Ecco a voi l’ennesimo racconto di un clubber, il quale ci racconta, da bravo reporter e da buon intenditore di musica techno, le emozioni ed i risvolti del KappaFutureFestival di Torino.
“Premetto che quello a cui abbiamo assistito é solo il 2nd day di questo festival, che ormai continua a raccogliere presenze nell’ordine delle decine di migliaia e che è entrato di prepotenza nella cerchia dei più grandi festival europei; da quel che sappiamo però possiamo dirvi che anche il day 1 è piaciuto molto, in particolar modo il b2b tra Maceo Plex ed Alan Fitzpatrick e la chiusura con il live strumentale di The Bloody Betroots.
Ma parliamo, appunto, del 2nd day, che si prospettava decisamente interessante data la quantità di grandi artisti, sia affermati che emergenti.
Arriviamo all’ingresso alle 10 di mattina, ora in cui ha inizio il festival. La security perquisisce noi ed i nostri zainetti, in cerca di cibo, acqua, oggetti affilati e droghe. Giunti dentro, il festival è ancora semivuoto, ne approfittiamo per farci un giro.
Gli stage sono 3: Main stage, situato all’interno delle ex ferrerie Teksid, Dora stage, ed il Red Bull tour bus. I bagni sono molti e relativamente puliti. Una piacevole conferma, presente anche l’ anno scorso, é il TRASHed :: Recycling Store, un intelligente programma di riciclaggio interattivo che incoraggia gli ospiti del festival a portare da loro bicchieri e bottiglie di plastica con premi quali t-shirt dell’evento, VIP pass, autografi dei DJs ecc.
I prezzi di acqua e cibo all’ interno sono alti ma non proibitivi. La timeline è un pò incasinata, a causa della necessità di conciliare gli orari del festival con quelli dei Dj, soprattutto quelli più rinomati.
È per questo che alle 14:30, dopo la Deep House di Alex Dima nel Main stage e un ottimo Jackmaster nel Dora stage, a cui possiamo dedicare solo 30 minuti (nel frattempo il Red Bull tour bus è ancora in fase di preparazione, nonostante sarebbe dovuto partire alle 10:00) arriva già il primo big: è il turno infatti della techno svedese di Adam Beyer. Il tedesco non si fa pregare e inizia a spingere senza pietà già dopo poco minuti dall’ inizio del set. La reazione iniziale è sorprendente, ma dopo pochi minuti ci abituiamo e iniziamo a ballare. Beyer continua a tuonare con la sua techno cupa e pesante, e qualcuno da lassù sembra sentirlo, tanto che inizia a piovere e tuonare per davvero. Il Main stage quindi si riempie all’inverosimile (è l’ unico stage al coperto), e come in ogni festival che si rispetti insieme alla folla iniziano a circolare anche i pusher, così tranquilli e sicuri di loro che mi ricordano l’ortofrutticolo davanti casa quando c’è il mercato. Nel frattempo, Adam Beyer non si scompone e continua a mandare bombe fino alle 16, poi ci fa una foto e ci saluta.
Non c’è tempo, però, di fare un giro tra gli stage, perchè immediatamente dopo arriva l’altra faccia della techno, arriva Derrick May “The Innovator“. Il contrasto con il dj precedente emerge subito: May scherza con il pubblico, fa le faccine alle telecamere e si diverte come un pazzo. Le differenze sono evidenti anche dal lato tecnico: il nostro detroitiano non sta fermo un attimo davanti alla consolle, taglia i bassi senza chiedere permessi, alza e abbassa i volumi e impiega secondi interminabili per cercare i dischi; insomma, tutto il contrario del collega Adam Beyer, più lineare e per certi versi più prevedibile. Quando però, alle 17:30 Derrick May si appresta a chiudere il set con la bellissima Scala, di Agoria, gli comunicano che i Tale Of Us non sono ancora arrivati, lui non si fa problemi e continua a suonare; a Torino torna a splendere il sole, Derrick May beve champagne, lancia bottigliette d’ acqua fra la folla, commette qualche errorino in consolle, e il pubblico si diverte come non mai.
Ridendo e scherzando, alle 18:00, con 30 minuti di ritardo, arrivano i Tale Of Us. Cambio di consolle velocissimo, e subito ci immergiamo nei synth onirici e nelle bassline granitiche che contraddistinguono i nostri connazionali. Il cielo comincia a farsi grigio, torna a piovigginare, poi a piovere sempre più forte, tanto che i nostri sono costretti prima a posizionare uno straccio sulla strumentazione, poi ad allestire una sorta di tenda artigianale sui monitor. Nonostante le pessime situazioni climatiche, i due continuano a farci sognare ad occhi aperti e a far ballare anche il più esigente dei clubbers e concludono, alle 19:10, quello che è sicuramente uno dei set migliori del festival.
