Il Quadro Di Troisi ci prende per mano alle porte del viaggio nell’ ultima fatica discografica “La Commedia”. L’intervista.
Il Quadro di Troisi è un progetto che, sin dalla sua genesi, ha saputo scuotere le coscienze come poche realtà artistiche hanno saputo fare. L’ incontro tra Andrea Noce, nome d’arte Eva Geist, e Donato Dozzy è stata una scintilla, un’oasi di libertà assoluta in un mondo sempre più conformista nell’alternativa.
Avevamo un disperato bisogno, specialmente nella discografia italiana, di trovare nuovi linguaggi espressivi che potessero trovare la forza di guardare al passato senza puro e becero citazionismo, ma con una solida spinta verso il futuro. Bhe il lavoro del Quadro Di Troisi, come suggerisce il nome che riporta alla mente inevitabilmente la comicità elegante di Massimo Troisi, uccide la banalità con sagace intelligenza.
Proprio quell’ intelligenza del suono che pesca elementi classici del synth pop dei Matia Bazar, della sperimentazione elettronica di album come “Pollution” di Battiato o “Anima Latina” di Battisti e li guarda con la consapevolezza di chi possiede un patrimonio inestimabile, da preservare con cura senza abusarne.
L’ allargamento del gruppo, con l’ingresso di Pietro Micioni, ha dato all’ ultimo lavoro “La Commedia” un nuovo volto ancora più maturo, più attento e puntuale in ogni suo aspetto.
Il Quadro di Troisi vive in un confine sospeso e affascinante.
“La Commedia” è infatti uscito sia sull’etichetta italiana 42 Records che sulla tedesca Raster Noton, ad indicare la versatilità di un lavoro che sfugge alle definizioni di genere, vivendo di un’essenza naturalmente contemporanea.
Il disco segna un’evoluzione testuale importantissima, ridefinendo in maniera sofisticata un’idea di cantautorato che dona alla parola e alla sua connessione con il suono una forza d’intenti notevole. Un atto rivoluzionario, in cui il confine tra realtà terrena ed ultraterrena è labile, in cui ogni pensiero ed emozione diventa una suggestione verso le infinite possibilità di cambiamento. Una fotografia sul movimento delle cose che ci circondano, un lavoro che vive di un’ unicità stilistica non replicabile. Insomma, uno dei lavori al momento più interessanti di questo inizio anno.
Vi lasciamo la nostra intervista con Il Quadro di Troisi. Buona lettura!
Benvenuti su Parkett, è un grandissimo piacere avervi qui. Vorrei iniziare partendo dal processo di genesi de “La Commedia”, una prosecuzione direi quasi naturale del primo lavoro con un’evoluzione necessaria e direi assolutamente non banale. Il disco nasce e si sviluppa in un momento storico denso di cambiamenti, personali e sociali. Quanto siete cambiati voi, umanamente e artisticamente, durante il processo creativo del disco?
A: Tanto, non si vede? è cambiato tutto. D’altronde il cambiamento è l’unica certezza. Siamo migliori essere umani, siamo amici più sinceri, siamo artisti più preparati, siamo più vecchi, siamo un po’ più malandati, siamo un po’ più consapevoli. Forse un po’ più disillusi, ma non meno intensi. Siamo in evoluzione. Come è giusto che sia.
Ogni volta che ho riascoltato l’album, ho colto sempre una nuova sfumatura, un nuovo significato, una profondità emotiva che nel primo disco (onestamente) non mi era arrivata in maniera così forte. Oggi provare a nuotare nella profondità è un esercizio spesso complesso, anche perchè richiede l’ascolto, la voglia da parte del pubblico di seguire il filo del racconto. Siete d’accordo e in che modo oggi, nell’era dello streaming, si può educare il pubblico ad apprezzare la profondità?
A: Questo ci fa un enorme piacere.
Solo l’arte, che è pura meditazione, può dare spazio alla profondità. Solo chi è sensibile alla bellezza può trovare il tempo di fermarsi. Siamo tutti vittime della nostra civiltà, che ci dice di andare di corsa e quindi fare tutto male. Perché per far bene le cose, bisogna prendersi il tempo ed essere ad esse totalmente presenti. La cultura è senz’altro il punto da cui
cominciare, ma non serve essere dei professori per ascoltare il nostro disco. Basta avere un animo gentile e delicato.
