Abbiamo avuto il piacere di parlare con Luigi Tozzi, produttore romano, poco prima dell’uscita del suo nuovo EP “Sentient” per Hypnus Records.
Luigi Tozzi è uno dei talenti italiani capaci di portare avanti una visione della techno, in continuità con la tradizione passata ed una spinta indecifrabile ed affascinante verso il futuro. In occasione dell’ uscita del suo prossimo lavoro “Sentient” e del suo ritorno il 20 dicembre a Roma abbiamo avuto modo di intervistarlo.
Ecco cosa ci ha raccontato del suo processo creativo, il legame con l’ascolto e con il pubblico, e delle sue prospettive per il futuro.
Benvenuto Luigi! Intanto complimenti per il tuo nuovo progetto Sentient, in uscita il 13 gennaio con Hypnus Records. Puoi raccontarci qualcosa su questo EP e sul concept che c’è dietro?
Grazie! È stato un lavoro molto speciale per me. Non uscivo su Hypnus Records dai tempi di Deep Blue Vol. 3, quindi è passato davvero tanto tempo. In realtà mi ero convinto che avrei pubblicato solo album su Hypnus, mentre gli EP li avrei riservati alle mie altre etichette con cui lavoro, Non Series e Mental Modern, che sono più orientate verso musica da ballo minimalista. Dopo alcuni discussioni con Michel, il fondatore di Hypnus Records, mi ha convinto che il tipo di suono che sto sviluppando nei miei live meritava un posto sull’etichetta. Così è nato Sentient, delle tracce pensate inizialmente per i miei live, che ho poi arrangiato e mixato per un’uscita discografica.
Tracklist
A1. SENTIENT
A2. AMPHIBIA
B1. UTERUS
B2. REPTILIAN
Rispetto a “Deep Blue Vol. 3”, Sentient ha un’identità stilistica coerente, ma si percepisce un’evoluzione. Come pensi che sia cambiato il tuo approccio alla produzione negli anni?
Direi che è cambiato molto il modo in cui penso alla funzionalità della musica. Questi brani sono più orientati al dancefloor, con arrangiamenti più diretti e durate più contenute. Ho sempre avuto un approccio molto libero nella mia musica, ma qui ho cercato di bilanciare quella libertà con una maggiore funzionalità, senza perdere il mio stile personale. Per me la ripetizione è fondamentale, ma deve sempre essere modulata, anche in modo minimo, per mantenere viva la creatività di chi ascolta.
A proposito di ripetizione e modularità, come riesci a bilanciare l’uso di elementi ripetitivi senza rischiare di risultare monotono?
A me piace la ripetitività, è il cuore della musica techno. Permette un ascolto che io chiamo creativo, dove la stessa sequenza può cambiare continuamente grazie a modulazioni sottili. Ho imparato molto ascoltando artisti come Basic Channel, che sono maestri in questo tipo di approccio. La sfida è giocare sulla linea sottile tra ciò che è interessante e ciò che potrebbe diventare noioso. Ad esempio, in Sentient c’è un pezzo con due synth poliritmici in sette quarti che restano quasi fissi per tutta la traccia, ma la timbrica cambia leggermente a ogni colpo. Questo secondo me crea quella sottile tensione che rende l’ascolto coinvolgente.
Come hai iniziato a fare musica e cosa ti ha portato a scegliere questa strada?
È successo quasi per caso, durante l’università. Mi ero avvicinato alla musica come hobby, ma presto è diventata una passione totalizzante. Passavo sempre più tempo in studio, sperimentando con i suoni e cercando di scoprire il mio stile. A un certo punto, ho capito che la musica era ciò che volevo fare davvero, anche se significava abbandonare altre strade. È stata una scelta rischiosa, ma anche se in quel momento avessi scelto un altro percorso, so che avrei continuato a sviluppare la musica in parallelo, perché è qualcosa che fa parte di me.
Come è cambiato il tuo setup in studio nel corso della tua carriera? Ci sono strumenti o software particolari che ritieni fondamentali per il tuo processo creativo?
Il mio setup è cambiato molto nel corso degli anni. Ho iniziato con strumentazioni analogiche, come Juno-106 e l’MS-20, strumenti che mi hanno permesso di imparare e di entrare nel mondo della sintesi sonora. Tuttavia, col tempo ho spostato il mio processo al computer, infatti oggi lavoro principalmente con Ableton, che è diventato centrale per me. È una scelta pratica perché mi consente di usare moltissimi effetti e di sdoppiare facilmente le tracce, cosa che con un setup analogico sarebbe molto più complessa e costosa. Per Sentient, ad esempio, ho utilizzato molto i synth stock di Ableton, come Wavetable e Meld, che sono incredibilmente potenti sia in termini di qualità sonora che di possibilità timbriche. Amo anche la versatilità che il software offre, posso sperimentare con più delay o modulazioni in un modo che con l’hardware sarebbe stato logisticamente impossibile. Alla fine, il mio setup riflette il mio modo di lavorare, che è molto basato sulla flessibilità e sulla sperimentazione.
