Marco Shuttle approda su Astral Industries con “Sonidos y Modulaciones de la Selva” e ci racconta l’ idea ed il processo dietro la creazione di questa nuova fatica discografica.
Marco Shuttle è da sempre un outsider della musica elettronica. Marco Sartorelli, nato a Treviso ma cresciuto musicalmente prima a Londra e successivamente a Berlino, ha un approccio alla musica elettronica materico, organico: una straordinaria capacità di restituire al suono l’intensità di un respiro, la complessità della materia. La sua visione musicale, che oscilla tra astrazione ambient, concretezza techno e entusiasmo acid house ha il fascino del sospeso, di una vibrazione eterea e trascendente.
Da Clone a Incienso, passando per quest’ ultima release “Sonidos y Modulaciones de la Selva” che vedrà la luce il 14 marzo su Astral Industries il percorso di Marco Shuttle, tra sperimentazione sonora e il field recording, costruisce spazi e visioni, momenti di riflessione ed estraniazione forgiati da una sensibilità emotiva acuta. I suoi lavori sono testamenti, che traslano la dimensione elettronica in un viaggio conoscitivo, esplorativo che evoca immagini e paesaggi visivi.
Ed è proprio in occasione di quest’ultima release che abbiamo voluto farci raccontare da Marco Shuttle il percorso dietro questo approccio etnografico che sta alla base di quest’ultimo lavoro, di come oggi la musica elettronica possa costruire luoghi e raffigurarli. Ma non solo: abbiamo riflettuto sull’evoluzione che l’ elettronica sta avendo, di come lo spazio del dancefloor possa assumere significati inediti. Buona lettura!
Ciao Marco Shuttle, benvenuto su Parkett Channel. Vorrei partire da questo inizio dell’ anno e sapere come stai e come è iniziato questo 2025 per te.
Ciao, sto bene, direi. Sono appena tornato da un tour abbastanza importante: sono partito a fine gennaio, dall’ India all’ Australia e ho concluso in Sudamerica, in Colombia dove ho suonato al festival Bonanza a Buritaca, sulla costa caraibica della Colombia del Nord.Quindi sì, direi che è iniziato bene. Adesso ho un altro weekend di date perché domani sono ad Anversa e dopodomani a Madrid quindi il mio calendario date risulta abbastanza fitto. Inoltre c’è questa release su Astral che uscirà adesso a marzo.
A proposito di questa nuova release: “Sonidos y Modulaciones de la Selva,”come nasce questa idea, che appunto parte da un tuo viaggio e da un tuo addentrarti nella foresta amazonica colombiana, come si è sviluppato questo progetto e in che momento hai capito che Astral Industries poteva essere la casa giusta per questo lavoro?
Questa release non nasce da un viaggio unico ma da ripetuti viaggi. La Colombia, in realtà, è un paese dove mi capita di andare circa una volta all’anno a suonare ed è una destinazione dove approfitto sempre per estendere un attimo la mia permanenza anche al di là del tour, perché comunque è una terra che mi piace esplorare, tra una data e l’ altra, oppure dopo che finiscono le date. Ne approfitto sempre per andare a visitare parti del Paese che mi mancano o torno nei luoghi che mi sono piaciuti particolarmente ed è una nazione in cui viaggio abbastanza frequentemente, circa una volta all’anno.
L’idea del disco, che prende forma da field recordings nella natura e elementi più “esotici”, non è esattamente una novità nella mia discografia perché anche l’album che ho fatto su Incienso, “Cobalt Desert Oasis”, conteneva dei field recordings. Probabilmente, non in maniera così sostanziale come in questo nuovo album per Astral, però era già molto presente questo fattore. In questo statement, se così vogliamo chiamarlo, ha assunto un ruolo un po’ più importante perché comunque una volta fatto l’esperimento su “Cobalt Desert Oasis”, ho capito che sarebbe stata una maniera di rapportarmi alla musica che avrei voluto approfondire e, in un certo senso, anche sviluppare in una maniera più profonda.

Questo nuovo lavoro discografico è incentrato sul fatto di costruire le tracce extended play di 25 minuti, che non so se si possano definire tracce ma piuttosto un continuous play di suoni, che nel loro legame contribuissero a creare una narrativa che si estendesse per tutta la lunghezza dell’album.
Ho voluto estremizzare, tra virgolette, questo modo di lavorare per rendere il tema dei field recordings nella foresta amazzonica e, non solo, centrale e fondamentale.
Oltre alla foresta amazzonica, ho eseguito delle registrazioni anche nella valle di Santa Marta, nella costa pacifica e nel dipartimento di Chocò, tutti ambienti molto tropicali dove la foresta è parte integrante, se non essenziale, dell’ambiente in cui mi sono trovato a registrare. Sicuramente l’elemento amazzonico è quello più importante come tematica e come sorgente di registrazione nel disco.