Ho sentito spesso parlare di nostalgia per definire il vostro disco ma personalmente non trovo convincente questa definizione, mi piace di più il termine ricordo che non cade nel citazionismo ma nel ricordare qualcosa che fa parte del vostro background musicale. Mi farebbe piacere sapere se condividete la mia interpretazione e sapere qual è il primo ricordo musicale che vi viene in mente presente dentro “La Commedia”.
A: Si ricordo, o nostalgia. La nostalgia come attitudine del ricordo. Noi ricordiamo sempre e citiamo sempre momenti della nostra vita insieme. Spesso li citiamo, assaporando quel sentimento dolce che ti lascia il ricordo. Come quando bevi il vino ben stagionato. La nostalgia è la stessa aura magica che avvolge le rovine archeologiche, le quali altrimenti
sarebbero semplici ruderi. Ma le piramidi sono sublimi proprio perché suscitano il ricordo di una grande civiltà ormai perduta, della quale certamente sentiamo ancora l’eco e la mancanza.
Il primo ricordo è senz’altro legato al titolo. Lo abbiamo preso da un verso nascosto di uno dei brani del primo disco, che poi per ragioni metriche decidemmo di tagliare, ma ci restammo molto affezionati. Recitava “ci piace la commedia”, è davvero nostalgica la nostra scelta del
titolo.
Venire dal mondo elettronico, soprattutto per Donato, e cimentarsi dentro un progetto che guarda al pop elettronico è stata sicuramente una sfida interessante. Eppure il disco sfugge alla definizione forse un po’ anacronistica del pop. Cosa c’è (se c’è) in questo album che
considerate realmente pop e che significato può assumere oggi questa definizione?
D: Più che una sfida è stato un passo necessario dopo un’intera carriera passata a fare musica strumentale. Sono cresciuto con la new wave italiana ed ho sempre avuto il sogno di farla, ad un certo punto della mia vita e pare il momento sia arrivato. Lo considero un disco
senz’altro pop, si rifà a dei canoni che per me rappresentano uno standard che dovrebbe essere sempre in vigore: solidità vocale e nei testi ed egual importanza per il “sound”, che è una cosa importantissima, ma da decenni via via sempre più in secondo piano. Purtroppo.
All’interno del disco sono presenti numerose collaborazioni come quella rinnovata con Daniele Di Gregorio, la pioniera Suzanne Ciani e la compositrice Fiona Brice, solo per citarne alcuni. Avete descritto queste collaborazioni come frutto di rapporti di stima e naturalezza e
non come un qualcosa di forzato da un sistema che straborda di featuring. Per voi condividere il vostro linguaggio è un modo anche per conoscervi meglio? In che modo queste figure hanno interpretato l’anima dietro al Quadro di Troisi?
D: Senz’altro, lo scambio di idee è un modo per conoscersi meglio e stimolare l’intelletto. Ognuno ha messo la sua arte a disposizione dopo un aperto e creativo confronto per poi intervenire dal proprio studio. La rete è molto utile in questo.
A livello di struttura sicuramente in questo disco la voce di Eva Geist è molto più protagonista, e credo ci sia stata anche una presenza più consistente e interessante dell’uso del testo, della parola come strumento di racconto ma anche come strumento sonoro, è così?
A: Si esattamente.Il lavoro sulle parole è a monte del lavoro sul suono e viceversa. Provo a spiegare meglio. In questo nuovo disco abbiamo adottato una linea più soggettiva, ovvero più narrativa e poi
abbiamo deciso di mettere più a fuoco la voce nel missaggio. Esiste questa struttura
archetipica gia’ nel titolo dove un sostantivo e’ preceduto da un articolo e ogni pezzo è un viaggio psico-magico, tra crisi e rinnovamento, una trasmutazione alchemica. La canzone, la lirica ha diritto di spiccare con vigore. Noi scriviamo i pezzi però sempre partendo da un intreccio armonico, un suono o una melodia suonata, quindi la voce e il canto sono senz’altro usati come uno strumento e tutti gli strumenti hanno la loro voce.
