Eccoci con il primo appuntamento con ‘Flashback in Pillole’: l’intento di questa rubrica è quello di ascoltare e scoprire tante piccole curiosità su dischi che fanno parte del nostro passato e che avevamo rimosso dalla mente. Questi dischi, per noi, hanno rappresentato ‘qualcosa’: un piccolo loop, un ricordo offuscato che torna alla mente.
Qualcosa che è stato influente per la sua epoca e per il futuro. I nostri saranno dei piccoli salti nel passato, casuali. Veri e propri flashback in pillole.
1) Public Enemy – Don’t Believe The Hype
New York, siamo nel 1988, i cattivissimi Public Enemy, hip hop band dai testi politicamente impegnati e pregni di feroci critiche verso il sistema globale e i mass media, danno alle stampe il loro secondo LP “It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back”. L’album, prodotto dal boss della Def Jam Recordings, Rick Rubin (produttore, tra gli altri, anche di Slayer e Johnny Cash) vende milioni di copie sia negli Stati Uniti che nel resto del globo ed è considerato tutt’ora uno dei dischi più influenti nella storia dell’Hip-Hop.
Il singolo “Don’t Believe The Hype” è stra-suonato da tutti i dj dell’epoca ed utilizzatissimo per lo scratching nelle leggendarie competizioni DMC. Il brano è costruito su selvaggi funk-beats “rubati”, come tradizione old-school vuole, a James Brown ed altri pionieri del black-funk; i Public Enemy a loro volta sono stati “campionati” in moltissime produzioni early rave, techno ed hardcore negli anni ’90.
2) Urban Soul – Alright
Rimaniamo a New York City ma questa volta parliamo di house music. Nel 1991 il giovane vocalist e produttore Roland Clark, (si, proprio quello del tormentone “i Get Deep”), sotto il moniker “Urban Soul” e dopo alcune uscite discografiche alle spalle, da alle stampe “Alright”, disco fondamentale per la storia della dance.
Dopo gli anni ’80 acidi e sintetici, la musica house comincia ad evolversi verso territori più malinconici e deep-soul dove voci e synth la fanno da padrone. C’è aria di rivoluzione musicale in tutto il pianeta: da un lato si affermano i rave party mentre dall’altro nascono i primi club più moderni e il dj diviene una figura sempre più importante. In questo contesto “Alright” diventa una vera e propria hit sia negli USA, che in Inghilterra (e in quegli anni da Londra partono molte nuove tendenze), suonata praticamente da tutti e remixata dai mostri sacri Tony Humphries e Sasha. Anche in Italia moltissimi dj come Marco Trani e Claudio Coccoluto inseriscono il disco nei loro set. Un must!
3) Charanjit Singh – Raga Lalit
Il 3 luglio, all’età di 75 anni, si è spento il compositore polistrumentista indiano Charanjit Singh che ha lavorato come turnista (alla chitarra e ai synth) in numerose colonne sonore di film Bollywoodiani a cavallo tra il 1960 e il 1980.
Nel 1982 realizza l’album “Synthesizing: Ten Ragas To A Disco Beat”, capolavoro della musica elettronica moderna, un esperimento di fusione tra musica indiana e musica dance che anticipa di qualche anno l’acid house per quanto riguarda i beats (realizzati con una drum machine Roland tr 808) e l’uso della Roland tb 303 come bassline. Il disco è un totale fallimento commerciale all’epoca dell’uscita: nessuno si accorge nè della sua esistenza nè tantomeno della sua importanza, cosa che avverrà solo più tardi con le ristampe del 2002 e del 2010 che attirano l’attenzione di critici, giornalisti e dj costretti, in qualche modo, a riscrivere la storia dell’acid sound. Dal 2012 in poi Charanjit Singh ha eseguito alcune performance live riproponendo ‘Ten Ragas To A Disco Beat’ con grandissimo successo.
