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Forest Swords, artista britannico, musicista visionario, si esibirà il 14 ottobre al ROBOT Festival di Bologna, dove presenterà il suo nuovo album in anteprima, Bolted. Lo abbiamo intervistato.

Con i suoi soundscape carichi di pathos, suoni evanescenti e immagini di paesaggi post-industriali desolati, Matthew Edward Barnes, aka Forest Swords, ha creato una sua identità unica e riconoscibile nel panorama della musica elettronica internazionale.

A distanza di sei anni da Compassion, Barnes rilascia il suo nuovo album Bolted il 20 ottobre, fuori per Ninja Tune. Il 14 ottobre presenterà quest’ultimo lavoro al ROBOT Festival di Bologna (QUI acquisto ticket). Ecco la nostra intervista.

Ciao Matthew, benvenuto su Parkett! Quale aspetto dell’esperienza a ROBOT Festival ti entusiasma di più? Quando hai suonato l’ultima volta in Italia?

Non suono in Italia da prima della pandemia, quindi non vedo l’ora di tornare. Ancora mi sto riabituando al brivido dei live, ma festival come il ROBOT sono noti per essere open-minded e per un pubblico sempre caloroso e accogliente. La line up è straordinaria e sono impaziente di godermi le performance degli altri artisti nel weekend in cui mi esibirò. Partecipare ad un evento come questo è una vera fortuna.

Nei video delle tracce già rilasciate dal tuo prossimo album, prevalgono paesaggi desolati che fondono elementi naturali con rovine post-industriali, oggetti abbandonati, antiche statue greco-romane e visual AI. Cosa ti ha ispirato in queste scelte tematiche e visive?

Ho registrato la maggior parte del mio nuovo album Bolted in una vecchia fabbrica l’anno scorso nella mia città natale, Liverpool. Essere in uno spazio post-industriale mi ha fatto pensare a tutte le persone che avevano lavorato in quei luoghi prima di me, e a come quegli edifici potessero essere portali verso il passato o il futuro, dove tempo e spazio si appiattiscono.

Ho trascorso molto tempo lì, e parte di quel periodo stavo affrontando un infortunio al piede che mi ha causato molto dolore, quindi l’esperienza è diventata quasi psichedelica dopo un po’.

La copertina dell’album e alcuni video traggono ispirazione da oggetti e ambienti immaginari. Ero affascinato dall’idea che chi ha preceduto noi in questi luoghi abbia lasciato tracce tangibili – artefatti nascosti sotto terra o tra i muri, imperfezioni dei processi industriali, veicoli abbandonati, sculture misteriose o infrastrutture celate. Mi ha intrigato riflettere su come questi elementi possano interagire e influenzare la natura circostante.

Se dovessi confrontare il tuo prossimo album con i tuoi lavori precedenti, quali differenze sostanziali troveresti?

L’album risuona con tonalità più claustrofobiche e metalliche, credo che l’ambiente in cui ho registrato abbia giocato un ruolo determinante. Mentre lottavo con il dolore di un piede fratturato, la creazione musicale non mi sollevava, né mi dava sollievo. Così, ho finito per gravitare verso sonorità che in quel momento mi erano familiari e confortanti: ritmi serrati e distorti, melodie cantate da voci soliste, strumenti a fiato.

In questo album, la linea sottile tra euforia e malinconia è più palpabile che mai. Tutto appare più incisivo, con sfumature più cupe e allucinatorie.

Ho scoperto “Crow” durante la pandemia. Guardare il video e riflettere sull’immagine della polykatoika, in un periodo in cui la parola chiave era “distanza”, mi ha colpito. Perché hai scelto la polykatoika come tema visuale principale del video?

Il video riprende un’installazione artistica del mio amico e collaboratore Liam Young basata su una città fittizia. Unisce elementi delle polykatoika con caratteristiche delle città cinesi continentali, dove tutto sembra sovrapporsi.

L’architettura assume un aspetto scultoreo e psichedelico per la sua densità, pur mantenendo una perfetta funzionalità. Sembrerebbe quasi un organismo vivente. Non avremmo potuto scegliere tematica migliore per il pezzo.

Un’immagine del genere ha sicuramente assunto una nuova prospettiva durante il COVID, quando eravamo tutti molto più consapevoli dello spazio personale e di come ci muoviamo in questi tipi di luoghi.

Ci sono artist* che sono stat* una “guida” per te? O album specifici che hanno influenzato il tuo approccio alla musica?

Björk è per me un punto di riferimento essenziale. La sua singolarità e la chiara visione artistica mi ispirano a fidarmi dei miei istinti senza sentire il bisogno di conformarmi a un genere o trend del momento. L’arte che rispecchia sinceramente il proprio io ha un valore fortissimo e spero sempre che riesca a creare una connessione con l’ascoltatore.

Per quanto riguarda gli album posso dirti che durante la creazione di Bolted, mi sono immerso nell’elettronica britannica degli anni ’90 e nel drone metal.

Qualche anno fa, hai prodotto musiche per Assassin’s Creed. Com’è stato scrivere musica per un videogioco? È molto diverso dal comporre per il progetto Forest Swords?

Ho trascorso anche gran parte della pandemia scrivendo musica per un videogioco (As Dusk Falls per Microsoft, uscito all’inizio di quest’anno). È un’ottima esperienza didattica scrivere musica in contesti diversi: per videogiochi, spettacoli di danza, installazioni artistiche, ecc.

