Abbiamo avuto il privilegio di ascoltare in anteprima il tanto atteso “Free Fall Galaxy“, nono album della serie sci-fi “Sleeper Wakes” di Jeff Mills, che già avevamo annunciato QUI, che uscirà nel giugno 2016 su Axis Records. Leggendo la descrizione che si accompagnava all’album abbiamo subito appreso che si trattasse di un tema un po’ sinistro. La “Free Fall Galaxy” di cui parla il titolo è un oggetto in realtà assai inquietante. Stando alle attuali conoscenze scientifiche, si suppone che al cuore di molte galassie sia presente un buco nero supermassiccio, ossia quel corpo di massa miliardi di volte superiore a quella del nostro Sole, talmente grande che la sua forza di gravità sarebbe tale da non permettere nemmeno alla luce di sfuggire (per questo si chiama “buco nero”).
Sarebbe quindi una sorta di minaccia cosmica, che senza pietà inghiotte tutto ciò che passa troppo vicino al suo campo gravitazionale senza però accrescersi in massa o dimensione. Dove vada a finire tutta la materia che cade in questo pozzo, non riusciamo nemmeno a immaginarlo. La tesi del disco è racchiusa in una sinistra ipotesi: se la Terra non sia già stata inghiottita da tale predatore. Possibilità che passa attraverso l’inesorabile processo entropico, che prevede dissipazione di energia ad ogni reazione chimica e interazione tra particelle, con conseguente “spegnimento” progressivo di quel fuoco che alimenta tutto ciò che esiste e che si muove.
La termodinamica ci dice che il declino e il deterioramento sono inevitabili, e probabilmente sono il prodotto di questa già avvenuta digestione della Terra, piuttosto che il prodotto della nostra crescita e senescenza. La parte più inquietante è la domanda finale, ma ancora di più la risposta che dà: perchè il futuro ci fa così paura e perchè non riusciamo a immaginare come sarà il futuro tra qualche decade o secolo? Forse perchè non ci sarà nessun futuro di cui faremo parte.
Le tracce di Free Fall Galaxy sono tredici, di cui la terzultima fa quasi da title-track e dura da sola ben diciassette minuti. L’intero disco sembra preludere a tale momento, come un cauto incedere verso il ciglio di questo baratro cosmico. A spingerci fin là è la pulsione ad accedere o anche solo poter osservare anche a debita distanza quel terribile e spietato luogo nel cosmo. Significherebbe finalmente comprendere un’infinità di misteri incomprensibili alla ragione umana.
Apre “Medians“, un desolato e irregolare carillon metallico, i cui riverberi disegnano lo scenario, lo spazio tridimensionale dal quale partiamo. Pare di stare all’interno di una capsula, all’interno di scenografie alla “2001, Odissea nello Spazio”. Stupenda è l’introduzione a metà traccia di suoni che suggeriscono strumenti da orchestra, e che poi si confermano essere tali, mentre dialogano e paiono tradurre i suoni di sintesi di partenza. Il connubio è stupendo, già collaudato nella spettacolare performance live con l’orchestra filarmonica di Montpellier.
Segue “Hunter“, traccia in cui ci mettiamo nei panni di un esploratore che vuole avvicinarsi coi suoi occhi a tale mostro del cosmo. Il ritmo minimale scandito dalla kick e da un puntiforme segnale tipo elettrocardiogramma infonde una profonda inquietudine, un’ansiogeno monitoraggio del battito cardiaco di un osservatore che ha una paura profonda e primordiale. Paura nei confronti dell’ignoto, del buio, della morte, dell’Apocalisse. Questo segnale pare ogni tanto cedere e poi tornare, come se andasse a ritmo sul filo tra la vita e la morte in un’eterna sospensione.
Interessantissima è anche “Gravitational lens“, dove l’ambiente sonoro prosegue la progressiva evoluzione e acquisisce pian piano ciò che un orecchio umano definirebbe “melodia”, pur nella sua dissonanza. Sembra una composizione di musica classica d’avanguardia, e in un certo senso lo è, dove ogni strumento pare avere il suo passo e il suo discorso, articolato autonomamente da tutto il resto ma in un qualche modo l’ensemble risulta “corale”. Le voci si tessono al di sopra di un tappeto che ricorda il ronzìo della corrente alternata, che sul finale smette e valorizza il vuoto, il profondo nero di fondo in cui ci troviamo.
“Inner Synthesis” è un vorticoso movimento particellare, di suoni che si susseguono velocemente, a descrivere contemporaneamente l’eleganza intrinseca di microscopici processi cellulari e al contempo di macroscopici processi nucleari di formazione stellare. E’ un turbinìo dolce, quasi simpatico, organico ed armonioso nonostante tutto, suoni che assomigliano a un pizzicato ma che sono in realtà inconfondibilmente di sintesi.
Pensate, la prima traccia realmente “ritmica” di Free Fall Galaxy si incontra dopo il primo terzo del disco ed è “Solar Crossroads“. Qui ci ricordiamo improvvisamente del background più puramente techno di Mills, che ultimamente è in viaggio letteralmente fuori dai suoni del pianeta Terra in cerca di contaminazioni nuove. Ci conferma essere non semplicemente un esploratore ma un pioniere, rivolto verso mondi nuovi da colonizzare, testimone di “cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare”. Con la traccia seguente ci spostiamo letteralmente nella costellazione della Vergine, zona del cielo dove da Terra possiamo trovare grandi raggruppamenti di galassie, per cui dopo una breve parentesi di cassa dritta ci ritroviamo nuovamente a fluttuare in moto browniano, senza peso nel vuoto siderale, in un’atmosfera stavolta ben più distesa rispetto a poco prima, nonostante l’ambiente rimane poco familiare.
