Siamo stati al Decibel Open Air, tenutosi il 9 e il 10 settembre nella nuova area di Sesto Fiorentino (Firenze), durante la giornata di domenica. Vi raccontiamo com’è andata.
Sesto Fiorentino, Firenze – ore 15:00, il proprietario del B&B in cui dormiremo ci offre un passaggio direzione Decibel Open Air.
Durante il tragitto con il gestore in versione autista, unica alternativa al servizio taxi che non rispondeva proprio e alle navette messe a disposizione già sold-out da un po’ di tempo (che non fossero a sufficienza?), si affrontano diversi temi.
È un ragazzo giovane che inizia a raccontare quanto, anche lui, amasse la musica elettronica, i club, il Tenax. Passione accantonata per una recente paternità che al momento lo impegna totalmente.
Tra i vari discorsi su pannolini, pappette e poppate si parla anche del Decibel Open Air. Ci dice subito, scherzando, che se mai dovessimo tornare ubriachi sarebbe meglio vomitare nel giardino piuttosto che dentro casa.
Ma qui la cosa si fa divertente. Rispondiamo che questo rischio non esiste, visto l’assurdo divieto della prefettura di vendita di alcool all’interno del festival per motivi di ordine pubblico.
Scoppia in un’enorme risata. Incredulo, ci chiede come sia possibile proibire persino la birra ad un evento musicale che conta più di 50.000 partecipanti da tutto il mondo.
In effetti ce lo chiediamo anche noi, anzi, se lo chiedono tutti.
Qualche altra chiacchiera e arriviamo a destinazione.
Siamo costretti a scendere al volo su una rotonda, visto che anche la viabilità presenta dei problemi. Salutiamo e ci iniziamo a guardare intorno per capire dove andare. Non ci sono indicazioni chiare, sarebbe meglio dire: assenti.
Ecco che ci accorgiamo che il sentiero è ben indicato da strisce continue di bottiglie di vetro – guarda un po’ – di alcolici. Vino, birra, gin, vodka… Tantissime, infinite.
Anche noi la mattina abbiamo pensato di comprare delle birre. Ma nel raggio di qualche chilometro dal festival, il reparto liquori dei supermercati era ovunque semivuoto.
Ok, facciamo un passo indietro.
Scelte discutibili, birra analcolica e momento Superquark
Lungi da noi istigare all’abuso di bevande alcoliche altamente nocivo: da millenni l’essere umano utilizza l’alcool come afrodisiaco. Un consumo moderato a piccole dosi, oltre a ridurre le inibizioni e gli stati ansiosi, favorisce il desiderio e l’eccitazione.
Componenti fondamentali per un qualsiasi festival. Discutibili e miopi quindi risultano, alla fin fine, le scelte della prefettura. I motivi sono numerosi.
Primo, perché comunque fuori, prima o dopo l’evento, chi voleva bere poteva farlo, anche in modo – diciamo così – non idoneo, per entrare già un po’ “brilli” visto che all’interno c’era solo imbevibile birra analcolica e Red Bull.
Nel peggiore dei casi lasciando sull’asfalto pericolose piramidi di bottiglie di vetro (probabilmente non erano stati previsti dei cassonetti lungo il percorso, ma neanche dentro l’evento. Erano pochissimi).
Secondo, perché hanno creato un danno incalcolabile sia di immagine che di introiti, tra sponsor e un intero indotto affossato dall’ordinanza.
Terzo, perché anche solo per il gusto di andare contro un’ordinanza del genere non era raro sentire, per quanto sbagliate che siano, frasi del tipo: “Se non possiamo bere allora ci droghiamo di più!”
Quarto, la cosa più grave è che questo principio potrebbe essere adottato a qualsiasi tipo di evento pubblico o concerto. Che facciamo vietiamo il vino nelle innumerevoli sagre dell’uva sparse in tutta Italia?
A pensar male si fa peccato, ma questo sembra proprio un provvedimento figlio anche di quel decreto anti-rave impugnato dal governo.
Una condotta, a nostro avviso, pregiudizievole nei confronti del mondo della musica elettronica dove, invece di cercare di capirne il funzionamento e gestirne le situazioni (come avviene in tutta Europa) si sceglie la strada più facile e veloce: quella del proibizionismo. Neanche fossimo negli Stati Uniti d’America degl’anni ’20.
Alcune soluzioni (che comunque non sta a noi escogitare) potrebbero essere il potenziamento dei mezzi pubblici di trasporto o banchetti di informazione e sensibilizzazione sui rischi e pericoli dell’abuso di determinate sostanze. Soluzioni totalmente assenti.
Ma torniamo a noi. Torniamo al Decibel Open Air.
L’organizzazione del Decibel Open Air
Diciamo subito che l’organizzazione del Decibel è sollevata dalla colpa più grande: quella del divieto di vendita di bevande alcoliche. Anche se avrebbe potuto affrontare il problema in modo differente, magari con una comunicazione più regolare e tempestiva.
Poco credibile la loro versione di averlo saputo solo poche ore prima dell’inizio dell’evento, quando le persone erano già in coda ai vari ingressi. L’ordinanza della prefettura era dell’8 settembre.
Anche perché ricordiamo che un regular-ticket veniva a costare 75 euro, non proprio poco per l’effettivo servizio dato.
