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Abbiamo speso qualche parola a commento di “Dreamy Harbor”, un various artist di 12 tracce targato Tresor Records e disponibile a partire dal 27 Gennaio.

Inutile affermare preliminarmente quanto siamo rimasti profondamente affascinati da Dreamy Harbor. Così tanto da poterci sbilanciare in una promozione a pieni voti.
Quì di seguito una sintetica ma spremiamo comunque esaustiva recensione.

Quasi non si fa in tempo a chiudere un anno pregno di festeggiamenti, che il marchio Tresor rilancia immediatamente già da inizio 2017 pubblicando un LP di cui certamente non nascondiamo il nostro entusiasmo, piuttosto intuibile dalle considerazioni in primissima apertura.

Partiamo da una premessa fondamentale: 25 anni di attività non sono assolutamente pochi, il loro valore simbolico si rincara ancora di più tenendo conto del tipo di attività presa in riferimento; un’industria che in un quarto di secolo potrebbe facilmente assistere (come effettivamente succede) ad innumerevoli ed imprevedibili cambi direzionali che muovono e si orientano essi stessi senza alcun cenno di “confortevole” preavviso.

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Adesso, del come e del perchè l’ex caveau di una banca, dal 1991, sia diventato centro nevralgico della comunità e della cultura elettronica, implicherebbe tutta una serie di riferimenti che certamente hanno trovato, trovano e troveranno altri momenti di contemplazione.
Solo a titolo informativo, è curioso riportare le parole di Dimitri Hegemann, membro della primissima cerchia di investitori nonché vero e proprio founder del Club, già esplicitate in una nota di Novembre dal giornalista e docente britannico Rob Sharp:

We didn’t know what would happen 10 months later. We signed a lease for a year. Which eventually got renewed for another three months, and another three months…

All’epoca il Tresor nasceva dalle ceneri dell’UFO, locale la cui fondazione si deve al team dell’ INTERFISCH RECORDINGS, di cui Dimitri era direttore.
L’UFO può considerarsi con sicurezza la prima, vera piattaforma del genere insidiatasi sul versante Est della città (era ancora il 1988), ma chiuse solo qualche anno dopo, proprio nel 1991, per una generale insostenibilità finanziaria.

Ora, piccole divergenze storiche a parte, cronache di cui riteniamo interessante (e giusto) portare a conoscenza chi ne fosse allo scuro, facciamo un balzo e torniamo nel 2016, anzi, proiettiamoci direttamente nel 2017.

Dreamy Harbor, affidandoci ad una traduzione non proprio letterale ma leggermente parafrasata, vuol dire: un porto d’approdo sognante, irreale, dissociato dalla realtà, volendo, un pò forzatamente, trascendentale e metafisico.
Le colonne di quest’album effettivamente, già da un primo ascolto, neutro e sterile, rispecchiano moltissimo tale allusività, rimanendo così fedeli all’aspettativa impattante.
Una tale curiosità sul contenuto si rafforza considerevolmente dando con lo sguardo una breve rassegna agli artisti coinvolti: dal consolidatissimo duo Atkins – von Oswald, Donato Dozzy portabandiera del tricolore, Terrence Dixon, un inusuale Gerald Donald (membro originario dei Drexciya, progetto poi abbandonato nel 2002 dopo la morte del collega James Stinson sopraggiunta nello stesso anno) sotto le vesti di Daughter Produkt, il producer pechinese Shao a rappresentanza della floridissima cultura elettronica orientale, il veterano Jon Hassell, musicista sperimentale dalla grande influenza, e altri ancora cui accenneremo tra non molto.

Una volta completato l’ascolto, il focus scavalla completamente quell’ambiguità intrinseca nel titolo, o lo spropositato carico di richiamo esercitato dai nomi di chi ne configura all’interno.
Dreamy Harbor è un album estremamente dicotomico: un’altalena di tensioni e distensioni ordinata geometricamente; per fare un immediato esempio: l’LP si apre con Solanus (Extracted 2), track del producer tedesco Vainqueur, un assoluto riposo sensoriale dal forte richiamo ambient, fusion ed experimental; il tutto suscita in sé una piacevole sensazioni ai limiti dell’intorpidimento cognitivo.
L’effetto svanisce nell’immediato quando il testimone passa alla track successiva, Sensi (edit), prodotta dal già citato Shao. La condizione è diametralmente l’opposta; l’aria è satura di una carica frenetica e feroce tanto da spingerci a ritrovare una matrice di catalogazione tra gli emisferi più dark-industrial.

Ovviamente non è un caso isolato, questo moto pendolare riprende spinta l’attimo successivo.
In ordine, The Switch (edit) Electric Dub (edit), rispettivamente di Terrence e del binomio Atkins-von Oswald, lasciano che lo stato delle cose torni nella sua condizione originaria: mentre il primo arrangia un riff davvero molto accattivante di strumenti aerofoni; i secondi, si specializzano su quella Dub che tanto negli ultimi anni hanno dimostrato (e indirettamente ribadito), quale loro fondamentale dominio (si vedano a tal proposito gli album Borderland e Transport).
What Lies Behind Us di Mønic, rompe subito gli equilibri: malinconica e a tratti “inquietante”, di tutto l’album è la track che ci ha coinvolti di meno.

La ruota continua a girare e segue il ritmo di La Beff (reissue) Silverness, due dei nostri ritmi preferiti, tra l’altro.
TV VictorThomas Fehlmann sfornano produzioni che difficilmente ti aspetteresti dal taglio Tresor: La Beff riporta alla mente cadenze musicali latine ma tinte di una prelevante contromarcazione elettronica europea; per quel che concerne Silverness, non lasciatevi ingannare dal titolo, anche noi attendevamo suoni spigolosi e freddi come lamine di acciaio, ma ci siamo ritrovati nelle cuffie tutt’altro; è vero, c’è una connotazione metallica ma è amalgamata tale da assomigliare più a gomma smussata.
Superato il giro di boa, tocca a Donato Dozzy farsi attendere. La sua The Night Rider è l’Acid di cui quest’album aveva imprescindibile bisogno.
Di tutti i tasselli cupi di cui Dreamy Harbor è portatore, testimoni dei simboli del Tresor quali gabbia, acciaio e cemento; “Il pilota della notte” è in assoluto il migliore: una spirale ipnotica degna del vostro più fomentato ascolto.

Super lavoro è anche Phase di Claudia Anderson; sembra la track più in sintonia con quell’allusività accennata a commento del titolo, in un difficilissimo testa a testa, però, con Timeless del Maestro Jon Hassell.
A conclusione, e a rispetto di quel senso di conflittualità che contraddistingue il lavoro sotto nostra indagine, Dreamy Harbor chiude la sua parentesi contornandosi di quel senso di ignoto ed arresa fortemente squilibrato, prima con Odawah Jam di Marcelus, e poi Direction Asymmetry di Daughter Produkt.

Tracklist
01. Vainqueur – Solanus (Extracted 2)
02. Shao – Sensi (edit)
03. Terrence Dixon – The Switch (edit)
04. Juan Atkins & Moritz von Oswald – Electric Dub (edit)
05. Mønic – What Lies Behind Us
06. TV Victor – La Beff (reissue)
07. Thomas Fehlmann – Silverness
08. Donato Dozzy – The Night Rider
09. Claudia Anderson – Phase
10. Jon Hassell – Timeless
11. Marcelus – Odawah Jam
12. Daughter Produkt – Direction Asymmetry