Rimanendo su un livello testuale ci sono molti concetti che emergono, ad esempio quello dell’alienazione. Da “L’Alieno” ai “I Buchi Neri” questo tema assume una pluralità di essenze.
“L’alieno che cresce dentro di me senza sapere dov’è”: l’estraniazione è la chiave giusta talvolta per interpretare la realtà?
A: Tocca prima di tutto capire che cosa sia la realtà. Viene spesso dato per scontato che essa sia una dimensione piatta di assi cartesiani che puo’ essere interpretata dal nostro emisfero sinistro. Purtroppo e per fortuna questa è una concezione molto desueta alla quale siamo rimasti disperatamente aggrappati, ma che si è rivelata del tutto insufficiente a
spiegare la vita, se spiegarla è ciò che ci interessa fare, Queste canzoni in un certo senso aspirano a stimolare l’ascoltatore a guardare un po’ piu in la, a guardare nel buio di un buco nero, senza paura di precipitare. È proprio recuperando l’interesse verso l’ignoto, ovvero
l’inconscio, che ci si puo completare.
Un altro tema ricorrente è quello della “Strega” che declinato diversamente è presente sia in “Lo Smeraldo Sotto Zero” che ne “La Notte”. La Strega è una figura contraddistinta dall’uso di riti ripetuti. Per voi la musica può assumere una dimensione rituale e cosa affascina Eva
Geist in questa figura che è ricorrente ne “La Commedia”?
A: Si hai notato bene. L’intrattenimento musicale e’ difatti, insieme a quello religioso, uno dei pochi che conserva la sua ritualità. Il recupero della dimensione rituale è vitale, ce lo stanno insegnando i popoli indigeni, ma noi, intellettuali moderni del mondo occidentale continuiamo a peccare di superbia. La strega e lo stregone altri non sono che i nostri guaritori interiori, una dimensione del se femminile che ci restituisce alla Natura.
La copertina dell’album è stata affidata a Francesco Messina, che aveva lavorato con Battiato per “La Voce del Padrone”. A livello grafico questa graduale transizione da bianco e nero (dicotomia presente nella cover del primo disco) al colore blu che cosa vuole rappresentare?
A: Rappresenta la nostra evoluzione verso un mondo piu’ complesso che crediamo sia questo album. I suoi colori, pur sempre algidi e in tonalità, promettono sviluppi futuri. La scelta di una natura morta, simbolo per eccellenza della poesia e della nostalgia, che però si muove intimamente (cambia colore) è simbolo di una vibrazione interna dell’anima. È stato
Francesco stesso a suggerire tutto ciò, e noi lo abbiamo abbracciato.
A giugno porterete il vostro concept dentro la dimensione live e la data che mi interessa in maniera particolare è quella prevista al Dekmantel dove verrò sicuramente ad ascoltarvi. Che
tipo di dimensione live volete proporre come Il Quadro di Troisi e avete già le idee chiare a riguardo?
A: Saremo sempre in 4 con Francesca Colombo a violino, synth e cori. Sarà una dimensione ibrida, elettro-acustica, analogico-digitale, in cui mettiamo sempre più a frutto i nostri talenti e cerchiamo, come sempre, di coinvolgere il pubblico a danzare ‘pensando’ e soprattutto
sognando. Ci saranno anche un paio di momenti fortemente romantici dove come minimo viene richiesto al pubblico di commuoversi o di innamorarsi.
Nel disco, oltre a un inevitabile sguardo al passato che abbiamo già citato perfettamente, è preponderante uno sguardo verso un futuro che ho percepito come immateriale e sfumato. Per voi oggi
proiettarsi verso il futuro in musica cosa comporta?
A: Comporta creare il proprio mondo, riscattarsi dal piattume discografico senza idee del mainstream, connettersi un po’ piu al suono, un po’ meno all’immagine, ibridare i linguaggi e studiare sempre la tradizione perché l’ignoranza magari luccica ma è effimera. In poche parole il futuro in musica comporta “l’aggancio all’ intuizione, di un suono nuovo, una
rivoluzione”.
