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Quali sono i dischi più influenti degli ultimi dieci anni? Per cosa saranno ricordati gli anni dieci del Duemila? Difficile confrontarsi con l’eredità di un’epoca così densa di avvenimenti e di cambiamenti radicali.

Stravolgimenti politici ed economici, eventi climatici estremi, innovazioni tecnologiche hanno cambiato i nostri comportamenti quotidiani, aperto la nostra socialità a nuovi condizionamenti e a bisogni in parte espressi, in parte sopiti ancorchè insoddisfatti, in funzione della chiave di lettura, spesso falsata, dei social media.

I nuovi anni dieci sono stati ben diversi da quelli che hanno introdotto gli anni ruggenti del Novecento durante i quali l’economia dell’emisfero occidentale crebbe a ritmi incessanti tanto da essere anche ribattezzati “gli anni dell’euforia”: questi lustri che a breve ricorderemo al passato sono invece stati gli anni delle contraddizioni annunciate e poi definitivamente esplose ma anche gli anni della consapevolezza.

Di fronte ai limiti del turbocapitalismo predatorio e dello sfruttamento dellerisorse e del lavoro di molti a vantaggio di pochi ci siamo riscoperti, infatti, più ambientalisti, consci dei limiti del pianeta e volti alla salvaguardia dei beni comuni ma allo stesso tempo anche più egoisti, ripiegati su noi stessi, in bilico tra la psicosi del terrorismo che colpisce la nostra quotidianità e la paura dell’altro, dell’ignoto, del diverso, specie se arriva da luoghi remoti.

Per effetto all’accorciarsi di ogni distanza virtuale e fisica grazie all’evoluzione delle reti e alla rivoluzione del commercio digitale, tutto quello di cui pensavamo di avere bisogno ci è sembrato poterne disporre a portata di pochi click; eppure, allo stesso tempo, la percezione della distanza e con essa del disinteresse rispetto agli eventi tragici e i conflitti, in zone non remote ma per noi geograficamente lontane, ci ha reso involuti e svogliati, meno propensi ad approfondire e sempre più passivi nell’assorbire e inglobare dati e informazioni manovrate dal “grande fratello”.

Abbiamo guidato sulle autostrade informatiche come dei pionieri senza patente; senza aver mai fatto un corso di cucina ci siamo inventati maestri pasticceri; senza aver studiato medicina ci siamo improvvisati teorici della vaccinazione; senza essere imprenditori siamo diventati affittacamere delle nostre stesse case contribuendo il rischio di gentrificazione dei centri urbani, solo per citare alcuni esempi.

Abituati a guardare il mondo attraverso lo schermo deformato dei nostri smartphone, spesso incapaci di filtrare l’autenticità del flusso di informazioni di cui siamo anelli di congiunzione, abbiamo assistito all’avvento della prima generazione di figli nati e cresciuti con le nuove tecnologie tattili e li abbiamo resi indipendenti pur sviluppando forme di iperprotezione nei loro confronti.

Le nostre apparenti certezze sono state messe in discussione man mano che abbiamo via via acquisito la cognizione di essere protagonisti di un’epoca di fragilità estrema dei rapporti interpersonali, l’era cosiddetta delle “relazioni liquide”, per dirla con il sociologo polacco Zygmunt Bauman.

Siamo diventati senz’altro più “smart”, dal lavoro alla mobilità, illlimitati nel consumo dei nostri
gigabyte ma altrettanto isolati e confinati nel perimetro delle nostre case ipertecnologiche, del mondo comodo e artefatto delle serie tv, assuefatti alla moda e insicuri nelle nostre capacità di prendere le misure del mondo esterno che ci circonda e di relazionarci ad esso per riappropiarcene.

Nel corso degli anni dieci del Duemila, se da una parte i conflitti e le guerre civili in Medio Oriente ponevano fine alle speranze della rinascita culturale della primavera araba, dall’altra nuove guerre geopolitiche, talvolta non dichiarate, hanno coinvolto i paesi dell’est e il sudamerica.
La roccaforte finanziaria eurocentrica, d’altra parte, nel corso di questi anni ha iniziato a vacillare affetta da crisi di rappresentanza e dall’incapacitià di adattarsi ai mutevoli equilibri politici interni dei suoi membri particolarmente eterogenei e all’affermarsi dei nuovi nazionalismi.