Sono un musicista autodidatta e quindi tutto ciò che faccio in questo senso sembra una nuova esperienza e un nuovo approccio lavorativo. È stimolante, divertente e gratificante sperimentare modi diversi di fare musica, non limitandosi solo alla pubblicazione di album.

La tua musica trasmette in qualche modo segnali, messaggi di ribellione, talvolta anche espressione di denunce politiche. Confermi?

, anche se cerco sempre di mantenere la mia musica il più fluida e “versatile” possibile, evitando di ancorarla troppo strettamente ad una specifica epoca o ad una precisa scatola emozionale.

Gran parte del mio lavoro è come un codice: amo disseminare indizi e suggerimenti attraverso i titoli delle canzoni, le immagini, i video e i testi. Gli elementi che inserisco spesso riflettono le mie sensazioni e riflessioni, che possono avere radici sia personali che politiche.

Il mio obiettivo è offrire spazio interpretativo all’ascoltatore, permettendogli di aggiungere le proprie esperienze e percezioni al contesto. Credo che questo approccio rafforzi la connessione con gli ascoltatori, rendendo il legame più profondo e significativo.

forest swords

ENGLISH VERSION

Hi Matthew, welcome to Parkett! Which aspect of the ROBOT Festival experience excites you the most When was the last time you played in Italy?

I haven’t played in Italy since the pandemic, so I’m looking forward to visiting again. I’m still finding my feet again when it comes to playing live and being in front of crowds, but festivals like ROBOT are always open minded and the crowds are very friendly. The lineup is excellent and I’m looking forward to seeing some other acts across the weekend I’m there. I feel very lucky to be able to play festivals like this.

In the videos of the tracks already released from your upcoming album, desolate landscapes prevail, blending natural elements with post-industrial ruins, discarded objects, ancient Greco-Roman statues, and AI visuals. What inspired these thematic and visual choices?

I recorded most of my new album Bolted in an old factory last year in my home city of Liverpool. Being in a post-industrial space like that made me think of all the people who had worked in those spaces before me, and about how those buildings might be portals to the past or the future, where time and space is flattened.

I was in there for a long time, and part of it I was dealing with a foot injury and in a lot of pain, so the experience became kind of psychedelic after a while.

The album artwork and some of the videos are based on fictional objects and rooms – I was interested in the idea that people who worked in these spaces before us leave things behind: artefacts buried in the ground or in walls, mistakes or rejects from factory production lines, vehicles, secretive sculptures or infrastructure people had to hide. And how these things might interact with or have an impact on nature.

If you were to compare your upcoming album with your previous works, what substantial differences would you find?

It’s a lot more claustrophobic and metallic sounding, I suppose the space I recorded in had an impact in some way. I was struggling in pain with a broken foot and the process of writing wasn’t making me happy or helping me either, so instead I started to lean into sounds that I found comforting: distorted beats, single voices singing melodies, woodwind sounds.

The middle point between euphoria and sadness feels a lot closer on this album than previous ones. It feels a lot more direct, a little darker, a little hallucinatory.

I discovered “Crow” during the Coronavirus outbreak. Watching the video and seeing the image of the polykatoika, and thinking about so many people living closely during such a time, struck me. Why did you choose the polykatoika as main topic of the video?

The video is based on an art installation by my friend and collaborator Liam Young based on a fictional city. It’s a mixture of polykatoika and mainland Chinese cities where everything is on top of each other: the architecture becomes sculptural, psychedelic in its density but functioning perfectly. Almost like it’s a living thing. It really fit with the song and I’m glad they work together so well.

It definitely took on a new angle during covid where we were all much more aware of personal space and how we move around these sorts of places.

Are there artists who have been a “guide” for you? Or specific albums that have influenced your approach to music?

Björk is the main one for me. Just having an artist that is very singular and confident with their vision makes me feel more confident about following my instincts and not trying to fit in with a specific genre or trend. Just creating artwork that is true to you is valid and worthwhile in itself, and hopefully from that other people will respond to it.

For this particular album I was listening to a lot of early 90s British electronica, and drone metal.

A few years ago, you composed music for Assassin’s Creed. How was it to write music for a video game? Is it very different from composing for the project Forest Swords?

I also spent most of the pandemic writing music for a game (As Dusk Falls for Microsoft, which came out earlier this year). It’s a great learning experience writing music in different contexts: for video games, ballet, art installations, etc.

I am not a trained musician and so everything I do like this feels like a brand new experience and way of working. It’s challenging, fun, and satisfying to not just feel like music has to be about releasing albums all the time.

Your music has a somewhat rebellious feel and power and seems to express thoughts, even political pressures. Is that the case?

Yes, though I’m keen to keep it as loose as possible so it’s open to interpretation and doesn’t feel like it’s rooted in one specific time period or in one emotional box.

A lot of my work is coded: I like leaving breadcrumbs and clues for people to follow in song titles, visuals, videos, lyrics, etc. Things that I’m either feeling in my life or thinking about: that might be personal, political, etc.

I like ambiguity in my music and the work I do, because people can bring their own ideas and experiences to it and create their own conversations with the songs. In a lot of ways I hope it means people can connect to my work in a deeper way.