Che consiglio daresti a un produttore emergente per affinare l’orecchio e sviluppare un proprio suono?
Il primo consiglio che darei è ascoltare ad occhi chiusi. Quando produco, dedico molto tempo all’ascolto creativo, lascio andare una traccia in loop anche per 20 minuti senza toccare nulla e mi concentro solo sui dettagli, immaginando quale potrebbe essere la prossima modulazione o variazione da aggiungere. È un esercizio che allena l’orecchio a cogliere anche le sfumature più sottili. Un altro suggerimento fondamentale è studiare chi è maestro in questo tipo di approccio, come Rhythm & Sound, Basic Channel o Plastikman. Progetti come Rhythm & Sound, ad esempio, sono un esempio perfetto di come una traccia possa sembrare statica ma, grazie a modulazioni timbriche minime e continue, restare sempre interessante e coinvolgente. Un altro aspetto fondamentale è imparare a portare a termine i propri brani. È facile rimanere intrappolati nella perfezione di un loop, ma l’atto di chiudere una traccia – anche se non rispecchia del tutto le aspettative iniziali – rappresenta una parte essenziale del processo di crescita. Anche se quel brano non dovesse mai essere pubblicato, il processo ti insegnerà comunque qualcosa di prezioso.
Visto che Sentient è nato da tracce pensate per il live e successivamente trasformate in un EP, in che modo l’interazione con il pubblico ha influenzato la loro creazione?
Le tracce di Sentient sono state pensate inizialmente per i miei live, dove ho avuto modo di testarle e modificarle in base alle reazioni del pubblico. Quando suono dal vivo, mi concentro molto su ciò che funziona o meno in quel contesto. Ad esempio, una traccia all’inizio aveva molti più elementi, ma suonandola mi sono reso conto che il pubblico rispondeva meglio a una versione più minimale.
Ho iniziato così a togliere tutto ciò che non era essenziale, fino a trovare la forma definitiva. Il live diventa quindi una sorta di laboratorio, dove ascolto le reazioni, modifico, aggiusto e alla fine il pezzo prende vita. Questo approccio non solo mi permette di creare musica che funzioni bene sul dancefloor, ma rende anche le tracce più dinamiche e vive, co-creandole direttamente con la risposta che le persone mi danno.
L’esperienza del live sembra essere centrale per il tuo processo creativo, ma oggi una parte rilevante della carriera di un artista si gioca anche online, soprattutto sui social media. Come percepisci l’influenza dei media e dei social network sulla scena musicale elettronica?
Purtroppo, oggi la musica non sembra più essere il fulcro principale della scena, ma spesso viene percepita come un elemento accessorio rispetto all’immagine che un artista costruisce sui social. Questo sistema tende a premiare chi sa comunicare bene il proprio brand piuttosto che chi investe tutto nella qualità musicale. In passato, un disco che vendeva 2000 copie era un segno tangibile di apprezzamento e significava che l’artista veniva riconosciuto per il proprio lavoro.
Oggi, la visibilità può arrivare anche da una gestione strategica di un profilo Instagram. Mi considero fortunato perché ho iniziato in un momento in cui c’era più attenzione per la musica in sé. L’importanza era data a quanto tempo dedicavi in studio a perfezionare il tuo suono, e io ho sempre trovato soddisfazione proprio in quello spazio. Spero che, con il tempo, moda e trend si sposteranno verso altri ambiti, lasciando che la musica elettronica torni nelle mani di chi la vive e la ama autenticamente. Alla fine, ciò che resta è la passione e il desiderio di creare qualcosa che abbia un significato e che possa connettersi profondamente con chi ascolta.
Come vivi questa dinamica nel tuo lavoro quotidiano?
Io cerco di mantenere il focus sulla musica. Investo gran parte del mio tempo in studio lavorando sui dettagli delle mie produzioni e dei miei live. Credo che alla fine ciò che conta è come investi il tuo tempo, io preferisco passare ore a perfezionare una traccia piuttosto che fare altro. È una scelta, ma è anche ciò che mi permette di sentirmi a mio agio come artista.
Stasera torni a suonare a Roma, al Circolo degli Illuminati. Era da tanto che non ti esibivi nella tua città. Come mai?