A fare da anello di congiunzione tra due mostri sacri come Tale Of Us e Disclosure c’è Lollino, giovane e promettente dj torinese; durante il set di quest’ ultimo viene anche ricordato, con il lancio di decine di palloncini bianchi, il bresciano Christian Ascolese, investito l’ anno scorso all’ uscita del Kappa FuturFestival da un automobilista ubriaco e morto sul colpo. E Mentre nel Main stage il tempo sembra fermarsi, gli stimoli di fame e sete ed i dolori alle gambe scompaiono, rassegnandosi al fatto di essere decisamente meno importanti degli artisti che abbiamo di fronte, negli altri due stage si susseguono, tra le varie difficoltà climatiche, artisti come Dj Sneak, Gandalf e Mano Le Tough. L’italianissimo tridente composto da Lucy (suona appena 10 minuti), Raffaele Attanasio e Giorgio Gigli (ottimo dj set da parte di tutti e 2), relegato nel Red Bull tour bus, viene messo in ombra dalla pioggia a sprazzi e dai pezzi da novanta del Main stage.
Senza neanche accorgercene arriva l’ ora dei Disclosure, ma anche loro, da veri big quali sono, si fanno attendere ed arrivano con circa 20 minuti di ritardo, bisbigliano qualche parola in inglese, nessuno capisce niente ma tutti urlano, ansiosi. Inizia il live, con visual preparati appositamente per i due inglesotti, che si presentano con alcune parti di batteria, microfoni, basso tastiera ed alcuni controller midi; uno spettacolo anche da vedere, insomma. I due suonano solo pezzi di Settle, il loro album che li ha resi celebri in tutto il mondo, riuscendo a far ballare anche i raver più duri, certo non abituati ad ascoltare questi generi musicali. Il live dura 1 ora scarsa, I Disclosure chiudono con Latch nel delirio generale, parte il coro “ultimo, ultimo” i due pensano “sì, contaci” accennano qualche frase di circostanza e scappano subito, dritti verso la prossima tappa da migliaia di euro; qualcuno si indigna per la poca considerazione nei confronti del pubblico, ma dopotutto i due quello che dovevano fare l’hanno fatto.
Il festival si avvia verso l’ esplosione finale, il sole si abbassa, la pioggia cessa di battere, ed arrivano direttamente dalla scuderia M-nus gli Whyt Noiz con il compito di scaldare la consolle in vista della chiusura, con un ottimo set sul filo della minimal-techno.
E si fanno velocemente le 23:00, in questa suggestiva location post- industriale, dove a regnare sovrana è l’ atmosfera, senza la quale puoi avere tutti i big che vuoi, ma non ti divertirai mai appieno. Insomma, sorrisi ovunque, di risse neanche l’ ombra, gente che addirittura ti offre un sorso d’acqua (su questo forse ci sarebbe da indagare), insomma, tutta gente “presa bene” , per dirla nel gergo.
Si sono fatte le 22, dicevamo, eppure c’è gente che è entrata solo adesso, solo per la chiusura; nessuno è stanco, nessuno può esserlo quando a chiudere una giornata così c’è Richie Hawtin. Richie Hawtin, proprio lui, come se i vari Derrick May, Adam Beyer, Tale Of Us non ti fossero bastati. La ciliegina sulla torta, in una di quelle torte buonissime, di quelle che se il giorno dopo te ne offrissero un’altra, tu probabilmente accetteresti, anche se sai che la sorpresa che hai avuto nel gustarti la prima non potrà essere la stessa.
E quindi si parte. I primi minuti sono caratterizzati da un sound ambient-techno che ci riporta al Plastikman degli anni ‘90, quindi ci fa ben presagire. Il sound, in effetti, è proprio quello; techno sperimentale a volontà senza esagerare però, e senza mai scadere nel facile e nel commerciale (dove abbiamo visto finire fin troppe volte negli ultimi anni Richie Hawtin) anche quando si inizia a salire con i BPM.
Synth sinistri, kick sempre più prepotenti. Plastikman è tornato, anche se oggi non ha voluto usare alcuno pseudonimo, la musica parla per lui. Gli effetti luci sono coordinati alla perfezione, l’ impalcatura dietro a Hawtin inizia a muoversi, ed il nostro è avvolto da una coltre di fumo, come per dimostrare che, nonostante le migliaia di telefonini che lo riprendono, lui non vuole essere visto come una delle tante icone pop del momento (a proposito, nello stesso giorno c’erano anche gli One Direction allo stadio Olimpico, ci sarebbe piaciuto andare a dare un’ occhiata ma non ne abbiamo avuto il tempo), ma come un Dj che vuole essere giudicato per la musica che fa e non per quello che fa o per quanto si fa; insomma, a serata conclusa, quando l’adrenalina inizia a scendere, ci rendiamo conto che Hawtin non ha fatto chissà quali magie, ha semplicemente suonato come suonava ai tempi di Plastikman, e questo ci basta.”
Grazie Andrea.
Andrea Nerla