle persone giuste intorno. Sono diverse componenti.
Credi che “il giro” sia molto importante nel successo personale di un produttore?
Questo non l’ho mai capito. Il mio giro di persone che conosco sono le stesse con cui sono cresciuto e con cui faccio musica. La mia etichetta è composta dalle persone che conosco da praticamente sempre quindi non ho mai avuto quel problema di dover dire “oddio ma io ho della musica che secondo me è figa ma a chi la faccio sentire?”. Non mi sono mai dovuto preoccupare di andare da uno che non conoscevo e dirgli “senti la mia demo”.
Certamente è molto importante, quindi rispondo alla tua domanda dicendo di sì. Se tu hai delle persone intorno che non capiscono la tua musica oppure non gliene frega niente è difficile riuscire a muoversi. È vero che al giorno d’oggi con gli strumenti che abbiamo è “facile” produrre qualcosa che in qualche modo parta. Facilmente diventa virale. Il grande problema rimane sempre mantenersi dentro a questo gioco, quella è la parte più difficile. In quel caso devi esprimere le tue capacità e la tua comprensione del mondo, poi le persone che hai intorno possono influire positivamente o negativamente.
Il tuo stile ed il tuo sound è chiaro e preciso, mi incuriosisce sapere quali sono state le tue influenze elettroniche negli anni passati.
Non ho mai avuto un approccio analitico alla musica, l’ho sempre presa come un gioco. Per farti un esempio di quello che intendo, ho non so quanti giga di suoni di batteria sul computer e ogni volta che ho bisogno di un pezzo di quelli, non vado ad ascoltarli tutti per trovare quello giusto. Delle volte lo becchi al primo colpo, delle volte ci metti un po di più e altre volte non lo becchi mai.
Capita che io mi fissi su un pezzo, che lo ascolto tanto e magari da quel pezzo sviluppo altre idee che magari in futuro prendono tutt’altra forma. Io credo che questo processo sia veramente casuale.
Una delle cose che mi ha ispirato di più nella realizzazione del mio disco è stata la musica vecchia. Ad esempio la progressive trance che suonavano in Italia negli anni 90 mi ha colpito molto. Era uno di quei generi che non ascoltavo minimamente in passato, poi quando ho iniziato a masticare quella musica lì ho detto “wow questo mondo è pazzesco!”. Altra cosa sempre molto utile che faccio spesso è beccarmi con degli amici ed ascoltare musica per incrociare le cose che ascoltiamo, lo trovo molto stimolante.
Un disco che ultimamente ho ascoltato tantissimo è “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti. Sia perché ho lavorato insieme a lui, sia perchè adoro tutte le sue canzoni, non a caso ho recuperato una quantità di suoi pezzi vecchi e li ho riascoltati tutti.
“Waxtape” è un grande lavoro. Si percepisce ciò che hai sentito e vissuto, di quel che hai reso tuo e che hai voluto restituire al mondo. Ti andrebbe di raccontarci il processo creativo e manuale che ti ha portato al prodotto finale?
La traccia principale del disco è “Solo Insieme” ed è stata sviluppata per caso. Ero a casa e stavo lavorando con la “Push2”, una beat machine che non ha la tipica tastiera con le note ma solo tanti bottoni bianchi, e da alcuni lavori con questo macchinario che ti permette di uscire bene dai classici schemi delle note, mi è venuto fuori il sound della traccia. Possiamo dire che questa traccia è venuta fuori da una serie di lavori e di produzioni che ho accumulato negli anni e che ha preso forma solo adesso, è come se fosse una raccolta di pezzi che ho elaborato nel tempo.
La maggior parte delle tracce le ho fatte dentro il mio letto di casa con il computer sulla pancia. Questa traccia in particolare è stata una sorta di risposta, di sfogo, quasi un desiderio di distrazione della musica almeno per come la vedo io. È stata la mia valvola di sfogo che mi ha permesso di cercare qualcos’altro.
Il “mixtape” è una raccolta di più pezzi, che, come dicevo prima, sono un grande insieme di materiale prodotto in passato, di materiale ritoccato in tempi recenti e di nuovi esperimenti. Le tracce che mi piacciono di più sono quelle che sono venute fuori verso la fine, quelle più veloci e più oscure però chiaramente anche le parti melodiche mi piacciono molto.
In una bella dichiarazione hai detto “ WAXTAPE è comprendere che la musica è un liquido e in essa non c’è (o meglio non dovrebbe esserci) nessuno schieramento di genere”. Spesso siamo spettatori di atteggiamenti discriminatori e di fobia. Quale credi sia la miglior cura a tutto questo odio e incomprensione nel mondo della musica e dell’intrattenimento?