Gli anni dieci del Duemila sono stati gli anni in cui siamo diventati sempre più globalizzati nei consumi ma nazionalisti e sovranisti di ritorno quando si trattava di salvaguardare il nostro illusorio benessere.

E se secondo lo storico Eric Hobsbawm, il secolo breve vale a dire il Novecento “è finito in un disordine mondiale di natura poco chiara e senza che ci sia un meccanismo ovvio per porvi fine o per tenerlo sotto controllo”, il fallimento apparente di tutti i programmi, vecchi e nuovi, per gestire o migliorare la condizione del genere umano insieme alla complessità delle crisi mondiali ha reso l’inizio degli anni Duemila quantomeno denso di avvenimenti interessanti, mentre un evento di portata storica e dall’impatto ancora imprevedibile quale la Brexit è alle porte.

sound design

Quale potrebbe essere una playlist ideale capace di raccontare, attraverso gli album più influenti, questi dieci anni che stanno per finire?

Negli ultimi dieci anni abbiamo ascoltato davvero molta musica anche per effetto della rinascita del mercato discografico grazie al successo dei servizi di streaming i quali, se da un lato hanno messo un deciso freno alla pirateria digitale dando al fruitore accesso quasi illimitato alle fonti sonore, dall’altro hanno relegato ad un algoritmo, orientato secondo le logiche delle major discografiche, la capacità, vera o presunta tale, di orientare le scelte di ascolto intese come mere scelte di consumo.
Non è un caso che proprio questi anni che ci stiamo buttando alle spalle hanno visto l’emergere delle in-store radio e del corollario di servizi e di opportunità su cui i grandi brand commerciali hanno investito per rendere la musica compagna ideale delle propensioni di acquisto.

streaming platforms

L’altra faccia della medaglia l’hanno rappresentata le piattaforme indipendenti per il networking musicale e la condivisione di podcast musicali, radiofonici e altri contenuti editoriali, il cui successo risiede nella capacità di disintermediare i compensi, facilitare l’accesso al marketplace di artisti emergenti e di riportare al centro il rapporto tra artista e pubblico.

Con la nicchia del vinile sempre forte e la resilienza dei negozi di dischi, i quali un decennio fa erano stati dati quasi all’unanimità per spacciati, c’è chi ha preferito tornare ad una dimensione locale, quasi di quartiere, nel diggin’ musicale, prediligendo la fidelizzazione e la relazione diretta che si concretizza nello scambio di vedute, opinioni, consigli e nella ricerca della rarità che non può prescindere dalla dimensione fisica.

In un quadro così frammentario e affetto da una sovraofferta musicale cronica rispetto alla domanda ognuno di noi, per preferenze personali o gusto, ha accompagnato e interpretato con la propria playlist il tempo che stava vivendo, incurante delle mode e degli stessi algoritmi.

Se dovessimo basarci sul clic degli utenti, scopriremo che secondo Spotify le cinque cantanti più ascoltate del decennio a livello mondiale, sono Ariana Grande, Rihanna, Taylor Swift, Sia e Beyoncè mentre nella top five al maschile entrano Drake, Ed Sheeran, Post Malone, Eminem e The Weeknd.

Se invece volessimo concentrarci sulla musica che, secondo la nostra sensibilità e in funzione del nostro punto di osservazione privilegiato della scena elettronica e del panorama del clubbing ha rappresentanto meglio di ogni altra il cambiamento di questi anni al punto tale da averlo anche influenzato, qui di seguito troverete una personale selezione di chi scrive, che non vuole essere in alcun modo esaustiva e che contiene senz’altro molte dimenticanze: cinque album per anno, in ordine sparso, senza un particolare filo logico, ma soltanto sulla base delle emozioni che ci hanno dato e di quanto dirompenti siano stati, ognuno a modo suo, nello scardinare stili, rimescolare i generi, cambiare la scena dei club, orientare le mode, attingere dal passato per disegnare la mappa della musica di domani.

