Federico Grazzini ci parla di sè, del movimento della musica elettronica, di Ibiza e della recente chiusura dello Space.
Federico Grazzini, nato nel 1980, italiano, di origine toscana scherzosamente sottolinea la sua discendenza etrusca. Risiede da 10 anni ad Ibiza e con la sua sempre accurata selezione di vinili viaggia portando il suo raffinato gusto musicale in tutto il mondo.
ITALIAN – ENGLISH
Abbiamo avuto l’occasione di fare un’interessante chiacchierata con questo eclettico artista.
Ad Ibiza ora è chiusura di stagione ma quest’anno, lo sappiamo tutti, è diverso. Tu hai suonato alla recente chiusura definitiva dello Space. Quali sono stati i pensieri e le emozioni durante la selezione dei vinili per questa notte storica? E qual’è il disco che subito, senza alcun dubbio, hai messo in valigia?
La cosa che andava fatta assolutamente era rendere omaggio alla storia del club. Selezionando le tracce che mi hanno emozionato di più nelle mie esperienze lì dentro, prima da cliente poi da dj, ho riempito la prima valigia in un attimo. Poi la seconda, poi ho realizzato che sarei potuto andare avanti ad oltranza…troppa musica da comprimere in un unico set.
A quel punto ho smesso di pensare e mi sono affidato alle emozioni del momento. Quando fai questo lavoro da tanto tempo certe cose vengono da sole, non c’è una programmazione definita o una precisa meccanica dei movimenti. Il primo vinile che è balzato fuori è stato Octave One ‘Black Water’.
Ricordo il momento in cui l’ho sentito per la prima volta, ricordo il punto dove ero nella main room, ricordo a quale bancone del bar stavo facendo la fila, fila che ho abbandonato ritrascinato in pista dalla musica di quella traccia. Col senno di poi potrebbero essere stati tanti altri dischi al posto di quello, ma è toccato a lui. Il caso vuole che poi durante il mio set non l’abbia nemmeno suonato, chissà se inconsciamente non abbia voluto salvaguardare quel momento della mia memoria.
Nella tua biografia ti dichiari un’amante del dance floor, ne deduciamo che dopo aver suonato sei rimasto in pista durante il party di chiusura dello Space. Come Dj diciamo che sei “over-qualified” per rispondere a questo quesito, ma mi rivolgo a Federico il clubber: che aria tirava?
Ovvio!!! Non mi sarei mosso per niente al mondo, né i miei amici con cui da mesi avevo deciso che saremmo stati lì fino al mattino, come poi è successo. Tirava l’aria delle grandi occasioni, ho visto gli occhi lucidi di chi ha lavorato lì dentro per una vita, quelli meravigliati di chi lo vedeva per la prima volta, quelli chiusi di chi godeva della musica e quelli incantati di chi stava partecipando a qualcosa che si percepiva sarebbe stato irripetibile.
Credo che la buona riuscita di un party dipenda anche dall’eterogeneità del pubblico, più esperienze riesci a mescolare, più energia ne scaturisce. Mai come questa volta sono venute a contatto tante generazioni, etnie, generi e chi più ne ha più ne metta, un melting pot mai visto e sperimentato: davvero memorabile.
Si è parlato molto del tuo talento nell’inserire la morbidezza del funk nei tuoi set. Siamo sorpresi nello scoprire, che in tanti anni di produzione, questa componente sonora invece è meno presente. Pensiamo ad esempio alla composizione di “Tokyo” in cui sei riuscito a sposare un battito Chicago house con una ridondanza Detroit techno, dividendoli con interferenze di suoni acid poggiandoli su una base breakbeat. Sembrerebbe che nelle produzioni tu abbia una predilezione per l’elettronica old school, sbagliamo?
Mmm… domanda interessante ma sono d’accordo a metà, ti spiego perchè. Parto dal presupposto che Funk è un concetto talmente vasto che ne rende difficile la delimitazione. É un genere che mi ha sempre appassionato come ascoltatore e nei miei primi progetti musicali, soprattutto nelle produzioni con l’alias Etnogrooveorchestra, era sicuramente più marcato. Poi evolvendo ho trovato la mia dimensione in studio.
