Negli ultimi anni, l’Italia ha visto un inasprimento delle politiche nei confronti dei locali notturni, in particolare a livello locale. Molte amministrazioni, spesso pressate da residenti o associazioni, hanno adottato una politica restrittiva verso gli spazi culturali ed il clubbing, imponendo limiti ad orari di chiusura, emissioni sonore e sicurezza.
Questo fenomeno ha alimentato una tensione crescente tra l’industria della notte e le autorità politiche. Da un lato, si cerca di regolamentare le attività per garantire ordine pubblico, tuttavia, il rischio è quello di soffocare una parte fondamentale della vita culturale delle città. Il clubbing continua a soffrire. Non è una battaglia nuova.
Un po’ di storia
Anni settanta: la sala da ballo come sfida politica
L’ostilità del governo Italiano verso la cultura della vita notturna non è una novità. Dalla nascita delle prime sale da ballo negli anni Settanta, le critiche provenivano sia dalla destra conservatrice, ma anche dalla sinistra più progressista, che considerava il ballo un simbolo di superficialità e mancanza di impegno politico.
Ballare di sera in un locale era visto come un’attività frivola, lontana dalla danza considerata arte elevata, regina del teatro tradizionale. Di conseguenza, con l’esplosione della disco music nel 1977, si creò un bivio sia politico che sociale. Dal governo iniziarono a condannare questo genere musicale, accusando i giovani di essere facilmente influenzabili e inclini a comportamenti negativi, e quindi responsabili della presunta degenerazione della società.
Anni Ottanta: l’ascesa dell’italo disco e il boom delle discoteche
Dopo le prime critiche, tra fine anni ’70 ed inizio anni ’80, nasce l’Italo Disco, elevando molti artisti italiani allo status di icone della cultura pop. Le discoteche commerciali si trasformano in templi della musica elettronica, e nuove mode legate alla vita notturna iniziano a emergere.
Il Cocoricò di Riccione o il vecchio locale simbolo di Roma, il Piper, diventano luoghi di ritrovo per i giovani, simboli di una nuova libertà di espressione, sessualità e sperimentazione. I clubber trovano uno spazio per affermare la propria identità e vivere esperienze collettive attraverso la musica, il ballo e l’estetica.
Anni Novanta: rave culture e le subculture fuori dai locali
Negli anni Novanta si cavalca questa scia positiva, con la nascita della cultura rave e della musica techno. I rave, feste spesso organizzate fuori dalle città, nelle campagne o in spazi industriali abbandonati, diventano simbolo di ribellione giovanile e controcultura.
L’esplosione di questi eventi porta con sé nuove sfide. Le autorità li iniziano a vedere con sospetto, con l’accusa di essere luoghi di consumo di droghe e degrado sociale. Le leggi anti-rave fanno presto ad essere ratificate, e la repressione da parte delle forze dell’ordine diventa da subito la risposta diretta al fenomeno. Si vedono infatti numerosi arresti di organizzatori e chiusure di eventi, dipingendoli come pericolosi e dannosi.
Il nuovo millennio: i nuovi centri di produzione culturale
Nel nuovo millennio, la club culture si radica ulteriormente e molti locali diventano veri e propri istituti culturali. Dei safe space, spazi ibridi capaci di rappresentare ognuno e amplificare questa espressione culturale, con una programmazione più curata e un’attenzione più forte verso la comunità clubbing.
Parallelamente, le sfide del settore non fanno altro che intensificarsi. I club iniziano a essere sempre più regolamentati: limitazioni sugli orari di apertura, restrizioni sul volume della musica, pressioni dai residenti nelle zone centrali, controlli stringenti da parte delle autorità comunali e questioni legate alla sicurezza diventano ostacoli costanti. Anche il costo crescente per ottenere licenze e permessi per eventi elettronici diventa un problema, costringendo alcuni piccoli centri a chiudere o a limitare le loro attività.
Come sta il clubbing oggi?
Oggi, la scena culturale e del clubbing italiano continua a lottare per il proprio spazio, sia a livello politico che sociale. Da decenni, queste realtà rappresentano veri e propri catalizzatori di comunità: spazi dove le persone di diverse provenienze culturali e anagrafiche si incontrano, interagiscono e si esprimono attraverso la musica, il ballo e altre forme di creatività.
Da Ibiza a Berlino, da Londra a New York, quella dei clubber è stata una delle principali comunità propulsive per l’innovazione musicale e oltre, dando vita a movimenti come la disco, la techno e la house music. Questi movimenti non sono solo generi musicali, ma riflettono identità culturali e sociali, spesso legate a ideali di libertà, espressione personale e inclusività appartenenti alla cultura clubbing. La comunità italiana ha da sempre partecipato attivamente a questo fermento culturale, ma negli ultimi anni il loro ruolo è stato sempre più marginalizzato a causa delle restrizioni imposte dalle autorità locali.