Perchè quello che porteremo con noi di questi dieci anni di musica lo sapremo davvero solo soltanto quando questi dieci anni saranno passati da molto tempo.

records of the year

2010
Actress – Splazsh (Honest Jon’s)
Autechre – Oversteps (Warp)

Flying Lotus – Cosmogramma (Brainfeeder)
Four Tet – There’s Love in You (Domino)
Oneothrix Point Never – Returnal (Editions Mego)

L’ultimo decennio ha tra i suoi protagonisti, sin dall’inizio, Steven Ellison, meglio conosciuto come Flying Lotus.
Il pronipote di John Coltrane scardina gli stilemi dell’hip-hop unita all’elettronica finora conosciuti e promuove la nascita di un sound che è anche sinonimo della sua label, la Brainfeeder.
Lontano della mappa del sistema di pianeti losangelocentrico, scoperto da FlyLo, New York risponde con il vocabolario neurale di Daniel Lopatin, Oneothrix Point Never, che con “Returnal” porta a compimento il suo percorso “hipster-gogic pop”.
Four Tet con il suo quinto lavoro codifica una stile di club music talmente evoluto che non sarebbe possibile suonare in alcun club, il duo di casa Warp Autechre con il loro decimo album, tra i più ingiustamente sottovalutati, aggiunge un tassello alla storia dell’avanguardia mentre la Honest Jon’s di quel genio di Damon Albarn pubblica il secondo lavoro a firma di Darren Cunningham, aka Actress, il seminale “Splazsh”.

2011
DJ Rashad – Just A Taste Vol. 1 (Ghettophiles)
Nicolas Jaar – Space Is Only Noise (Circus Company)
James Ferraro – Far Side Virtual (Hippos in Tanks)
Radiohead – The King of Limbs (XL)
Ricardo Villalobos & Max Loderbauer – Re: ECM (ECM)

Nell’anno della catastrofe di Fukushima, è lo statunitense James Ferraro a dettare le regole della musica come arte contemporanea, teorizza con il suo “Far Side Virtual” i canoni della nuova vapor wave, risposta ipertecnologica alla visione retromaniaca del celebre critico musicale britannico Simon Reynolds.
Dal Cile passando per gli Stati Uniti, un giovane di nome Nicolas Jaar porta l’arte contemporanea e la musica da ballo su un piano paritario, dimostrando una sensibilità inedita per un producer elettronico con il “vizio” della composizione.
Il ritorno dei Radiohead è tra i più inattesi, con un disco quale è “The King of Limbs ” nel quALE il genio di Thom Yorke e soci viene condensato in trentasette minuti di beat e melodie introspettive, le più impervie della loro carriera.
E mentre Ricardo Villalobos e Max Loderbauer si isolano ai Laika Studios di Berlino, poco distante dal Berghain, per cimentarsi con il remix di una selezione di tracce dal catalogo della leggendaria ECM di Monaco, dalle ceneri del dubstep britannico nei warehouse di Chicago l’ultima tendenza si chiama footwork ed il compianto DJ Rashad ne resterà uno dei suoi interpreti più straordinari.

2012
Laurel Halo – Quarantine (Hyperdub)
Kendrick Lamar – Good kid, m.A.A.d city (Interscope)
Ricardo Villalobos — Dependent and Happy (Perlon)
Robert Glasper- Black Radio (Blue Note)
Shackleton – The Drawbar Organ/Music For The Quiet Hour (Woe to the Septic Heart!)

Dopo un anno che ha visto riaccendersi vecchi e nuovi conflitti solo apparentemente lontani, la riconferma di Obama come mente illuminata tra i potenti della terra accompagna, negli USA, la rinascita dell’hip-hop, tanto di quello della West Coast grazie a “good kid, m.A.A.d city”, secondo album a firma di Kendrick Lamar  quanto di quello newyorkese che grazie al synth jazz di Robert Glasper riportano la black music al centro delle evoluzioni sonore di questa epoca.
Con il suo terzo album “Dependent and Happy”, invece, Villalobos si conforma icona della contemporary techno, mentre i ritorni di Schackleton e di Laurel Halo, segnano, rispettivamente, una ventata di originale dark minimalismo e l’affermazione di una delle menti al femminile più autorevoli degli ultimi anni, capace di abbattere i confini tra ambient, pop, neo-psichedelia e la proprie radici nell’universo techno.