Gigi Galli
Eccoci con il primo appuntamento con ‘Flashback in Pillole‘: l’intento di questa rubrica è quello di ascoltare e scoprire tante piccole curiosità su dischi che fanno parte del nostro passato e che avevamo rimosso dalla mente. Questi dischi, per noi, hanno rappresentato ‘qualcosa’: un piccolo loop, un ricordo offuscato che torna alla mente. Qualcosa che è stato influente per la sua epoca e per il futuro. I nostri saranno dei piccoli salti nel passato, casuali. Veri e propri ‘flashback in pillola‘.
1) Public Enemy – Don’t Believe The Hype
New York, siamo nel 1988, i cattivissimi Public Enemy, hip hop band dai testi politicamente impegnati e pregni di feroci critiche verso il sistema globale e i mass media, danno alle stampe il loro secondo LP “It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back”. L’album, prodotto dal boss della Def Jam Recordings, Rick Rubin (produttore, tra gli altri, anche di Slayer e Johnny Cash) vende milioni di copie sia negli Stati Uniti che nel resto del globo ed è considerato tutt’ora uno dei dischi più influenti nella storia dell’Hip-Hop.
Il singolo “Don’t Believe The Hype” è stra-suonato da tutti i dj dell’epoca ed utilizzatissimo per lo scratching nelle leggendarie competizioni DMC. Il brano è costruito su selvaggi funk-beats “rubati”, come tradizione old-school vuole, a James Brown ed altri pionieri del black-funk; i Public Enemy a loro volta sono stati “campionati” in moltissime produzioni early rave, techno ed hardcore negli anni ’90.
2) Urban Soul – Alright
Rimaniamo a New York City ma questa volta parliamo di house music. Nel 1991 il giovane vocalist e produttore Roland Clark, (si, proprio quello del tormentone “i Get Deep”), sotto il moniker “Urban Soul” e dopo alcune uscite discografiche alle spalle, da alle stampe “Alright”, disco fondamentale per la storia della dance.
Dopo gli anni ’80 acidi e sintetici, la musica house comincia ad evolversi verso territori più malinconici e deep-soul dove voci e synth la fanno da padrone. C’è aria di rivoluzione musicale in tutto il pianeta: da un lato si affermano i rave party mentre dall’altro nascono i primi club più moderni e il dj diviene una figura sempre più importante. In questo contesto “Alright” diventa una vera e propria hit sia negli USA, che in Inghilterra (e in quegli anni da Londra partono molte nuove tendenze), suonata praticamente da tutti e remixata dai mostri sacri Tony Humphries e Sasha. Anche in Italia moltissimi dj come Marco Trani e Claudio Coccoluto inseriscono il disco nei loro set. Un must!
3) Charanjit Singh – Raga Lalit
Il 3 luglio, all’età di 75 anni, si è spento il compositore polistrumentista indiano Charanjit Singh che ha lavorato come turnista (alla chitarra e ai synth) in numerose colonne sonore di film Bollywoodiani a cavallo tra il 1960 e il 1980.
Nel 1982 realizza l’album “Synthesizing: Ten Ragas To A Disco Beat”, capolavoro della musica elettronica moderna, un esperimento di fusione tra musica indiana e musica dance che anticipa di qualche anno l’acid house per quanto riguarda i beats (realizzati con una drum machine Roland tr 808) e l’uso della Roland tb 303 come bassline. Il disco è un totale fallimento commerciale all’epoca dell’uscita: nessuno si accorge nè della sua esistenza nè tantomeno della sua importanza, cosa che avverrà solo più tardi con le ristampe del 2002 e del 2010 che attirano l’attenzione di critici, giornalisti e dj costretti, in qualche modo, a riscrivere la storia dell’acid sound. Dal 2012 in poi Charanjit Singh ha eseguito alcune performance live riproponendo ‘Ten Ragas To A Disco Beat’ con grandissimo successo.
Gigi Galli