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Perché parlare dell’MS20 mini? Non è certo una novità, è in giro già da un paio d’anni e tutti hanno avuto modo di sentirlo, magari qua e la su Youtube o Soundcloud. Il motivo per cui ne parliamo è che ora possiamo finalmente dire che lo scetticismo dei tanti maniaci dell’analogico pronti ad assimilarlo ad una costosa radiosveglia è finalmente svanito. Il piccolo mostro nipponico ha confermato di non essere solo un giocattolo, bensì una riedizione in scala degna del suo illustre antenato.

Ma da dove inizia questa storia? Prima di addentraci nelle caratteristiche della versione mini, parliamo un attimo del contesto che ha portato alla nascita dell’originale.
Correva l’anno 1977, i sintetizzatori grandi come un furgone erano solo un ricordo grazie alle dimensioni sempre più piccole dei circuiti integrati, il suono elettronico era stato metabolizzato dalla musica pop e sempre più musicisti, anche quelli non ricchi, desideravano possibilità timbriche nuove. Il Minimoog si era affermato come uno dei principali attori di questo scenario fatto di oscillatori, filtri e inviluppi, portando molti costruttori a volersi inserire nel mercato con le loro idee.

In quel periodo Korg percorre diversi sentieri; se da una parte insegue il sogno della polifonia con la costosissima e pesantissima serie PS, dall’altra sviluppa qualcosa di più accessibile ed effettivamente portatile: il monofonico MS10. Quelli che si aspettavano un’alternativa al Minimoog rimasero delusi da uno strumento dotato di un solo oscillatore e un filtro (tralasciando altre caratteristiche interessanti come il patch panel) e che, come se non bastasse, non aveva un briciolo della ciccia del Moog. Ma Korg non si da per vinta e l’anno seguente spara un’altra cartuccia, presentando il primo MS20, con due oscillatori, due filtri in serie, due inviluppi… in caso abbiate dubbi su un componente, è stato sicuramente raddoppiato. Scherzi a parte, l’MS20 più che come una versione doppia, fu il risultato di un miglioramento che ha trasformato uno strumento molto interessante come l’MS10 in uno più completo e capace di entrare nell’olimpo dei synth più utilizzati della storia. E se anche questa volta qualcuno si fosse aspettato l’alternativa nipponica al burroso Minimoog, è rimasto sicuramente deluso, poiché l’MS20 era potenzialmente più cattivo del suo predecessore.

Negli anni, soprattutto nei ’90, artisti come Aphex Twin, Daft Punk, Prodigy, Air e molti altri lo hanno utilizzato nelle maniere più disparate, reinventandolo in continuazione. Un esempio su tutti? La voce di Flat Eric in Flat Beat di Mister Oizo, è stata fatta con un MS20 (c’è chi dice sia un MS10, ma poco importa, tanto sono parenti).

Oppure, tanto per citarne un altro, ecco Allison Goldfrapp che fa passare la sua voce per l’External Signal Processor (che è un modo fico di Korg per dire pitch to cv converter).

Dopo tutto cio, vi verrà da pensare che abbiamo parlato solo dell’originale MS20, tralasciando completamente la versione mini, ma il punto è che le cose dette finora valgono per entrambi.

È proprio questo il bello di questa riedizione, il fatto che sia riuscita benissimo e permetta di disporre di possibilità timbriche molto vicine alla costosa versione di fine anni ’70. Ma allora quali sono le differenze, se ce ne sono?

Innanzitutto le dimensioni sono l’86% dell’originale, la tastiera è a passo mini e l’alimentatore è esterno; il pannello semi modulare sfrutta connessioni da 1/8” anziché da 1/4” e i potenziometri sono un po’ più “delicati” rispetto al modello vintage.

Ma oltre a questti allegerimenti, ci sono anche alcune aggiunte: essendo uscito nel nuovo millennio, non poteva non disporre di un ingresso midi e di una porta usb da cui poter essere pilotato (ovviamente senza nessun controllo su velocity, pitch bend e altre cose che ne snaturassero l’essenza analogica e smanettona). A parte ciò, la riproduzione della circuiteria originale (da parte del team di progettazione originale, non dimentichiamolo) è veramente stata stupefacente.

Il comportamento dei filtri risonanti è del tutto simile a quello vintage e, sebbene c’è chi dica che questa riedizione sia meno viva e calda rispetto all’originale, forse per via della minor precisione di quest’ultima, costa sempre un terzo di essa e non dovete portarla da un tecnico a rimettere in sesto. Infine, se volete sentire vecchio e nuovo a confronto, il grande Enrico Cosimi fornisce qualche delucidazione a riguardo:

Per concludere, 5 ottime ragioni perché è un sintetizzatore che vale la pena comprare:
–        Suona bene, tanto quanto l’originale.
–        Nonostante sia sempre incazzato, è molto versatile.
–        Costa (relativamente) poco.
–        La totale assenza di presets e la presenza del patch panel sono un ottimo modo per imparare le basi della sintesi. –        Potreste svegliarvi una mattina, far cantare il vostro cane attraverso l’external signal processor, modularci il pitch degli oscillatori e trovare il sound che stavate cercando per quel pezzo fermo da mesi… potrebbe succedere, no?

Daniele Gabrielli

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