2013
Boards of Canada — Tomorrow’s Harvest (Warp)
Daft Punk – Random Access Memories (Columbia)
James Holden — The Inheritors (Border Community)
Julia Holter — Loud City Song (Domino)
Moderat – II (Monkeytown)

Nel decennio del già sentito, il 2013 è forse l’anno più marcatamente vintage, dove il ritorno della disco è sancito e dichiarato dal ritorno commerciale dei Daft Punk, insieme all’inossidabile Nile Rodgers, mentre l’elettronica di matrice berlinese esce definitivamente dall’underground grazie al duo Modeselektor che, insieme ad Apparat, scala l’immaginario comune della techno verso nuove entusiasmanti prospettive.
“The Inheritors “consegna a questo decennio uno degli artisti del campo elettronico più veri ed autentici: kosmische musik, minimalismo, spiritual jazz, radici anglosassione reinterpretate da James Holden con passione e originalità, quanto di più lontano dalla dimensione club che lo aveva reso celebre.
La Warp consolida il proprio primato tra le label grazie alle sue perle di diamente, tra i quali i Boards of Canada ed i loro portali per profondi viaggi interiori.
In un anno dove il pop sembra non sapersi reinventare c’è una luce ed è quella che emana dagli occhi e dalla voce di Julia Holter, capace di parlare del mondo contemporaneo e di trasformare le ansie del quotidiano in onde sonore che contengono le ansie del nostro tempo in un flusso a bassa frequenza.

2014
Aphex Twin – Syro (Warp)
Call Super – Suzi Ecto (Houndstooth)
Fatima Al Qadiri – Asiatisch (Hyperdub)
Plastikman – Ex (M_nus)
The Bug – Angels & Devils (Ninja Tune)

Il 2014 è stato per molti l’anno della drone music, da Ben Frost a Lawrence English, dell’avvento della bass music sulle ceneri del dubstep e della techno; ma hanno visto l’arrivo di diversi talenti emergenti delle nuove generazioni, tra tutti Joseph Seaton, in arte Call Super.
Il decennio del bipolarismo inteso come società dalle molteplici e stratificate sfumature non può non annoverare tra i suoi protagonisti Richie Hawtin e il suo doppio Plastikman, alias con cui firma uno dei concept album (e live set) tra i più interessanti della sua corriera.
Gli fa eco Aphex Twin che con “Syro” ritorna sulla scena elettronica dopo 13 anni di assenza da “DrukQs” con un monumentale lavoro di produzione per un disco di IDM che è anche un tributo alla cultura rave degli anni’90.
Nella Londra post-dubstep si staglia il virus underground di Kevin Martin, aka The Bug, che in un momento chiave della sua carriera cambia scuderia, dalla Hyperdub di Kode 9 alla Ninja Tune dei Coldcut per un disco d’autore che fonde grime, post punk e bass music in uno scenario urbano post apocalittico.
Non a caso proprio la Hyperdub produce il disco della kuwaitiana di nascita ma newyorkese Fatima Al Qadiri: il suo “Asiatisch” è la visione synth-etica di un mondo orientale immaginario, un futuro post globale dove la musica ingloba e riassume gli stereotipi.

2015
Björk – Vulnicura (One Little Indian)
Floating Points – Elaenia (Luaka Bop)
Kamasi Washington – The Epic (Brainfeeder)
President Bongo – Serengeti (AlbumLabel)
The Necks – Vertigo (ReR Megacorp)