Sì, è passato tanto tempo. L’ultima volta ho suonato al Goa, un posto che per me ha un legame importante, ci andavo a ballare quando ero più giovane ed è stato davvero un onore poterci tornare come artista. Dopo la chiusura del Goa e con il periodo del Covid, ho avuto meno occasioni di suonare a Roma. Devo anche dire che mi capita di esibirmi più spesso all’estero, perché lì trovo contesti che, per ragioni organizzative o culturali, si adattano meglio al mio stile musicale.
Detto questo, sono davvero felice di tornare al Circolo degli Illuminati, soprattutto sotto Natale. Questo evento, organizzato da Purple Brain, è un’occasione speciale per me, e sono grato a loro per l’invito e per aver reso possibile questa serata.
Ormai siamo giunti a fine anno. Ripensando al 2024, quali esperienze o eventi hanno segnato di più il tuo percorso quest’anno?
Tra tutti i momenti, ricordo con particolare affetto i party organizzati da On Board all’Else di Berlino. C’è qualcosa di magico in un open air: il contatto diretto con il pubblico, l’energia che si respira e il senso di comunità che si crea. Questi eventi hanno una forte coerenza musicale, curata con grande passione dalla mia agenzia insieme a Laura, che non solo organizza ma vive la musica come parte integrante del processo. Sono esperienze che mi ispirano profondamente sia come artista che come persona, e mi ricordano perché amo così tanto fare musica, che non è solo un lavoro, ma un modo per connettermi con gli altri.
Guardando al futuro invece, quali sono i tuoi obiettivi per il 2025?
Vorrei probabilmente dedicare più tempo alla produzione e concentrarmi su nuove esplorazioni sonore, ampliando il mio approccio creativo. Non ho una direzione precisa in mente, ma questo fa parte del fascino del processo: lasciarmi guidare dalla curiosità e vedere dove mi porterà. Credo anche che sia importante bilanciare il tempo passato in studio con l’energia che solo i viaggi e i live possono offrire. Questo tipo di dinamica mi aiuta a rinnovarmi e a trovare nuove ispirazioni, sia per le performance che per le mie produzioni future.
ENGLISH VERSION
Welcome Luigi! First of all, congratulations on your new project “Sentient,” set to be released on January 13th with Hypnus Records. Can you tell us more about this EP and the concept behind it?
Thank you! It’s a very special project for me. I hadn’t released anything on Hypnus Records since Deep Blue Vol. 3, so it has been quite a while. I had actually convinced myself that I would only release albums with Hypnus, while reserving EPs for my other labels, Non Series and Mental Modern, which are more oriented toward minimalist dancefloor music. However, after some discussions with Michel, the founder of Hypnus Records, he convinced me that the kind of sound I’m developing in my live sets deserved a place on the label. That’s how Sentient was born – tracks initially designed for my live performances, later arranged and mixed into a record release.
Compared to Deep Blue Vol. 3, Sentient has a cohesive stylistic identity, but there’s a noticeable evolution. How do you think your approach to production has changed over the years?
I’d say my approach to functionality in music has changed a lot. These tracks are more dancefloor-oriented, with more direct arrangements and shorter durations. I’ve always had a very free approach to my music, but here I tried to balance that freedom with greater functionality without losing my personal style. For me, repetition is fundamental, but it always needs to be modulated, even subtly, to keep the listener’s creativity engaged.
Speaking of repetition and modularity, how Luigi Tozzi balance repetitive elements without risking monotony?
I love repetition – it’s the essence of techno music. It allows for what I call creative listening, where the same sequence can continually change thanks to subtle modulations. I learned a lot from listening to artists like Basic Channel, who are masters of this approach. The challenge lies in walking the fine line between what’s engaging and what could become boring. For instance, in Sentient, there’s a track with two polyrhythmic synths in 7/4 time that stay almost fixed throughout the piece, but their timbre changes slightly with each note. In my opinion, this creates a subtle tension that keeps the listening experience captivating.
How did you start making music, and what led you to choose this path?
It happened almost by chance during university. I initially approached music as a hobby, but it quickly became an all-consuming passion. I started spending more and more time in the studio, experimenting with sounds and trying to discover my own style. At some point, I realized that music was what I truly wanted to do, even if it meant leaving other paths behind. It was a risky choice, but even if at the time I had chosen a different route, I know I would have continued developing music in parallel because it’s such an intrinsic part of who I am.
How has your studio setup evolved over your career? Are there any tools or software that you consider essential to your creative process?
My setup has changed a lot over the years. I started with analog gear, like the Juno-106 and MS-20, which helped me learn and explore the world of sound synthesis. Over time, though, I shifted my process to the computer. Today, I work primarily with Ableton, which has become central to my workflow. It’s a practical choice because it allows me to use multiple effects and split tracks easily, something that would be much more complex and expensive with an analog setup. For Sentient, I used a lot of Ableton’s stock synths, like Wavetable and Meld, which are incredibly powerful in terms of sound quality and timbral possibilities. I also love the flexibility the software offers – I can experiment with multiple delays or modulations in ways that would be logistically impossible with hardware. In the end, my setup reflects my way of working, which is highly focused on flexibility and experimentation.