Con Astral Industries, c’è sicuramente un rapporto di amicizia che dura da molto tempo, soprattutto com Ario ed è nato un desiderio da parte di entrambi di collaborare. Nel momento in cui ho deciso di cimentarmi in questo nuovo progetto ho pensato che Astral fosse la piattaforma ideale per far uscire questo disco. L’ idea delle tracce lunghe, realizzate come se fossero in una jam o comunque una session in studio estesa, rispecchiavano il formato della label che possiede appunto anche questo tipo di sound. Era assolutamente tra i contendenti più accreditati per un lavoro di questo tipo.
Oltre a questo, come ho detto prima, essendoci già un’ amicizia con Ario, il proprietario della label, è stata una scelta naturale, visto che anche da parte sua c’è stata una volontà di fare questa cosa, una reazione abbastanza entusiasta. Era destino. Poi loro come label fanno sempre delle cose molto originali e molto particolari.
L’uso che fai del field recording si unisce a ciò che è parte del tuo passato musicale ed è stato più il tuo suono o comunque il tuo sound più caratteristico. Questa simbiosi costruisce una dicotomia tra la natura e invece la parte un pochino più delle macchine. Questo contrasto per te, si traduce proprio anche in qualcosa a livello concettuale? Il disco vuole comunicare,in qualche modo, questa minaccia che può avere la biodiversità o la natura dal mondo artificiale o descrivere quella che può essere la convivenza tra le due cose?
Il tema ecologico è sicuramente importante e assume un suo spazio notevole all’interno di questo progetto. Parte dei proventi delle vendite andranno appunto a un’organizzazione che si occupa di preservazione e conservazione della foresta amazonica. L’uso delle macchine non nasce come metafora di quella che può essere la minaccia della tecnologia nei confronti della natura, anzi, i rumori, i suoni che io ho registrato, che possono essere insetti o uccelli o scimmie o rane, hanno in realtà un’analogia sorprendente con quelli che possono essere i suoni che si producono con un sintetizzatore o con degli oscillatori.
In realtà, quello che io ho cercato di fare nel disco è far dialogare i suoni della natura, della foresta amazonica, della giungla, con i suoni delle mie macchine ed è stato sorprendente, quando ho selezionato i campioni e li ho riascoltati, li ho rilavorati, li ho riprocessati, notare come alcuni di essi siano in realtà molto simili, se non uguali, a delle modulazioni, a delle tecniche che si possono registrare con degli oscillatori o con un sintetizzatore modulare.
Far dialogare queste due sorgenti di suono e diffonderle in un complesso organico dove i suoni delle macchine e della natura, si intrecciano tra di loro, per sublimare i suoni originali che ho registrato è stato l’ intento che ho seguito. L’approccio è volutamente minimale perché questo dialogo, questo dualismo emerga in superficie e si renda notabile all’ascolto. Ripeto, è stato incredibile ascoltare dal vivo la varietà e la particolarità dei suoni che ascolti in degli ambienti come la foresta amazzonica, sentire questo concerto della natura in quel tipo di contesto.
Nel precedente lavoro, hai integrato, credo anche grazie al tuo rapporto con Mortazavi, uno strumento tipico persiano amalgamandolo con quello che era anche il tuo background musicale. In questo caso, oltre al field recording, hai utilizzato anche degli strumenti o dei suoni tipici del patrimonio culturale colombiano o comunque dell’ America Latina?
Muhammad è un amico, ci sono anche andato a lezione prima della pandemia, quindi l’elemento delle percussioni, come il Tombak o il Duff, è una cosa che ho usato nelle mie produzioni e che tra l’altro c’è anche nel disco che sto facendo uscire su Astral. Fa parte della mia estetica sonora nelle percussioni, fa parte del mio sound. In questa release, ma anche in altri lavori che ho fatto, potrei definire organico il mio sound quindi uso spesso percussioni acustiche, che magari suono io, che campiono e poi, sì, uso da campionatore, quindi sì. Quell’elemento c’è, ma su Sonidos non ho usato strumenti colombiani, ma in realtà ci sono dei campioni di tombak.
Un collegamento al disco su Incienso dove hai utilizzato appunto il tombak
Sì sì c’è, è anche dichiarato ed è menzionato nella presentazione del disco. Diciamo che è un elemento che inserisco abbastanza spesso nelle mie produzioni, quando riesco, quando si sposa bene con il resto dei suoni.
In questo nuovo lavoro, secondo me, emerge quella che può essere un’attitudine che viene anche dalla tua formazione: l’amore e l’ attenzione per la fotografia e la rappresentazione visiva. Come appartiene e si collega alla visione musicale di Marco Shuttle e in questo progetto, in particolare, come hai lavorato in questa direzione?