Il giro di boa del decennio, segnato indelebilmente dalla scia di sangue che vede il suo culmine negli attentati di Parigi, segna un forte momento di spaesamento e di ricerca di nuovi e diversi punti di riferimento.
Anche in ambito musicale vengono poste alcune pietre miliari della musica di questa epoca: 172 minuti di durata, 3 sezioni, per 17 brani, un’orchestra e un coro coinvolti, sono i numeri del capolavoro jazz firmato da Kamasi Washington che esce per la Brainfeeder marchiata Flying Lotus.
Sul versante ben più concettuale dell’avanguardia e del free è l’ultima fatica di Chris Abrahams, Tony Buck e Lloyd Swanton, il trio australiano dei The Necks che condensa in “Vertigo” la propria idea di distorsione della realtà tipica dei nostri tempi in 43 minuti di minimalismo, ambient, jazz d’avanguardia condensati in un’unica traccia.
E se Bjork è una delle poche certezze a cui aggrapparci, “Elaenia”, album d’esordio del produttore di Manchester Sam Shepherd aka Floating Points conferma il talento di questo giovane producer elettronico laureato in neuroscienze, con alle spalle una solida formazione jazz a base di studi al conservatorio, amico di Four Tet e Caribou; garantisce la Luaka Bop, etichetta di riferimento della world music fondata da David Byrne.
Nella riscoperta delle musiche che assorbono suggestioni di mondi lontani includiamo anche il tribalismo elettronico di Serengeti il primo album solista di Stephan Stephensen, già fondatore degli islandesi GusGus.

2016
Anderson Paak – Malibù (OBE)
Anohni – Hopelessness (Rough Trade)
Demdike Stare – Wonderland (Modern Love)
Huerco S. – For Those Of You Who Have Never (And Also Those Who Have) (Proibito)
Kaytranada 99,9% (XL)

Soltanto pochi anni prima la rinascita dell’hip hop grazie a Kendrick Lamar era passata per Comptpn, California: è da qui che arriva anche Anderson Paak,  astro della black music del nuovo millennio, stiloso interprete del flow che con il suo “Malibù” ottiene la candidatura ai Grammy come miglior album urban contemporary.
In questa categoria sempre più omnicomprensiva rientrano il funk e l’r&b, l’house, il soul in una nuova miscela di abstract hip hop venato di jazz, che omaggia tanto J Dilla quanto FlyLo: è il blend che contraddistingue l’esordio dal titolo “99,9%” del dj e producer haitiani di origini canadesi Kaytranada.
Agli antipodi, nei sotterranei dell’elettronica, si annida il virus post hauntologico di DJ Sean Canty e dal produttore Miles Whittaker, in arte i Demdike Stare.
Il loro “Wonderland”, sesto lavoro sulla distanza della loro carriera, unisce techno spettrale e immaginario distopico, in un’alchimia sonora davvero unica nel suo genere.
Su frequenze diverse, quello dell’IDM più evoluta di casa Planet Mu, si staglia il lavoro di sintesi sull’elettronica astratta del producer, Brian Leeds in arte Huerco S. che con “For Those Of You Who Have Never (And Also Those Who Have)” raggiunge un nuovo livello di maturazione a tre anni di distanza dal già apprezzato esordio e fa emergere nel panorama newyorkese la label Proibito del DJ e producer Anthony Naples.
Non lontano dalle coordinate sonore lungo le quali si muovono i Demdike Stare vigila con attenzione Daniel Lopatin che, dopo l’elettronica, decide di reinventare anche il pop con Hudson Mohawke ed Antony Hegarty, nel nuovo alter ego in solo di quest’ultima chiamato Anohni.

2017
Four Tet – New Energy (Text)
James Holden & The Animal Spirits – The Animal Spirits (Border Community)
Jlin – Black Origami (Planet Mu)
Ryuichi Sakamoto – Async (Milan)
Visible Cloaks – Reassemblage (Rvng Intl.)

Il 2017 segna il ritorno sulle scene del Maestro nipponico Ryuichi Sakamoto otto anni dopo l’ultima prova in studio e dopo una dura malattia: “Async” è un lavoro di sperimentazione elettronica profondamente legato al suo vissuto degli ultimi anni incluso lo shock del terremoto e dello tsunami che colpì  nel 2011 il Giappone.
Sakamoto è uno dei personaggi più influenti in ambito musicale del decennio, ma non gli è da meno Jerrylinn Patton in arte Jlin, operaia in un’acciaieria con la passione per il tribalismo africano l’elettronica, i beat irregolari e l’India che con “Black Origami” assembla frammenti ritmici in un’incalzante mescola futurista in un disco post globale che è un lascito di questo decennio.
La rinnovata attenzione alle musiche del mondo da parte dei producer elettronici trova radici fertili anche nel lavoro di ricerca estramente personale di James Holden il recupera la musica gnawa del rimpianto Mahmoud Guinia insieme ai suoi The Animal Spirits con Tom Page dei RocketNumberNine alla batteria ed Etienne Jaumet (sassofono), in un nuovo ibrido sospeso tra kraut, psyco, folk(tronica) ed elettronica acustica.
In un periodo di populismi e xenofobia è Kieren Hebden a gettare un ponte tra l’inghilterra e l’oriente in una nuova tappa del suo percorso olistico: il suo “New Energy” è uno spazio immaginario dove non esistono barriere etniche ma dove le influenze post rave lasciano il posto alle contaminazioni extra elettroniche e ai campionamenti di field recordings.
Confini ampi e labili che trovano una delimitazione nelle geometriche linee ambient del duo di sound designer originari Portland Visible Cloaks grazie al loro secondo album Re-Assemblage.