“The hunted” nonostante il titolo prosegue in questa relativa distensione, non priva di angoscia, dove suoni acuti ci carezzano pur essendo affilati, i pad ci avvolgono valorizzando le emozioni di stupore e meraviglia, come se avessimo appena scoperto dinnanzi a noi un panorama mai visto prima, impossibile da descrivere e condividere con altri esseri umani. E nonostante sia la cosa più lontana dai consueti panorami a misura d’uomo che troveremmo sulla Terra, ci pare una sorta di ritorno a casa, un ricongiungimento con il nulla e con il tutto, con l’assoluto, con l’inevitabile mortalità e piccolezza di noi umani, mentre il cosmo si staglia davanti a noi in tutt’altri ordini di grandezza.
Questo momento ci convoglia verso “Rabid Star Clusters“, la seconda traccia techno del disco. Ha una pasta molto densa, un suono quasi tribale, siamo avvolti da rumori decisamente più familiari, sembrano vocalizzi di animali, ha un sapore esotico.
Si interrompe quasi bruscamente per introdurre “Triangularism“, ritmica anche lei ma più mentale, per poi tornare a procedere nel nostro viaggio verso altre meccaniche celesti, altre configurazioni da interpretare. “Spectroscopic” è una gemma profonda e dissonante, molto ariosa, apparentemente accordata in una scala che sulla Terra non si utilizza: le cadenze insolite ed imprevedibili su cui il tema si posa e riparte continuamente lasciano inquieti e incerti. Queste note vanno interpretate come si interpretano le bande di un diagramma HR, che descrive la composizione di una stella in base alle lunghezze d’onda che assorbe.
E finalmente approdiamo a “Entering (Free Fall Galaxy)“, nella manovra più delicata della nostra crociera. Ci pare qui di giungere finalmente a destinazione, dove vaghe voci di comunicazioni sembrano assisterci come i comandi di una torre di controllo. Traccia difficile e lunghissima, eterogenea, molto noise, molto silenziosa e molto cerebrale, che contiene più momenti, o dovremmo dire movimenti. E’ come un discorso a sè stante, un disco nel disco. Dopo un’immersione del genere all’interno di Free Fall Galaxy potremmo ritrovarci talmente sazi che le ultime due tracce rischierebbero di passare inosservate o di non ricevere la giusta attenzione.
“Irreversible Elliptic Orbits” e “Aurora” chiudono coerentemente l’esperienza, la prima con una convulsa sequenza di TB-303 a fare da tema principale, la seconda più morbida ma articolata su una complicata progressione, dove archi e arpeggiatore dialogano senza intendersi, come in un incontro di civilità differenti. E’ un disco archetipico del Jeff Mills di oggi, in una singola opera è contenuto e descritto il suo intero curriculum, naturalmente aggiornato alle vette della sua attuale maturità musicale. Siamo oltre la techno, oltre il mondo della nightlife, oltre l’arte del DJ, e oltre molte altre cose. Siamo approdati a una dimensione quasi accademica, uno status di veterano, di guru, di scienziato.
Non usiamo queste parole per mera idolatria, ma con una certa cognizione di causa: il promo che abbiamo ricevuto contiene una descrizione che in incipit porta una citazione di Einstein, ventata di ossigeno in un periodo di dilagante anti-intellettualismo, proposta di pensiero e contenuti mentre il fuoco di paglia della EDM fino all’altro ieri celebrava le più svilenti e frivole moine adolescenziali. La massima cita “look deep into nature and you will understand everything better“, una frase tanto semplice quanto significativa, che mette d’accordo persone di scienza e persone spirituali. E il nostro Jeff Mills incarna entrambe, raccontando in questo “Free Fall Galaxy”, disco assai più mentale che fisico, di forte impronta cinematografica, un concetto filosofico servendosi di elementi di astrofisica.
Già avevamo potuto accorgerci in opere precedenti dell’inclinazione di Mills verso le stelle e l’ambito dello spazio, spazio inteso anche come distanza culturale da colmare per raggiungere l’inesplorato, sperimentazione ancora da praticare, tensione dell’umano verso ulteriore conoscenza, sia essa artistica, spirituale o scientifica. All’interno di Free Fall Galaxy però ci si allontana dal descrittivo, dalla musica come evocatrice di scenari, e si aggiunge anche un reale messaggio. Stiamo uscendo quindi da quella che Pierre Boulez definisce una concezione romantica della musica, in cui vengono descritti stati d’animo senza le possibilità di argomentazione e sintassi che si hanno nel parlato, verso dei concetti parimenti complessi che però in un qualche modo passano attraverso musica che effettivamente rimane strumentale. Come ci riesca non lo sappiamo, ma la grandezza di un artista si vede anche nei limiti che supera.
L’album in formato CD è disponibile dal 24 giugno 2016 al prezzo di 27,89 euro, ma potete prenotarlo ora.
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Paolo Castelluccio