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Caribou ha rilasciato il suo ultimo album, “Honey”, il 4 ottobre. Tra sperimentazioni con l’intelligenza artificiale e pezzi danzerecci, dal punto di vista tecnico e artistico, è un album che ci racconta più di qualcosa sul mercato musicale odierno.

Quando è uscito uno dei primi inediti di “Honey” di Caribou, “Come Find Me“, è stato impossibile non pensare ad Aphex Twin. Nel video ufficiale del brano, una donna danza in vari luoghi della città con una maschera gigante del viso di Dan Snaith al posto del volto, ricordando i bimbi che corrono come matti – abbastanza creepy – di Come to Daddy di Richard D. James.

Nel caso di Caribou, però, non c’è nulla di spaventoso. E forse, neanche di particolarmente audace. Ma sicuramente è interessante e importante parlare di un album come Honey. Dan Snaith, di per sé non grande amante dei featuring, per questo suo ultimo lavoro ha deciso di utilizzare l’intelligenza artificiale per alterare i suoi vocals da utilizzare nei pezzi.

Ecco perché nella prima traccia dell’album, “Broke My Heart”, la voce di Snaith ci ricorda vagamente Pinkpantheress, mentre in “Campfire” si strizza l’occhio a rapper come Tyler The Creator e voci quasi soul come Frank Ocean. Ma è sempre Caribou – dal songwriting all’esecuzione vocale. Un esperimento non banale, ma a questo punto, non sarebbe stato meglio collaborare con altri artisti, in modo tale da remunerare dei professionisti?

I featuring, non aiutano solamente a creare strategie commerciali e di posizionamento ma creano anche sodalizi artistici e scambi creativi non indifferenti. Basti pensare a Fred Again…non uno dei miei preferiti – ma un producer a cui bisogna riconoscere l’intelligenza (non artificiale) di riunire nei suoi brani varie personalità dalle visioni diverse ma complementari. Si pensi a Stay in It con Overmono e Lil Yatchy, ai drop quasi da big room EDM simbolo delle banger di Fred Again.., lo UK garage dei fratelli Russell e la sadness del rapper. Un risultato notevole.

Ritornando a Campfire, si tratta di un pezzo con molto potenziale ma che termina in un finale da pseudo Alien Days degli MGMT con l’eccessiva sdolcinatezza tipica di alcuni brani di Caribou. E il rap… alienante. Probabilmente se avesse collaborato con chi di mestiere (un qualche rapper), il pezzo sarebbe stato più convincente.

C’è da aggiungere che un “featuring” in questo album in realtà c’è, ed è con Daphni, progetto parallelo di Dan Snaith. Honey, infatti, a differenza dei precedenti album come Suddenly, Our Love, eccetera, bazzica in territori decisamente più dance. La title track è una bell’alba psichedelica con ritorni ai ritmi della detroit techno. “Volume“, che campiona “Pump Up the Volume” di M|A|R|R|S, invece si orienta in soundscape vintage 80s e riferimenti alla lofi house. Non male, ma un po’ monotona.

Ma i paesaggi sonori nostalgici non caratterizzano solo Volume. Mentre “Over Now” sarebbe stato perfetto per la soundtrack dell’episodio San Junipero di Black Mirror, “Climbing” è un pezzo furbo che cavalca l’onda delle manie italodisco in voga al momento, e non risparmia richiami al french touch, ai pad acidini dei Daft Punk, ai Justice.

Il presunto sequel di “Can’t Do Without You“, “Do Without You“, invece ci riporta alle fusioni elettroniche – pop dei tempi di Swim. Così come Come Find Me, con il vocal che ripete continuamente “come and find me” si presenta come uno dei brani più orecchiabili e con potenziale da “earworm” dell’album.

La prospettiva di diventare una banger da dancefloor in Honey, invece, ce l’ha “Dear Life“. È ispirata ai successi elettronici di producer come Floating Points, Four Tet, Jon Hopkins, Fred Again… Ormai è impossibile non associare Dan Snaith a questi artisti, per le sperimentazioni musicali che alternano happiness e dimensioni emotive molto profonde. Ma sarà anche questo il caso di Honey?

La domanda che emerge è se Caribou stia davvero innovando o se stia semplicemente cercando di superare i limiti del proprio ego artistico, come se fosse una sfida con sé stesso. In complesso, in Honey non è tutto da buttare. Vari stili convergono, sono innegabili diversi riferimenti ad artisti e band molto amati. Nessun brano però spicca particolarmente, molte produzioni sono mediocri e le scelte di Snaith, soprattutto con l’uso dell’AI, sembrano talvolta più una dimostrazione tecnica che una vera ricerca di connessione emotiva. Una parabola non felicissima, specchio di gran parte del mercato musicale odierno.

Honey voleva essere audace, poliedrico. Ma ha deluso un po’ le aspettative. Rispetto ai suoi precedenti lavori, l’ultimo album di Snaith risulta più freddo e distaccato. La sensazione è che il producer canadese si stia avventurando in un territorio più tecnologico che umano. Ogni artista si evolve, esplora nuovi soundscape, ed è giusto che sia così. Trovo anche ammirabile la voglia di aprirsi al progresso, alle novità (non è così scontato, soprattutto per artisti che sono sulla scena da tempo) e voler sperimentare con l’intelligenza artificiale.

Ma qui manca la profondità del Caribou di Suddenly, Our Love, Swim. Manca un input esterno in più. Siamo pronti a lasciare andare il producer di Odessa, Bees, Sun? What if he Never Come(s) Back?