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Come il fenomeno della visual art ha trasformato un settore, nel bene e nel male. 

Ipotizziamo di esserci organizzati per andare a un festival, o a un evento a cui teniamo, che aspettiamo con gioia e ansia. I biglietti sono già stati acquistati e abbiamo deciso come raggiungere il luogo designato. È un’occasione per assistere ad uno spettacolo che – si spera – ricorderemo a lungo.

Immagino che ognuno di noi abbia pensato a un evento in particolare e ad artisti specifici. Ecco, sono sicuro che qualunque festival abbiate focalizzato, include uno show audio-visuale. 

Non c’è da stupirsi, perché ormai il fenomeno della visual art ha completamente contagiato il settore dell’elettronica. Un continuo avvenire che sembra non avere barriere davanti a sé. Tutti i grandi eventi che mobilitano le masse presentano stage conformi alla moda. Se prima l’aspetto del palco veniva curato tramite composizioni di luci, laser e magari strutture scenografiche, oggi rimane l’aspetto del light design, che si unisce però all’installazione di mastodontici schermi, che più grandi sono più successo porteranno. 

Afterlife Medellín 2023

Un’opera d’arte totale? Già sentito

Spesso gli artisti non amano essere classificati sotto un genere musicale specifico, soprattutto negli ultimi anni, dove grazie ad una forte contaminazione artistica, abbiamo assistito ad innovative sperimentazioni sonore. Possiamo dire lo stesso per quanto riguarda la visual art che certi nomi propongono. Esiste un filo conduttore, che cuce insieme un progetto artistico al di là del suono.

È però errato attribuire le opere “esposte” agli stessi produttori musicali. Potremmo definire i producer legati al mondo della digital art come i grandi committenti della storia dell’arte: gli innumerevoli personaggi della Chiesa o le nobili e ricche famiglie. Così facendo, suono e visione si uniscono nella progettazione di un’arte più vicina all’assoluto

Un’arte completa dunque, concetto che però non nasce oggi con l’avvento delle nuove tecnologie multimediali, non ci siamo inventanti niente – come da molto tempo ormai. Nel corso del XIX secolo, in quella che oggi è la Germania, lo scrittore e filosofo Karl F. E. Trahndorff utilizza per la prima volta il termine Gesamtkunstwerk: letteralmente “opera d’arte totale”. Espressione che verrà poi ripresa da Richard Wagner, il quale identifica l’opera d’arte totale nel teatro dell’antica Grecia. Per Gesamtkunstwerk intendiamo la combinazione perfetta di tutte le forme artistiche: musica, poesia, arti figurative, drammaturgia, coreutica, tutte soggette allo scopo di realizzare l’opera perfetta e universale. 

Eric Prydz HOLO Tomorrowland 2023

Trovate tutti i nostri Editoriali nella sezione dedicata.

Una proposta artistica basata sugli schermi per una società che vive attraverso schermi.

Indubbiamente il fenomeno dell’opera d’arte totale ripreso ai giorni nostri è qualcosa che attira milioni di appassionati (e non) ad addentrarsi in un panorama musicale innovativo e moderno. Una proposta artistica basata sugli schermi per una società che vive attraverso schermi. Concetto che rispecchia la nostra vita, e anche per questo ha successo. 

Siamo sempre distratti dalla superficialità del virtuale, e probabilmente la musica non ci basta più. L’ingresso dell’aspetto visuale negli eventi live è anche figlio di questo fenomeno: oltre ad essere trasportati dal ritmo e le melodie, abbiamo bisogno di un completamento dell’opera, e qui entrano in scena gli enormi schermi a led, mastodontica iconografia dei nostri smartphone. 

E se siamo sempre più immersi dentro i nostri dispositivi elettronici, ora anche i live show ci trasportano in una dimensione distaccata dalla realtà: se prima era più una questione di immaginazione, ora possiamo conservare anche quella, per vivere un’esperienza metaverbale che ci distacca dalla fisica realtà e ci unisce nella mente attraverso lo sguardo. 