2018
Oliver Coates – Shelley’s On Zenn-la (Rvng Intl.)
Julia Holter – Aviary (Domino)
Hailu Mergia – Lala Belu (Awesome Tapes From Africa)
Oneothrix Point Never – Age Of (Warp)
Leon Vynehall – Nothing Is Still (Ninja Tune)

Nel (corto) circuito di connessioni di fine decennio lo storytelling di questi primi due lustri che si avviano alla conclusione ha come protagonisti alcuni trend musicali che confermano la strategia di lungo periodo vincente di alcune label cardine dell’architettura elettronica: Warp, Domino, Ninja Tune, le quali rilasciano i nuovi lavori, rispettivamente, di Oneothrix Point Never, Julia Holter e dell’enfant prodige Leon Vynehall che ispirandosi al dramma delle disuguaglianze e delle cause dei fenomeni migratori, nel passato e nel presente, disegna un paesaggio sospeso tra atmosfere ambient, minimaliso e abstract hip-hop sulla scorta della lazione di Dj Shadow.
Dischi iconici quelli uscit nel 2018, inclusi quelli del violoncellista britannico Oliver Coates che tributa un omaggio al celebre tempio londinese della musica rave, lo Shelley’s Laserdrome di Stoke On Trent e del tastierista etiope Hailu Mergia, riscoperto dalla Awesome Tapes From Africa, label tra le più influenti del decennio.

2019
Damon Locks Black Monument Ensemble – Where Future Unfolds (International Anthem)
Max Cooper – Yearning For The Infinite (Mesh)
Matthew Herbert Big Band – The State Between Us (Accidental)
Moodymann – Sinner EP (KDJ)
75 Dollar Bill – I Was Real (Tak:til Glitterbeat)

Gli anni Dieci si chiudono con la consapevolezza di come la black culture e con essa tutto quello che ne deriva sia diventata la cultura pop di riferimento.
Ne sono una conferma la International Anthem di Chicago, colonna portante della nuova scena avant-garde jazz di cui fa parte il Black Monument Ensemble di Damon Locks: un collettivo di musicisti, cantanti e ballerini, espressione di una coscienza e spiritualità black come risposta ai cambiamenti della nostra società.
Il 2019 è stato anche l’occasione per ricordare un festival come il Movement di Detroit, cresciuto nel corso degli anni senza mai perdere la propria identità, al punto tale da essere uno dei palchi preferiti di un’artista molto avaro di compromessi: Kenny Dixon JR, aka Moodymann, che in questa edizione ha presentato e distribuito il suo nuovo EP, intitolato” Sinner”.
La palma di album più interessante da un punto di vista musicale va al disco “I Was Real” del duo americano 75 Dollar Bill e allo loro originale desert blues trascendentale, venato di originale psichedelia, colonna sonora ideale per una danza ipnotica scandita da convulsioni chitarristiche-percussive.
Chiudono il cerchio (e il decennio) i nuovi lavori di due artisti britannici: The State Between Us, il brexit album firmato da Matthew Herbert, un progetto che coinvolge più di mille artisti e che testimonia cosa significhi essere cittadini britannici in questi giorni confusi e incerti, insieme a “Yearning For The Infinite”, ultima release del audio-visual designer Max Cooper, progetto dedicato alla nostra ossessione per l’irraggiungibile e conferma la grande attenzione prestata dal producer elettronico verso tutti gli aspetti legati al rapporto tra nuove tecnologie e progresso scientifico nel quadro dell’evoluzione umana.