Se ci fosse un termine adeguatamente evocativo per descrivere un’esperienza musicale avvolgente sarebbe proprio quello di “Slowdive”.
Più che un ascolto attento, la frequenza sonora dal collettivo guidato dal chitarrista e compositore inglese Neil Halstead assomiglia di più ad un fiume sonoro che svela, ansa dopo ansa, rivoli di un percorso musicale rimasto sospeso nel tempo la cui energia è capace di sprigionarsi nel tempo di un live ipnotico come quello che il quintetto di Birmingham ha portato a Roma, nella suggestiva cornice della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica.
Attesi dal loro pubblico per la prima volta a Roma in oltre 30 anni di carriera, il combo britannico formato Halstead (chitarra e voce), Rachel Goswell (chitarra e voce), Christian Savill (chitarra), Adrian Sell (batteria) e Nick Chaplin (basso) ha incantato una platea di fan di tutte le età con una presenza non trascurabile di giovani generazioni, queste ultime affascinate dall’immaginario lisergico della band e della proposta attualizzata dei campioni dello shoegaze, capace di lambire territori affini come quelli della neo psichedelia, dell’alternative rock e del dream pop elettronico.
Cinque album, due raccolte e cinque EP condensati in novanta minuti di musica in un flusso sonoro incessante in cui la presenza materica del muro di suono degli Slowdive stagliato sul tramonto di fuoco che incorniciava il profilo postmoderno dell’Auditorium disegnato da Renzo Piano ha fatto da scenario all’alchimia liquida dei reverberi e delle distorsioni delle chitarre, alle fughe minimaliste dei sintetizzatori e alle riprese ritmiche appena accennate scandite dalla voce eterea di Rachel Goswell.
La performance ha preso il via con Shanti, traccia malinconica ed emozionale estratta dal nuovo album Everything Is Alive.
Edito per Dead Oceans, pubblicato nel 2023 a 6 anni di distanza dal monumentale eponimo Slowdive anch’esso ampiamente rappresentato nella scaletta dei brani inclusi in questo tour con le sue sonorità post-rock più vicine ai Talk Talk e ai Bark Psychosis.
Un inizio di impatto per una set list che si snoda su brani estratti dai loro lavori tutti rappresentativi di un passaggio fondamentale del percorso artistico della band, con una menzione particolare per le tracce estratte dal fondamentale “Souvlaki”, album del ‘93 insuperato manifesto del genere shoegaze: l’esibizione live di brani quali Souvlaki Space Station, Alison e When The Sun Hits che hanno contribuito al melancholic mood degno dei migliori act della scena dark e new wave, periodo ampiamente citato dalla band negli accordi e nelle variazioni che in più di un passaggio hanno riportato alla luce le sonorità dei Cure, dei Joy Division, dei Siouxsie and The Banshees, dei Jane’s Addiction.
Ricostituito nel 2014 dopo quasi 20 anni di inattività, il concept progetto Slowdive sembra non essersi scalfito, lo dimostra l’audience che ha acclamato la band anche nel crescendo finale dove ha spiccato una versione ispirata e densa di Golden Hair di Syd Barrett, tratta dall’album The Madcap Laughs del 1970, accurato preludio alle tre tracce dell’encore del concerto: Slowdive dall’album Just for a Day del 1991, Slomo da Slowdive e 40 Days dal già omaggiato Souvlaki.Standing ovation all’uscita della band sul brano An Ending (Ascent) di Brian Eno che proprio di Souvlaki era stato producer e co-autore oltre che primo ispiratore dall’anima elettronica di quella sinfonia emozionale che ancora rappresenta il motore del viaggio musicale guidato dagli Slowdive.
. Fabrizio Montini Trotti