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Clone Records decide di ristampare “Grava 4” dei Drexciya, LP pubblicato dalla stessa Clone nel 2002.

L’album “Grava 4” venne originariamente rilasciato in concomitanza (forse anche in data post) con la serie “Storm“, una raccolta di sette album pubblicati tra il 2001 e il 2002, anno che coincise con la morte di James Stinson e il contestuale scioglimento del duo. Questa iniziò con l’album Drexciya – Harnessed The Storm e si concluse con Shifted Phases – The Cosmic Memoirs of the Late Great Rupert J. Rosinthorpe (per maggiori riferimenti, vi invitiamo a leggere quì).

Grava 4 fu l’ultimo LP prodotto sotto il nome Drexciya: otto tracce dalla profondissima influenza e suggestione “fanta-cosmica”.

Inoltre, la ristampa di Grava 4 segna l’ultima release pubblicata dalla Clone con il marchio Clone Aqualung Series, sub-etichetta in attività dal 2009 e già custode in passato di un corposo catalogo di produzioni drecxiyane, un progetto di “tutela” confluito nelle Drexciya-focused Aqualung Series. Giusto in veste di curiosità, ricordiamo tra tutte la ristampa del primo disco di Stinson pre-Drexciya intitolato “Hyperspace Sound Lab e prodotto nel 1991 (il gruppo si formò ufficialmente solo un anno dopo) sotto l’alias Clarence G. Parimenti, potrebbe anche interessarvi che la versione originale pubblicata dalla Flourescent Forest Rec si attesta attorno la cifra di ben 720€.

La futura release, di cui non possiamo anticiparvi la data esatta sicché questa ancora non è stata annunciata, presenta una strettissima fedeltà all’originale, unico aggiornamento ne è un semplice riordinamento della tracklist.

Commentare di elettronica e di Detroit implicherebbe una discussione che non potrebbe mai prescindere dal nome Drexciya, portavoce di quell’avanguardismo sonoro a fermo sostegno di ogni successiva generazione. Ma da dove nasce il nome “Drexciya” e perché la scelta di quel logo così unico, riconoscibile e distintivo? Perché quel così costante (quasi maniacale) richiamo a paesaggi ed atmosfere subacquee?

Secondo antichi credi Afro-Americani, Drexciya era il nome di un mondo ormai perduto e celato tra le più oscure profondità dell’Oceano Atlantico. Questa leggendaria terra sub-marina era abitata da anfibi antropomorfi, simili ai tritoni raccontati dalla mitologia greca. I figli “mai nati” delle donne di colore, morti quando ancora nel grembo delle madri date in pasto alle fredde acque oceaniche durante quegli episodi passati alla storia dell’umanità come “le tratte transatlantiche degli schiavi”.

grava 4

Cresciuti tra gli agglomerati di questa sconfinata metropoli sottomarina, una volta adulti sarebbero diventati i possenti guerrieri di una spietata lotta condotta, in onore della giustizia e dell’equità, contro la corruzione e l’egoistica presunzione di onnipotenza che ostenta l’umanità sulla terra ferma.

Ebbene, dato il suo considerevole impatto critico e simbolico, il mito della città di Drexciya e dei suoi abitanti ha prestato il suo nome al duo di musica elettronica di Detroit, il cui marchio ne divenne per l’appunto un essere dalle sembianze umanoidi-acquatiche, armato di ciò che sembra esser una simil-fiocina e schierato in posizione offensiva. 

Riccardo di Marco