Da un’inchiesta dell’Independent emergerebbero dei dettagli circa la chiusura del Fabric di Londra che farebbero pensare a una faccenda con risvolti ancora più deprimenti di quelli che credevamo.
E’ presto uscito sulla testata britannica Independent un articolo interessante che svelerebbe alcuni dettagli piuttosto rilevanti attorno alla sciagurata chiusura del Fabric di Londra. Se alla notizia della chiusura a tempo indeterminato eravamo rimasti delusi ed arrabbiati per l’ipocrisia di una tale decisione, dopo aver letto ciò che emerge nell’articolo dell’Independent rincarerà la dose e vi farà probabilmente cadere le braccia.
Innanzitutto, sono stati resi pubblici i documenti che contengono le ragioni dietro alla decisione presa dall’Islington Council. In questi documenti, l’Independent avrebbe ravvisato alcuni particolari scomodi dietro la chiusura dello storico club, come un atto ritenuto pianificato già da tempo, dato il peso che avrebbero certi dettagli ed alcuni termini usati nel carteggio. Vediamo in che senso.
Fabric is an iconic and essential part of London’s cultural landscape – I’m disappointed an agreement couldn’t be reached to keep it open.
— Mayor of London (@MayorofLondon) 7 settembre 2016
Stando alla dichiarazione ufficiale, l’Islington Council avrebbe stilato una lista di undici punti che giustificherebbero la sua linea. Solo due di questi punti si riferiscono direttamente agli ultimi, più recenti decessi dei due ragazzi di cui si è parlato in precedenza.
Un altro punto riguarderebbe un’operazione di polizia in borghese. Quest’ultimo punto in realtà sarebbe meno concreto di quanto si possa immaginare, dal momento che ciò che viene riportato dagli agenti sul posto è stato fondamentalmente il rilevare la presenza di persone “con sintomi che indicherebbero stato alterato, sudorazione, occhi rossi e sguardo perso nel vuoto” (sic), e più direttamente “persone nell’area fumatori che chiedevano in giro se qualcuno avesse droga da vendere loro”.
Ed effettivamente, dal report della polizia in borghese non pareva che ci si trovasse dinnanzi a un girone infernale, dal momento che è ammesso altresì che “l’atmosfera era amichevole e non si avvertiva alcuna minaccia; la situazione era demograficamente variegata e con una componente multirazziale di persone che parlavano francese, italiano e cinese”.
Affermazioni, queste ultime, che evidentemente non hanno fatto minimamente breccia nella decisione finale. Ad ogni modo, si fa notare come l’attenzione del report non fosse focalizzata sugli eventuali spacciatori, quanto sul club in sè, e questo dettaglio è piuttosto inedito (è invece assai comune che un club possa essere oggetto di operazioni in borghese del genere).
Se la cosa potrebbe in sè essere singolare ma non sospetta, lo potrebbe diventare un po’ di più nel momento in cui nelle carte viene descritta questa operazione denominandola “Operation Lenor“, nome che secondo alcuni rimanderebbe a un’operazione di pulizia diretta nei confronti del Fabric di Londra. Questi elementi potrebbero sfiorare il complottismo, ma suonano effettivamente curiosi.
Inoltre, l’Independent fa notare che il primo punto della lista va diretto a parare con la già riesaminata questione della licenza del Fabric di Londra nel 2014, anno in cui la situazione aveva raggiunto livelli di criticità senza precedenti. E’ il primo punto, e anche questo fatto pare significativo.
Ricordiamo che già in quell’occasione si paventò una chiusura dovuta a tre decessi avvenuti nell’arco dei tre anni e mezzo precedenti e si ordinò il piazzamento a rotazione di cani antidroga che coprissero almeno il 50% del tempo di apertura del locale. Anche questo fatto avrebbe delle ombre, nel momento in cui nessun esercizio pubblico, nemmeno gli aeroporti o le basi militari impiegherebbero cani antidroga all’ingresso per così tanto tempo ogni giorno. Inoltre questi cani sarebbero stati forniti non dalla cosa pubblica ma da una compagnia privata di security (servizio, tra l’altro, pagato dal Fabric).
I cani addestrati da privati difficilmente incontrano i criteri di addestramento della polizia, quindi questa mossa lascia molti dubbi circa l’effettivo funzionamento dell’operazione, poi annullata dopo diverse pressioni. Si ipotizza che quindi i cani avessero potuto agire da dissuasori nei confronti degli spacciatori, piuttosto che degli “strumenti” per stanarli. Addirittura l’elemento-cane avrebbe avuto effetti collaterali deleteri, inducendo le persone a consumare tutta la droga prima di entrare, con risultati prevedibili.
Ma veniamo alla parte più spinosa: i soldi. Una spending review del 2015 prevede un ingente taglio di fondi sia al quartiere Islington, sia alle sue forze di polizia, per tagli che rispettivamente ammontano a settanta milioni di sterline nei quattro anni a venire e al 44% del personale di polizia, finanziato anche esso dal Consiglio. A maggior ragione non si capisce il senso di una chiusura, dal momento che il Fabric di Londra e tutta l’economia notturna nell’area circostante garantisce delle entrate importanti al quartiere, anche e soprattutto derivanti dalle tasse che il Fabric paga.
Per cui anche se la chiusura forzata porterebbe a rimpiazzare il club con appartamenti, tale piano ucciderebbe l’economia e la situazione occupazionale locali, peggiorando la situazione attuale. E non meno importante, svilirebbe la vitalità e il tessuto culturale non solo del quartiere, ma anche di Londra e del suo contributo alla cultura attuale Europea, non solo nell’ambito della club culture.
E’ e sarà una grande perdita anche pensando a tutto ciò che è nato e si è sviluppato a Londra, culla di una buona parte della musica elettronica, specialmente da fine anni ’80 ad oggi.
Molti commentatori, sotto gli articoli delle testate giornalistiche inglesi, imputano la chiusura del Fabric di Londra a fenomeni di gentrificazione.
Secondo alcune opinioni, i giornali non centrerebbero il punto: la zona è cresciuta ed è stata progressivamente popolata da famiglie e cittadini più abbienti, che avrebbero fastidio ad avere nel quartiere fonti di rumore, degrado e individui poco raccomandabili che graviterebbero intorno al Fabric di Londra e a tutto ciò che la vita notturna polarizza verso di sè in quel quartiere.
Per cui la colpa sarebbe da imputare all’impulso di assecondare questi disagi “ripulendo” progressivamente il quartiere, senza curarsi però della storia che hanno certe istituzioni e del loro contributo sia economico che culturale.
Paolo Castelluccio