What advice would you give to an emerging producer to refine their ear and develop their own sound?
My first piece of advice would be to listen with your eyes closed. When I produce, I dedicate a lot of time to creative listening. I’ll let a track loop for 20 minutes without touching anything and focus solely on the details, imagining what the next modulation or variation might be. It’s an exercise that trains your ear to catch even the subtlest nuances.
Another essential suggestion is to study those who excel at this approach, like Rhythm & Sound, Basic Channel, or Plastikman. Projects like Rhythm & Sound, for example, are perfect illustrations of how a track can feel static yet remain continuously engaging thanks to minimal but ongoing timbral modulations. Another crucial aspect is learning to finish your tracks. It’s easy to get stuck in the perfection of a loop, but completing a track – even if it doesn’t entirely meet your initial expectations – is an essential part of growing as a producer. Even if that track is never released, the process will teach you something invaluable.
Since Sentient started as tracks designed for live performances and later became an EP, how did the interaction with the audience influence their creation?
The tracks in Sentient were initially created for my live sets, where I had the chance to test and modify them based on the audience’s reactions. When performing live, I focus a lot on what works and what doesn’t in that context. For example, one track initially had many more elements, but as I played it, I realized the audience responded better to a more minimal version.
So, I started stripping away everything non-essential until I found its definitive form. Live performances become a kind of laboratory where I listen to the reactions, tweak, adjust, and eventually bring the piece to life. This approach not only helps me create music that works well on the dancefloor but also makes the tracks more dynamic and alive, co-created directly with the audience’s feedback.
Live performances seem central to your creative process, but today a significant part of an artist’s career also unfolds online, particularly on social media. How do you perceive the influence of media and social networks on the electronic music scene?
Unfortunately, today music often doesn’t seem to be the main focus anymore. It’s frequently perceived as secondary to the image an artist builds on social media. This system tends to reward those who excel at branding rather than those who dedicate themselves entirely to musical quality. In the past, a record selling 2,000 copies was a tangible sign of appreciation and recognition for an artist’s work.
Today, visibility can come from a well-managed Instagram profile. I consider myself fortunate to have started in a time when there was more focus on the music itself. The emphasis was on how much time you spent in the studio perfecting your sound, and I’ve always found deep satisfaction in that space. I hope that, over time, trends and fashion will shift toward other areas, allowing electronic music to return to the hands of those who live and love it authentically. In the end, what remains is the passion and desire to create something meaningful, something that can deeply connect with listeners.
And Luigi how do you navigate this dynamic in your daily work?
I try to keep my focus on the music. I spend most of my time in the studio, working on the details of my productions and live sets. Ultimately, what matters is how you invest your time. I prefer spending hours perfecting a track rather than doing other things. It’s a choice, but it’s also what allows me to feel at ease as an artist.
Tonight, you’re performing in Rome at Circolo degli Illuminati. It’s been a long time since you played in your hometown. Why is that?
Yes, it’s been a long time. The last time I performed was at Goa, a place that holds a special meaning for me. I used to go there as a young clubber, and it was an incredible honor to return as an artist. After Goa’s closure and the Covid period, I’ve had fewer opportunities to perform in Rome. I also tend to perform more often abroad, as I find contexts there that, for organizational or cultural reasons, suit my musical style better. That said, I’m really happy to return to Circolo degli Illuminati, especially during the holiday season. This event, organized by Purple Brain, is a special occasion for me, and I’m grateful to them for the invitation and for making this evening possible.
As the year comes to a close, looking back at 2024, what experiences or events have stood out the most in Luigi Tozzi’s journey this year?
Among all the moments, I have a special fondness for the parties organized by On Board at Else in Berlin. There’s something magical about an open-air setting: the direct connection with the audience, the energy in the air, and the sense of community that forms. These events have a strong musical coherence, curated with great passion by my agency along with Laura, who not only organizes but also lives the music as an integral part of the process. These experiences deeply inspire me as both an artist and a person, reminding me why I love making music so much – it’s not just a job but a way to connect with others.
Looking ahead, what are your goals for 2025?
I’d probably like to dedicate more time to production and focus on new sonic explorations, expanding my creative approach. I don’t have a specific direction in mind, but that’s part of the beauty of the process: letting curiosity guide me and seeing where it takes me. I also think it’s important to balance time spent in the studio with the energy that only traveling and performing live can provide. This dynamic helps me stay refreshed and find new inspiration, both for my performances and my future productions.