Le commedie a livello cinematografico non sempre hanno un lieto fine. Immaginando il racconto del Quadro di Troisi come quello di una pellicola, qual’ è il primo film che colleghereste a questo disco e qual’è il finale che immaginate lasci al pubblico questo lavoro?
A: Due film, che hanno alcune cose in comune. “Non ci resta che piangere” e “Back to the future”, in entrambi si fanno grasse risate, un viaggio nel tempo, tra futuro e passato e vi è un finale che lascia pensare a un to be continued.
ENGLISH VERSION
Welcome to Parkett, it’s a great pleasure to have you here. I would like to start by starting from the genesis process of “La Commedia”, an almost natural continuation of the first work with a necessary and I would say absolutely non-trivial evolution. The album was born and developed in a historical moment full of personal and social changes. How much have you changed, humanly and artistically, during the creative process of the album?
A: Well, can’t you see it? everything has changed. After all, change is the only certainty. We are better human beings, we are more sincere friends, we are better artists, we are older, we are a little more run down, we are a little more aware. Maybe a little more disillusioned, but no less intense. We are evolving. As it should be.
Every time I listened to the album again, I always caught a new nuance, a new meaning, an emotional depth that in the first album (honestly) hadn’t reached me so strongly. Today trying to swim in the depths is often a complex exercise, also because it requires listening, the desire on the part of the public to follow the thread of the story. Do you agree and how today, in the streaming era, can the public be educated to appreciate depth?
A: This gives us enormous pleasure.Only art, which is pure meditation, can give space to depth. Only those who are sensitive to beauty can find the time to stop. We are all victims of our civilization, which tells us to rush and therefore do everything badly. Because to do things well, you need to take the time and be totally present with them. Culture is certainly the starting pointget started, but you don’t need to be a professor to listen to our record. You just need to have a kind and delicate soul.
I have often heard people talk about nostalgia to define your album but personally I don’t find this definition convincing, I like the term memory better which doesn’t fall into quotationism but into remembering something that is part of your musical background. I would be happy to know if you agree with my interpretation and to know what is the first musical memory that comes to mind within “La Commedia”.
A: Yes, memory or nostalgia. Nostalgia as an attitude of memory. We always remember and always mention moments from our life together. We often quote them, savoring that sweet feeling that the memory leaves you with. Like when you drink well-aged wine. Nostalgia is the same magical aura that envelops archaeological ruins, which otherwisethey would be simple ruins. But the pyramids are sublime precisely because they arouse the memory of a great civilization now lost, of which we certainly still feel the echo and the absence. The first memory is certainly linked to the title. We took it from a hidden verse of one of the songs on the first album, which we then decided to cut for metric reasons, but we remained very fond of it. It read “we like comedy”, our choice of is truly nostalgic title.
Coming from the electronic world, especially for Donato, and trying his hand at a project that looks at electronic pop was certainly an interesting challenge. Yet the album escapes the perhaps somewhat anachronistic definition of pop. What is (if there is) in this album thatconsidered really pop and what meaning can this definition have today?
D: More than a challenge, it was a necessary step after an entire career spent making instrumental music. I grew up with the Italian new wave and I’ve always had the dream of doing it at some point in my life and it seems the time has come. I consider it a recordundoubtedly pop, it refers to canons that for me represent a standard that should always be in force: vocal and lyrical solidity and equal importance for the “sound”, which is a very important thing, but for decades in the background. Unfortunately.
Inside the album there are numerous collaborations such as the renewed one with Daniele Di Gregorio, the pioneer Suzanne Ciani and the composer Fiona Brice, just to name a few. You have described these collaborations as the result of relationships of respect and naturalnessnot as something forced by a system that overflows with featuring. For youIs sharing your language also a way to get to know each other better? How did these figures interpret the soul behind Troisi’s painting?
D: Without a doubt, exchanging ideas is a way to get to know each other better and stimulate the intellect. Everyone made their art available after an open and creative discussion and then intervened from their own studio. The network is very useful in this.