La politica con(tro) gli spazi culturali e il clubbing
Una delle principali critiche dei clubbers rivolte alla politica locale è l’inasprimento dei limiti sui decibel. I locali notturni si trovano spesso in quartieri centrali o densamente abitati, dove le lamentele per il rumore possono aumentare. In molte città italiane, i regolamenti locali impongono limiti severi sui livelli di rumore che possono essere emessi dopo una certa ora. Spesso, queste normative sono così restrittive da rendere quasi impossibile per i centri culturali di organizzare eventi musicali senza rischiare sanzioni. Le multe per il superamento dei decibel sono frequenti, così come i controlli a tappeto che spesso sfociano in chiusure temporanee o definitive.
La necessità di regolare il rumore per tutelare la qualità della vita dei residenti è certamente legittima, ma va bilanciata con il diritto delle persone di avere spazi di socialità e di espressione culturale. Una regolamentazione troppo rigida, che costringe gli operatori ad agire in condizioni insostenibili, equivale di fatto a una forma di censura culturale. Se questi sono costretti a chiudere o a ridurre drasticamente le loro attività, viene meno uno spazio sicuro fondamentale per l’incontro e l’espressione della creatività giovanile.
Tra censura e impoverimento culturale
Il dibattito sull’impatto della politica restrittiva nei confronti dei club e centri creativi non è solo una questione economica, ma anche culturale. Imponendo regolamenti eccessivamente rigidi, le amministrazioni locali di fatto limitano la libertà di espressione musicale e artistica. Ribadendolo: la musica e la cultura notturna sono parte integrante del patrimonio culturale contemporaneo. Questi locali sono veri e propri hub creativi, dove nuove tendenze e movimenti culturali emergono e prosperano.
Dunque, la chiusura di un club non è solo la perdita di un business, ma rappresenta la fine di un punto di riferimento per intere comunità di giovani e appassionati di musica. La limitazione eccessiva della vita notturna rischia di far sparire luoghi che hanno contribuito alla crescita culturale e sociale delle città.
Il caso TANK – serbatoio culturale a Bologna
Nato quattro anni fa, lo spazio bolognese è molto più di un club. È uno spazio ibrido di produzione culturale, che offre un’ampia gamma di attività: presentazioni di libri, concerti, festival editoriali, rassegne, mostre, palestra informale, musica.
Uno degli aspetti più significativi del progetto è la sua connotazione femminile. Il TANK è infatti un progetto totalmente gestito da donne, che con competenza e professionalità hanno costruito un esempio di imprenditoria al femminile.
Nonostante l’importanza culturale e sociale del progetto, il TANK non ha avuto vita facile. Nella sua breve esperienza ha già dovuto fare i conti con chiusure, restrizioni e necessità di reinventarsi. Eppure, nonostante tutto, è riuscito a continuare la sua attività, mantenendo vivo il legame con la comunità che lo sostiene.
Durante una delle ultime serate è stata rilevata una violazione del limite sonoro di 3 decibel. Un’irregolarità minima che rappresenta un fatto isolato, in un contesto di centinaia di iniziative senza particolari problematiche. Questa infrazione però ha avuto ripercussioni pesanti.
Il 28 settembre 2024 TANK si è visto mettere i sigilli all’impianto audio, con annessa sospensione immediata di tutte le attività musicali dalle 22:00 alle 06:00. Una decisione che racchiude tutta l’amarezza di una realtà che nonostante la solida reputazione come spazio culturale di riferimento nel panorama bolognese si deve interfacciare ad un sistema fatto di pregiudizi e norme troppo strette.
Nonostante le difficoltà, le ragazze non si arrendono. Gli eventi non verranno annullati, ma trasferiti in altri luoghi, continuando a mantenere viva l’anima del TANK. Tuttavia, il progetto ha bisogno di fondi per evitare che il locale rappresenti ancora un esempio – squisitamente Italiano – di polo culturale destinato a cessare le sue attività. Uno di una lunga serie di realtà che si sono trovate ad interfacciarsi alle difficoltà poste da un vicinato scettico e una politica contro i club e gli spazi culturali limitante e oppressiva.
Perdere il TANK – serbatoio culturale non significherebbe, dunque, semplicemente dire addio a un club, ma perdere un luogo che una comunità intera considera un safe space.
Non vogliamo ballare altrove
In una società sempre più pervasa dall’odio, creare spazi sicuri in cui essere se stessi è una sfida crescente. Il TANK ha deciso di ricoprire questo ruolo, e non solo è diventato un luogo di incontro, ma un vero rifugio dove ascoltare, capire, socializzare, ma anche allenarsi e di fatto contribuire ad una produzione culturale unica nel suo genere. È uno spazio vitale per il benessere e l’espressione autentica di chi lo frequenta.
In un contesto in cui spazi come il TANK vengono messi sempre più sotto pressione, la lotta per mantenere viva la cultura della notte ed il clubbing continua.
L’Italia non può permettersi di perdere i propri spazi culturali notturni. Questi club sono una parte vitale della vita sociale e culturale delle nostre città, e devono essere riconosciuti come tali dalla politica locali e nazionali.
Limitare la possibilità di espressione artistica e sociale in questi spazi significa, di fatto, limitare la libertà di una parte significativa della popolazione. È necessario un ripensamento della politica in materia, che consideri i centri che fanno cultura e clubbing come spazi di opportunità e non minaccia, mettendo al centro ed in primis il loro valore sociale, culturale ed aggregativo.