Vecchio mio, se avessi la risposta veramente non saremmo qui, mi piacerebbe tanto saperlo. La formula magica non c’è, tutti noi che facciamo musica dovremmo prenderci sul groppone anche delle responsabilità e non solo la necessità di fare i soldi o fare i numeri, ogni tanto bisognerebbe anche dire “senti questa roba qua non la faccio, faccio quest’altra cosa”.
Prendiamo ad esempio la fobia dello svuotare la pista, il dj se mette solo roba che piace alla pista, alla fine il dj svuoterà la pista. Tutti noi dovremmo rischiare ogni tanto, magari ogni tanto bisogna anche osare nella scelta musicale, uscire dall’algoritmo di ciò che funziona, anche perché così facendo apriamo i nostri orizzonti ed esploriamo musica nuova.
Il mio tentativo, o almeno è la cosa che vorrei succedesse, è quello di rischiare un po’. Chiaro, andare sul sicuro ripaga sempre, però si piò anche tentare a volte.
La musica non potrà salvare il mondo, ma può cambiare molte cose. Alla fine, è solo dell’aria che si muove eppure convince 10.000 persone a spendere 30 € tutte allo stesso momento. Quindi sono convinto che anche la musica svolga una funzione educativa, bisogna smetterla di pensare solo di accontentare il mercato ma bisogna anche dimostrare qualcosa, poi è veramente un ragionamento è un discorso molto complesso ovviamente, si potrebbe stare giornate intere.
Gli artisti dovrebbero farsi carico di diffondere idee che a volte possono risultare scomode?
Certo ma secondo me lo dovrebbe fare solo chi si sente pronto a farlo. Spesso si rischia di cadere in bufere mediatiche da parte dei media, quindi è importante secondo me partire da un atteggiamento in generale senza pregiudizi, senza giudicare negativamente ciò che fanno gli altri e rispettarsi di più vicendevolmente.
Se vogliamo fare un esempio, se tu artista riesci a far capire al pubblico e alle persone in generale che la musica non è soltanto quella che propone l’algoritmo di una piattaforma ma è anche il disco che trovi nel negozietto mezzo buio già hai svolto una sorta di “educazione” molto importante.
Altro esempio, se si va ad un concerto e magari ci sono delle band o degli artisti che aprono il concerto. Magari sarebbe bello iniziare a capire che aria tira fin dall’inizio del concerto, e non soltanto quando arriva il protagonista. Ci sono dei posti nel mondo dove la gente va nei club anche per sentire con attenzione il dj resident con la giusta emotività.
Serve maggiore rispetto sicuramente, sia per l’artista che sale sul palco, ma anche il rispetto dell’artista per il palco in sé, queste sono due cose che ogni tanto ho visto mancare.
Credi personalmente che il mondo della musica debba fare di più per combattere le discriminazioni e raggiungere uno scopo educativo sia del pubblico che della società in generale? Spesso si fa un uso improprio dell’immagine degli artisti, soprattutto se donne.
È veramente brutto, la propria immagine non dovrebbe mai essere oggetto di questo genere di cose. Io spero che tutto questo vada scomparendo. Non è una cosa sostenibile credere ad esempio di sfruttare un artista che vuole fare la dj solo per la propria immagine. Secondo me esiste una giustizia universale, che giudicherà nel tempo la musica immessa sul mercato. Prima o poi si smetterà di dare il palco all’artista montato che spacca piuttosto che all’artista che non conosce nessuno ma che propone musica davvero di qualità.
Bisogna combattere ogni tipo di discriminazione, verso chiunque e in ogni campo.
L’universo della musica è giusto che si intersechi anche con altri universi, quello del marketing, della promozione e della vendita. Spesso però si eccede, si compiono scelte puramente strategiche e ci si scorda della qualità della produzione artistica.
Esatto, ti faccio un esempio. In Italia ci troviamo in un mare piccolo e ci si conosce tutti, e spesso chi fa musica è in competizione con gli altri. Quindi devi sempre riuscire a battere gli altri sui numeri, sui soldi o sull’hype. Invece bisognerebbe pensare che se dovessimo prendercela con qualcuno, dovremmo farlo con “la pizza del sabato sera”. In che senso? Nel senso che se produciamo musica scadente, musica riciclata, il tuo pubblico inizierà a preferire mangiare una pizza il sabato sera piuttosto che venire al tuo concerto.