In terms of musical structure, Eva Geist’s voice is certainly much more of a protagonist in this album, and I think there was also a more consistent and interesting presence of the use of text, of the word as a storytelling tool but also as a sound tool, it’s like this ?
Yes exactly. The work on words is prior to the work on sound and vice versa. I’ll try to explain better. In this new album we have adopted a more subjective line, that is, more narrative and thenwe decided to put more focus on the vocals in the mixing. This structure existsarchetypal already in the title where a noun is preceded by an article and each piece is a psycho-magical journey, between crisis and renewal, an alchemical transmutation. The song, the lyric has the right to stand out with vigor. However, we always write the pieces starting from a harmonic plot, a sound or a played melody, so the voice and singing are certainly used as an instrument and all the instruments have their own voice.
Remaining on a textual level there are many concepts that emerge, for example that of alienation. From “L’ Alieno ” to “I Buchi neri” this theme takes on a plurality of essences.”The alien that grows inside me without knowing where it is”: is estrangement sometimes the right key to interpret reality?
First of all, we need to understand what reality is. It is often taken for granted that it is a flat dimension of Cartesian axes that can be interpreted by our left hemisphere. Unfortunately and fortunately this is a very outdated concept to which we have remained desperately clinging, but which has proven to be completely insufficient toexplain life, if explaining it is what we are interested in doing. These songs in a certain sense aspire to stimulate the listener to look a little further, to look into the darkness of a black hole, without fear of falling. It is precisely by recovering interest in the unknown, that is the unconscious, which can be completed.
Another recurring theme is that of the “Witch” which, expressed differently, is present both in “Lo Smeraldo Sotto Zero” and in “La Notte”. The Witch is a figure characterized by the use of repeated rites. For you, music can take on a ritual dimension and what fascinates Eva Geist in this figure who is recurring in “La Commedia”?
A: Yes, you noticed well. Musical entertainment is in fact, together with religious entertainment, one of the few that retains its rituality. The recovery of the ritual dimension is vital, the indigenous peoples are teaching us this, but we, modern intellectuals of the Western world, continue to sin of pride. The witch and the sorcerer are none other than our internal healers, a dimension of the feminine self that returns us to Nature.
The album cover was entrusted to Francesco Messina, who had worked with Battiato for “La Voce del Padrone”. On a graphic level, what does this gradual transition from black and white (dichotomy present in the cover of the first album) to the color blue represent?
It represents our evolution towards a more complex world that we believe this album is. Its colors, although always cold and in tone, promise future developments. The choice of a still life, a symbol par excellence of poetry and nostalgia, which however moves intimately (changes colour) is a symbol of an internal vibration of the soul. WasFrancis himself suggested all this, and we have embraced him.
In June you will bring your concept into the live dimension and the date that particularly interests me is the one scheduled for Dekmantel where I will definitely come to listen to you. Thattype of live dimension do you want to propose as Il Quadro di Troisi and do you already have clear ideas about it?
There will always be 4 of us with Francesca Colombo on violin, synth and choirs. It will be a hybrid dimension, electro-acoustic, analogue-digital, in which we increasingly put our talents to good use and try, as always, to involve the public in dancing ‘thinking’ and above alldreaming. There will also be a couple of highly romantic moments where at the very least the audience is asked to be moved or fall in love.
In the album, in addition to an inevitable look at the past that we have already mentioned perfectly, a look towards a future that I perceived as immaterial and nuanced is predominant. For you todayWhat does projecting yourself into the future in music mean?
It involves creating your own world, redeeming yourself from the idealess recording flatness of the mainstream, connecting a little more to the sound, a little less to the image, hybridizing languages and always studying tradition because ignorance may glitter but it is ephemeral. In short, the future in music involves “the connection to intuition, of a new sound, a Revolution”.
Film comedies don’t always have a happy ending. Imagining Il Quadro di Troisi’s story as that of a film, what is the first film that you would connect to this album and what is the ending that you imagine this work will leave to the public?
Two films, which have some things in common. “Non ci Resta che Piangere” and “Back to the future”, in both there are big laughs, a journey through time, between the future and the past and there is an ending that suggests a to be continued.