Anyma Genesys Printworks 2022

Nel bene e nel male

Un’evoluzione del live set che sembra non essere mai abbastanza. E questa ingordigia innovativa ha prodotto ormai risultati differenti nell’analisi dei nuovi live show. 

Luci

Notiamo un grande incremento delle presenze, che dopo la sciagurata pausa dovuta al covid, era necessario e ben sperato. Si registrano sold out in tutti i maggiori eventi che comprendono l’aspetto della visual art, Afterlife – pionieri del settore – è un esempio indiscutibile. Ma basti pensare anche al progetto HOLO di Eric Prydz: un mostro sacro dell’elettronica mondiale che ha sfruttato la corrente rivoluzionaria a proprio favore rimettendosi in gioco come artista. 

La visual art ci trasporta in una sfera futuristica, a volte minimalista, onirica e misteriosa della coscienza umana, soprattutto per i protagonisti delle opere. Un ecosistema che tende lo spettatore verso orizzonti sconosciuti e inconsueti. Questo nuovo concetto di live set ci permette di viaggiare come solo le grandi forme d’arte hanno fatto nel corso della storia. Pensiamo al ruolo rivoluzionario della fotografia o del cinema poi, o della pittura d’avanguardia fino ai quadri surrealisti e metafisici. 

E ombre

D’altro canto, è ormai qualche anno che possiamo toccare con mano questo fenomeno. La diffusione delle conoscenze per sviluppare e poi proporre spettacoli contenenti visual art non possiede chissà quali limiti, di conseguenza è più facile per tutti realizzare un prodotto che segua questa filosofia. La grande popolarità che ha portato enormi profitti e di certo un nuovo stimolo artistico, rischia di trascinare il movimento in una spirale ripetitiva e talvolta superflua. Tutto dovuto a quell’ingordigia citata in precedenza, che può contagiare di superficialità gli artisti.

C’è il rischio – e già si è visto – di ritrovarsi con centinaia di opere fini a sé stesse, che non possiedono un collegamento con la musica e tantomeno con l’artista, ma sono nate solo per via di una moda, e periranno di conseguenza. L’appiattimento della proposta artistica è un rischio estremamente elevato quanto certo, la storia ce lo insegna, non solo nella musica. All’angolo opposto del ring invece troviamo un atteggiamento assai ambizioso, quasi presuntuoso, di quando i producer insieme ai visual artists stracciano l’inventiva – anche se, come già detto, non ci siamo inventati niente – e propongono opere che sono semplici rivisitazioni o copie di qualcosa visto su internet la settimana prima. 

C’è ancora spazio per l’innovazione?

In qualunque modo decidiamo di vedere lo sbarco della visual art nel settore dell’elettronica live, dobbiamo fare i conti con esso. E pensare a chi invece, dopo aver fatto i conti dei possibili profitti, ha costruito un’arena capace di ospitare 20 mila persone composta da soli led. Sphere è stata inaugurata meno di un mese fa dalla performance degli U2, e il successo è stato clamoroso (se qualcuno aveva dubbi). Un luogo progettato per ospitare svariarti eventi, tra cui live show. 

Visual Art
Sphere, Las Vegas

L’immaginazione corre veloce: se mai potessimo assistere ad un evento all’interno di quest’arena? Probabilmente le parole non basterebbero. E se invece immaginassimo un futuro per i live? La questione diventa più difficile. Si potrebbe pensare ad un’ulteriore avanzamento della visual art, a composizioni di droni, aspetto già visto ma che ancora non ha raggiunto il picco, o chissà che altro. 

E se invece l’innovazione fosse un ritorno al passato? Se magari stufi di tutto questo visual, fosse più efficace innovare rimuovendo? Può sembrare assurdo, ma la storia è piena di esempi di come, in mancanza di idee, si faccia sempre riferimento a chi ha avuto idee prima di noi. Alla fine, anche l’idea di opera d’arte totale è stata rispolverata. 

Magari la vera innovazione sarà realizzare esibizioni prive di tutto, completamente al buio, con solo la musica ad accompagnarci.