Dalle intelligenze artificiali al live-coding, i party del futuro saranno frutto della tecnica. Ma che fine ha fatto l’arte?
Superato il Rubicone, Cesare esclamò: “Alea Iacta Est!“. E nel mondo della musica stiamo vivendo una situazione analoga. Cerchiamo di capire cosa sono i “live-coding” party. Negli ultimi mesi stanno spopolando intelligenze artificiali in grado di produrre la qualunque, e fra queste anche musica. Addirittura è possibile scrivere il testo di una canzone basandosi sullo stile di un determinato artista e -come se non bastasse- addirittura “farlo cantare” al performer in questione attraverso tecnologie di sintetizzazione vocale.
Sotto ogni aspetto della sua possibile applicazione, siamo ad un punto di svolta -o di non ritorno, a seconda della prospettiva. (E in questo il legame con Cesare). Ebbene si, perché delegare l’agire (prendendo in prestito la terminologia di Aristotele) ad una macchina è qualcosa di tremendamente violento nei confronti della stessa natura umana. Se l’agire è piena consapevolezza di sé, che attribuisce una direzione alla propria azione (e dunque un senso al proprio stare al mondo), delegare ciò ad una macchina/intelligenza-artificiale, va da sé, sia svilente in senso ontologico.
Ma sembra che l’uomo si sia stancato di delegare tutto alle macchine. O forse no. Perché in verità piace l’idea di proporre qualcosa di irriverente, che possa cambiare il paradigma di “prodotto-musicale”. Ma a quale prezzo. Nascono così, come tripudio della tecnica, i “live-coding” party. Esibizione di codici, di sintesi meccanica e di calcolo artificiale.
Discussione preliminare
Premessa fondamentale: il “live-coding” può essere qualcosa di interessante sotto l’aspetto squisitamente performativo. Non cadiamo in contraddizione con quanto detto precedentemente perché, ripetiamo, stiamo valutando l’esibizione in sé e non il suo valore ontologico. È interessante per capire fino a che punto una macchina sia in grado di spingersi attraverso i giusti input. I nostri dubbi sono relativi al capovolgimento di valore nelle parti (o dei soggetti operanti).
Mi spiego bene. Mozart nel 1700 suonava il clavicembalo e, mediante questo, traduceva in musica il proprio fare arte. Ma se l’uomo, mediante le sue conoscenze tecniche, si occupasse solo di tradurre il linguaggio della macchina in modo che questa possa esprimersi artisticamente, allora verrebbe da domandarsi chi sia il mezzo e chi il soggetto esecutore. Stiamo chiaramente parlando di una distopia portata agli estremi -e alle sue estreme conseguenze- ma il nocciolo della questione è se sia legittimo parlare di “uomo creatore di arte” o, piuttosto, di “uomo come mezzo per fare arte”.
ti potrebbe interessare: “Generazione Algorave: il rave che nasce dagli algoritmi“
Ma nello specifico che cos’è il “live-coding”?
I “live-coding” party sono qualcosa di differente dalla comune serata in discoteca. Quello che vi verrà proposto non è tanto il comune dj-set (o ancora un live-set con synth analogici etc.). Siamo proprio di fronte ad un altro tipo di spettacolo. Porli sullo stesso piano è semplicemente sbagliato: sarebbe come accostare un’esibizione di Marina Abramović ad una esposizione di dipinti all’interno di una galleria d’arte. Capite bene che in entrambi i casi si tratti di arte, ma in senso diametralmente opposto.
Il “live-coding” si occupa di decifrare in musica input espressi in codice di programmazione informatica. Ma non è solo questo. Ogni suono viene sintetizzato da zero attraverso il codice. Il live-coder dunque dovrebbe dimostrare una grande disinvoltura tanto nel riconoscere il suono che ha in testa, quanto nella sua traspazione in codice.
Al nucleo della matrice: i dubbi
Per spiegare i miei -personalissimi- dubbi sull’argomento lascerò parlare il pensiero di uno dei più importante filosofi del ‘900: Emanuele Severino.
“la tecnica sta all’inizio della nostra civiltà, ma il suo dominio è andato sempre più crescendo ed oggi noi viviamo nel dominio della tecnica e ogni aspetto della nostra vita dipende dal modo in cui la tecnica ha organizzato l’esistenza dell’uomo sulla terra”
(Storia del Pensiero Occidentale, a cura di E. Severino, Vol. 1, Mondadori 2019)
L’idea di fondo è piuttosto semplice: può dirsi arte -quella del “live-coding”- un’azione completamente sottoposta al sapere tecnico? Se pensiamo all’arte, certo, questa è sempre stata legata a canoni e regole, ma l’azione artistica era, appunto, azione performante dell’individuo. Libera, caotica, senza intermediari tra artista e opera.
Non sono sicuro che possa dirsi lo stesso nel momento in cui il calcolo di una composizione -e già questa espressione dovrebbe farvi accapponare la pelle- sia delegato ad una AI.
Conclusioni
Facciamo chiarezza. Sono stati sollevati tanti concetti e tante questioni. Parlare e riflettere sul “live-coding” è qualcosa di affascinante, proprio per le sue potenzialità: mostra quanto la tecnologia sia fondante nello svuppo di nuova musica e nuovi metodi di produzione.
Qualcosa di ben diverso è la questione relativa all’utilizzo delle AI, che sono (in modo spaventoso!) funzionali: nell’arco di pochi secondi si è in grado di sviluppare una canzone da zero.
A titolo strettamente personale, ritengo che l’utilizzo di questo tipo di tecnologie vada a mortificare l’idea stessa di arte che, da azione creatrice viene piegata a pura esecuzione di calcolo. È certamente interessante vedere i limiti fino ai quali una macchina può spingersi, ma è davvero questo che vogliamo per il futuro della musica? Mi auguro, sinceramente, di no.