Ad esempio nel mio EP Mister Funk su Tenax Recordings, ci sono campionamenti di un vecchio vinile funk di colonne sonore tratte da film anni ’60. È anche il “sapore” di Untouchable, fatto per la compilation di Defected mixata da Loco Dice. Pure il rullante che caratterizza la stessa Tokyo per tutta la durata del pezzo ha tanto in comune con le ritmiche black, come molti dettagli in altri lavori.
Sicuramente è vero il passo verso l’elettronica old school, che è un’altra mia passione. Principalmente perchè ritengo necessario che una traccia sia funzionale alla sua destinazione. Come molti colleghi faccio musica rivolta alla pista da ballo, sempre più spesso per grandissimi dance floor. Diciamo che provo piacere a far ballare la gente, sembra scontato per un dj, ma quello che intendo io è un piacere viscerale, adrenalinico, difficile da trascrivere.
Non voglio perdere il filo della domanda in cui si parla dei miei set, lì è sicuramente più facile cogliere i momenti puramente funk.
Ma c’è una questione materiale di tempo. Un set dura almeno un paio d’ore, questo ti libera dalla metrica del disco singolo e ti dà la possibilità di creare delle atmosfere diverse durante la serata. Cosa che puoi fare solo in parte in una produzione.
L’argomento mi piace particolarmente come avrai notato :)”
Hai residenze in diversi paesi e doni la tua cultura musicale a persone di tutto il mondo, quale credi sia il motivo che spinge un pubblico sempre più vasto ad avvicinarsi al movimento della musica elettronica?
Internet e i nuovi media hanno sicuramente ridotto definitivamente le distanze tra paesi e mercati che prima erano più isolati. Così la musica elettronica ha rotto gli schemi essendo universalmente riconosciuta come vera musica e non come un suono esclusivamente destinato al vecchio concetto di discoteca.
Si dice che la chiusura di Space sia l’inizio di una nuova era per Ibiza. A me piace credere che questo avvenimento abbia permesso di ufficializzare un passaggio di testimone tra old school e new school. Pensi che quest’ultima sarà in grado di preservare lo spirito della prima?
La frase che ho sentito dire più di tutte riguardo all’isola, la maggior parte delle volte dai turisti, è: “Aaahhh, Ibiza è cambiata”. L’umano a priori ha paura del cambiamento, ma con questo non è in grado di fermare lo scorrere del tempo. Quello che succederà ce lo dirà solo la prossima stagione, dove comunque vada ci sarà qualcosa di interessante da fare.
Ognuno può fare la sua previsione ma, senza andare troppo indietro negli anni, ci sono già state tante evoluzioni importanti: il tetto nelle discoteche, l’autopista, la fine degli afterhours. Tutte svolte nette che comunque non hanno ucciso lo spirito che da sempre caratterizza questo posto.
Oserei perfino di dire che non è un’isola ma un modo di vivere. Sono curioso anch’io di vedere cosa succederà, comunque vada, quello che succederà sarà qualcosa di nuovo ed interessante.
Grazie Federico, che il dancefloor sia con te!
Intervista e Traduzione Angela Romy Saez
ENGLISH VERSION
A talk about Federico Grazzini, the electronic music movement, Ibiza and the recent Space final closure.
Federico Grazzini, born in 1980, Italian, originary from Tuscany playfully highlights his Etruscan descent. Resident in Ibiza since 10 years, he travels with his accurate selection of vinyls bringing his refined taste in music worldwide.
We had the opportunity to make an interesting chat with this eclectic artist.
In Ibiza the season is almost ended but this year, we all know, is different. You’ve played at the recent Space final closure. What were the thoughts and emotions you had during the vinyl selection for this historical night? And which was the vinyl that immediately, without any doubt, you put in your suitcase?
The thing that absolutely had to be done was to pay tribute to the club’s history. While selecting the tracks that have excited me most in my various experiences in there, first as customer then as Dj, I filled the first suitcase in an instant. Then the second, and then I realized that I could move on until for good… too much music to be compressed in one set.
At that point I stopped thinking and started entrusting to the emotions of the moment. When you do this job for a long time certain things come alone, there isn’t a defined schedule and there aren’t precise mechanics movements. The first vinyl that jumped out was Octave One “Black Water”.