Inoltre, si aggiunge l’ansia dello stare fermo un attimo, la paura di essere superati e che sfocia sempre nel compiere scelte sbagliate, dunque bisogna avere un po’ di pazienza. Credere nel proprio percorso e nella propria visione poi magari non funziona, però hai molte più chance di funzionare così che provare a spremerti fino alla morte.
Noi che produciamo musica sentiamo dire spesso “vabbè ma che te ne frega tanto questi non capiscono nulla”…eh non ci metterei la mano sul fuoco! Senza dubbio la maggior parte del pubblico magari non riconosce esattamente se ho utilizzato un do o un do maggiore in un giro di accordi, però questo non sta ad indicare che il pubblico non capisce nulla. Quindi bisogna sempre puntare a proporre materiale di qualità. Soprattutto a suonarlo bene, perché spesso capita che un artista che propone ottima musica ma la suona con pessime casse, fa un pessimo rendimento.
Durante la tua carriera, Ceri, hai prodotto per diversi nomi importanti nel panorama pop italiano. Ti andrebbe di raccontarci lo stile, l’approccio e la creatività che mettevi sui lavori in collaborazione paragonandoli a ciò che mettevi sui tuoi lavori personali?
Eh, tosta questa domanda. Sono sicuramente sempre io, è altrettanto sicuro che gli approcci tecnico-pratici sono diversi. Gli scopi sono diversi e anche il modo di fare è diverso, nel senso che il mio disco l’ho fatto da solo mentre gli altri dischi dei cantanti che ho prodotto erano in collaborazione con altre persone oltre a me stesso. Spesso mi dico che sarebbe bello avere un produttore e non essere tu quel produttore, perché a volte manca la persona che ti dice “ok adesso è finito, fermati”.
In tutti i miei lavori, il segreto è metterci sempre il 100%. Quando avvio nuovi progetti mi ci infilo dentro proprio di testa ed ho difficoltà a fare le cose con “il freno a mano tirato”.
Quali sono le differenze?
Quando produco per altri io mi sto concentrando su altri, non è principalmente il mio disco. Spesso quando collaboro con un artista devo entrare nel mondo di questa persona e cercare di colorarlo con le mie capacità e con la mia sensibilità. Devo capire se davvero servo in quel mondo là oppure no. Quindi di sicuro quando collaboro con altri sono “a servizio”.
Mentre quando produco per me è diverso, sono al mio servizio ed ho maggiore libertà che non è sempre necessariamente una cosa comoda o bella. Di sicuro l’obiettivo è riuscire ad avere lo stesso scrupolo di quando fai le cose per terze persone. Spesso il mio compito nelle produzioni in collaborazione è proprio quello di dire “ok è finito”. Quindi questa forse è la differenza grossa tra il produrre per altri e produrre per se stessi, quando sei da solo non è sempre semplice ed immediato dirti “hai finito”.
Se lavoro con un altro artista devo entrare nel suo mondo e delle volte mi ritrovo ad entrare in simbiosi con lui, ad entrarci in forte connessione, questo aspetto quando produci da solo purtroppo manca. Tecnicamente esistono una miriade di differenze nelle produzioni, come ad esempio quando collaboro con altri parto da strumenti e accordi di chitarra o giri di piano, mentre magari quando produco per me parto da un bel groove e poi sviluppo il resto.
Spring Attitude sarà una bella opportunità per suonare i tuoi ultimi lavori di fronte un pubblico attento. Cosa ne pensi del festival e della musica che proporrai? Che stile pensi di adottare?
Sicuro proporrò musica da club, cioè voglio suonare proprio le tracce dell’album ed altre cose. Non suonavo allo Spring Attitude Festival dal 2018, anno in cui io e Frah Quintale ci siamo esibiti all’Ex Dogana. Come line up sembra veramente figo, proprio un bel Festival. Io sono carichissimo anche perché a Roma con la mia roba non ho mai suonato, eh quindi non non vedo l’ora.
Ultima domanda Ceri. Quali sono i progetti futuri di cui hai voglia di parlarci?
Sicuramente ad da ottobre usciranno due dischi che ho prodotto, uno in collaborazione con Alan Sorrenti, uno con un artista che stimo e che reputo davvero fresco. Per il futuro secondo me siamo veramente in un momento storico strano, penso che nulla sia chiaro e nulla sia definito.
Potrebbe succedere che cambino molte cose, credo che accadranno cose che non ci aspettiamo. Spero davvero che il futuro ci porti un po’ di movimento.
Grazie Ceri di essere stato con noi!