A quel punto potevano essere gestiti i prezzi all’interno del Decibel Open Air per venire incontro al pubblico, già letteralmente incazzato per i divieti sull’alcool. Non vendere una non-birra a 6 euro e un kebab a 9.
Pensiamo a tutte quelle persone che sono arrivate da lontano o da lontanissimo (Sud America, Estremo Oriente, Nord Europa). Si sono viste all’ultimo momento private di un servizio importante, senza avere la possibilità né di rivendere né di chiedere un eventuale rimborso per il biglietto, visto che erano già davanti ai tornelli d’ingresso.
Abbiamo ascoltato anche alcuni partecipanti che avevano il pass per entrambi i giorni e che quindi erano stati lì anche il giorno prima (sabato 9). Stavano cercando di rivendere il biglietto di domenica ad un prezzo molto più basso, proprio deluse da come fossero state gestite le cose.
Ma ecco che arriviamo anche noi davanti ai cancelli. Qualche altro passo ed entriamo.
Non prima, però, di aver subito una profonda perquisizione all’ingresso da parte delle forze dell’ordine anche con unità cinofile.
Ma, nonostante il loro ottimo lavoro, non sono riuscite a fermare l’ingegno dei soliti tipi strani che all’interno ci offrivano droghe dai nomi a noi sconosciuti, oltre alle più classiche sostanze stupefacenti che si possono trovano ovunque, anche al baretto all’angolo (ci dispiace per i benpensanti, cantava qualcuno, più o meno).
Comunque, dentro c’era un buon aroma di marijuana che saturava l’aria circostante grazie alla presenza di diversi Hemp Embassy che vendevano canne già rollate di profumata erba legale.
La situazione all’interno, tutto sommato, era abbastanza tranquilla. Gli allestimenti dei palchi erano molto belli e anche l’area, con i suoi spazi (bagni, zona relax, tensostrutture nelle food area), era stata suddivisa e organizzata molto bene.
Faceva caldo, ma almeno l’acqua, dopo la prima bottiglietta acquistata a 3 euro, era gratuita. Forse sarebbe potuta essere usata in qualche modo per umidificare il terreno invece di farci respirare tutta quella polvere.
La musica del Decibel Open Air
Arriviamo alla musica, che di un festival ne è solo una parte, anche se la più importante.
Pure qui c’è qualcosa da rivedere. Come la posizione di Lazza e Salmo, che hanno fatto il loro spettacolo (eccitante lo show pirotecnico del rapper sardo) ma che non c’entravano assolutamente niente in un contesto del genere.
Hanno canticchiato le loro canzoni spingendo techno sullo Jäger Stage e la gente li seguiva cantando con loro. Ma sotto c’era un dj set banale, figlio di Tik-Tok, debole, con attacchi e drop buoni solo per qualche storia Instagram.
Poi, a parte qualche “problemino” dell’ultimo secondo e qualche forfait sulla line up, la musica è andata più o meno bene.
Gli impianti dei tre palchi erano perfetti, tranne il nome dello stage centrale chiamato appunto Jäger, che strappava qualche risata e battuta, se non, presumibilmente, la rabbia dello stesso sponsor impossibilitato a vendere e fare pubblicità al suo prodotto.
Ma a fare da padroni sono stati i veterani della console, coloro che sanno come tenere un palco. Da Paul Kalkbrenner ad Amelie Lens, anche in dolce attesa, che ha chiuso la serata con il suo solito stile potente che divide il pubblico tra estimatori e detrattori.
Un po’ scarichi invece Jamie Jones e Loco Dice, per il resto abbastanza bene. Si sgabberava al Resonance Stage con Charlie Sparks e Dyen e si ballava con la musica dal sapore africano di AMÉMÉ al Social Music City Stage.
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Come gestire la console
Siamo rimasti invece piacevolmente sorpresi dalla gestione di tutte le console, più in linea – finalmente – con gli standard europei. Non c’era quel sovraffollamento che si vede spesso in Italia con zie, cugini e amici del DJ che stanno praticamente addosso alla console. C’era invece un back transennato che permetteva a noi di fare i nostri contenuti di comunicazione e lasciava l’artista libero di muoversi nel suo ambiente.
Dunque anche se tanto a livello organizzativo può essere decisamente migliorato e la vicenda dell’alcool ha deluso tutti, questo è un evento che merita le giuste attenzioni.
Un progetto che negli anni si è costruito diventando uno dei più grandi festival italiani, con aspirazioni internazionali, e che porta migliaia di turisti musicali in Italia e a Firenze.
Quindi, in conclusione speriamo che anche l’anno prossimo il Decibel Open Air venga nuovamente organizzato, perché abbiamo bisogno di festival del genere nel nostro paese.
Post scriptum
P.S. Siamo stati anche all’after non ufficiale organizzato da Silencio, tenutosi al Warhouse303, che distava circa 100 metri dal parco del Decibel Open Air, con D-Leria e Headless-Horseman in line up e vera birra a 5 euro. Questa è stata, per lo meno, la giusta conclusione di una giornata incredibile.
P.P.S. Alla fine siamo tornati a piedi e nessuno ha vomitato.
photo credit: ELEPHANT STUDIO