I remember the moment when I heard it for the first time, the point where I was in the main room, the bar where I was queuing, I remember leaving because dragged from the music of that track back to the dance floor. It could have been many other discs, but it happened to be him. In this case at the end I didn’t even played it during my set, I wonder if subconsciously I was wishing to preserve that moment in my memory.
In your biography you declare yourself a dance floor lover, I assume that after playing at Space closing party you remained on the dance floor. As Dj we could say that you’re over-qualified to answer this question, but I’m now asking Federico the clubber: how was the energy on the dancefloor there?
For sure!!! I wouldn’t leave for any reason, neither did my friends with whom I decided already months ago to stay until the morning, and so we did. The atmosphere was the one of the big events, I have seen tears in the eyes of those who worked there for a lifetime, those amazed of who lived it for the first time, the closed ones of those who were enjoying the music and those enchanted of participating in something it was felt would be unrepeatable.
My opinion is that the success of a party depends also by the heterogeneity of the audience, more experiences you can bring together, the more energy it produces. Never before so many generations, ethnicities, genders and so on and so forth have been in such a thight contact, a melting pot ever seen and experienced: truly memorable.
Much has been said about your talent in mixing the softness of funk in your sets. I’m surprised to discover that in many years of productions, this sound style is way less present then in your sets. For example I’m refering to the composition of “Tokyo” in which you were able to marry a Chicago house beat with a Detroit techno redundance, dividing them with interferences of acid sounds ending on a breakbeat base.
It seems that in the productions you express a predilection for the old school electronic, am I wrong?
Hmm… interesting question but I don’t agree completely, I’ll explain why. Starting assuming that Funk is such a broad concept, which makes the demarcation difficult. It’s a style that has always passionated me as a listener and in my early musical projects, especially in the productions done with the alias Etnogrooveorchestra, it was defnitely more present. Then evolving, I found my own personal dimension in studio.
For example in my EP Mister Funk on Tenax Recordings, there are samples from an old funk vinyl soundtrack from ’60 movies. The same “taste” is present in Untouchable, done for the Defected compilation mixed by Loco Dice. Also the snare that characterizes Tokyo for the whole duration of the piece, has much in common with the black rhythmics, and many other details in other works.
Certainly it’s true, there’s a step in direction old school electronic, which is one of my other passions. Mostly because I consider that a track has to be functional to its destination. As many colleagues I do music directed to the dance floor, and more often to huge dance floors. Let’s say that I enjoy to make people dance: it seems to be obvious for a Dj, but what I’m talking about is a visceral, adrenalinic pleasure not easy to describe. I don’t want to lose the thread of the question which is about my sets where it’s easier to catch the moments of pure funk.
But it’s a matter of time, a set last at least a couple of hours. This frees you from the metric of the single disc and gives you the ability to create different atmospheres during the evening, thing that you can do only partially in a production.
As you may notice I remarkably like this topic 🙂
You have residences in different countries and hand out your musical culture to people all over the world.
What do you think is the reason that pushes a constantly wider audience to approach the electronic music movement?
The internet and the new media have certainley definitely reduced distances between countries and markets that previously were more isolated. So electronic music has broken the patterns being universally recognized as real music and not as a sound assigned exclusively to the old concept of disco music.
Its been said that the Space closure is the beginning of a new era for Ibiza. I like to believe that this event has allowed to formalize the passing of a legacy between old school and new school. Do you think that this last one will be able to preserve the spirit of the first?
The phrase I heard most of all about the island, mostly from the tourists is: “Aaaaah, Ibiza has changed.” Basically human beings are afraid of change, but this is not able to stop the flowing of time. What will happen will be told us only the next season, when whatever happens there will be something interesting to do.
Everyone can do his predictions but, without going too far back in the years, there have already been many important developments: the roof tops on the discos, the autopista, the end of the afterhours. All changes that still have not killed the spirit that has always characterized this place.
I might venture to say it’s not an island but a way of life. I’m curious to see what happens next, but whatever, it will be something new and interesting.
Thank you Federico, may the dancefloor be with you!
Interview and Translation Angela Romy Saez