Prima di fare musica facevo il designer, vengo da un background visivo quindi sicuramente penso di avere un approccio al sound design che sia abbastanza visivo. La mia tendenza ad usare suoni della realtà, come in questo caso appunto, ha sicuramente un legame stretto con la volontà di voler dare un’immagine ai suoni. Tutto quello che è visivo, tutto ciò che è fotografia, tutto quello che io mi porto a casa da questi viaggi, da queste esplorazioni, sia a livello visivo che a livello sonoro, va ad alimentare quella che è la mia ispirazione, nel momento in cui decido di creare qualcosa di nuovo. Sono due elaborazioni che vanno a braccetto.
In “Sonidos” ci sarà un insert che è una fotografia mia con dietro una citazione di un libro che parla appunto della Colombia. Une descrizione dell’ Amazzonia colombiana che possa rappresentare perfettamente l’esperienza della foresta amazonica, tratta da “One River” di Wade Davis in cui mi sono totalmente riconosciuto e che appunto ho stampato su un lato, mentre sull’altro compare la foto di un fiore nella foresta, catturato da me.
Mi piace molto fotografare, è un lavoro che ho fatto anche nel mio album precedente, in cui è stata una parte importante della release, quindi sicuramente tra il materiale sonoro che porto a casa dai miei viaggi che viene elaborato ci sono sia suoni ma anche immagini. Quando riascolto questo disco per Astral è come se rivedessi il film del viaggio che ho fatto. C’ è sempre questo aspetto visivo, comunque cinematico se vogliamo.
Anche questo aspetto è appartenente un po’ alla tua identità musicale. Una delle cose in cui sei molto bravo, a parer mio, è proprio il concepire quasi uno spazio nel danc floor, non facile da creare, di riflessione, di alienazione. La tua musica è al di fuori proprio: riesce a integrarsi nel contesto dancefloor, uscendo da quello che dovrebbe essere funzionale per il dancefloor. Non trovi?
Ci proviamo dai, dipende anche un po’ dalle situazioni, però credo che spesso capiti fortunatamente. Io cerco sempre anche di creare uno spazio per questo tipo di approccio e di proporre all’audience questo tipo di scenario. Penso che quello che tu dici sia abbastanza vero, in alcune situazioni di più, in altre meno. Ogni gig e ogni situazione ha la sua storia: mi capita anche che ciò che suono possa descrivere e contribuire a creare un po’ gli spazi e le situazioni in cui mi esibisco.

Suppongo che mi chiamino anche un po’ per quello, perché non faccio il classico set, dritto, techno, peak time, ma per questo tipo di approccio per cui, quando riesco, creo sempre questo momento all’interno del set , anzi questi momenti all’interno del set, dove mi concedo un po’ e mi lascio più andare all’astrazione. Vado verso una dimensione più contemplativa, se vogliamo, e non puramente funzionale al rave o alla pista.
Oggi per te quanto spazio ha oggi nel business della musica elettronica l’essere concepita al di fuori del dancefloor ma in una dimensione riflessiva e di ascolto?
È curioso che tu mi faccia questa domanda perché comunque secondo me con la pandemia ci siamo trovati un po’ di fronte a questa situazione, no? Una volta che non ci sono più i club o i festival perché c’è un lockdown, ti trovi di fronte alla realtà vera e propria. Allora, cos’è la musica elettronica nel momento in cui non ci sono più i club? Credo che la musica elettronica abbia retto a questo esame abbastanza bene, nel senso chesia la musica techno che la musica house ha continuato a uscire e ha continuato a essere venduta durante la pandemia, anzi più di prima.
Bisogna anche interrogarsi su cosa intendiamo per musica elettronica, no? Perché comunque la musica da dancefloor è solo una parte della musica elettronica. Stiamo in un momento, secondo me, ottimo per questo tipo di musica più d’ascolto. Ci sono tantissime cose interessantissime, ci sono tantissimi crossover tra generi e quindi c’è molta musica elettronica solamente percepita per ascolto e non per il dancefloor. Anche “Sonidos” non è sicuramente destinato a un contesto club o a un contesto festival, lo può essere in determinati contesti ma non nasce come musica adatta al contesto festival, no?
Non è quella cosa lì. La musica elettronica non si può definire nemmeno come un genere musicale in un certo senso, perché oggi si fa pop elettronicamente, il rock non può prescindere da quelli che sono gli elementi della musica elettronica. Ormai per produrre musica devi fare musica elettronica, in qualsiasi genere. La musica elettronica è un mondo vastissimo in cui rientrano tantissime declinazioni e che non sia limitata alla techno o all’ house o alla dimensione dancefloor, ha detto tanto ma ha ancora tanto da dire.
Oggi ci sono molti più festival e anche grandi eventi che prendono un bacino di utenza abbastanza ampio e che danno più spazio a quel tipo di musica rispetto a qualche anno fa. Sono nati molti concept ed è un movimento, una scena che negli ultimi 15 anni si è ingrandita moltissimo. Qualche giorno fa riflettevo con un amico sul fatto che oggi in un giorno escono più release di quante ne uscivano in un mese, tipo 10-15 anni fa. Esiste assolutamente più output rispetto a una volta sulla musica elettronica.
La parte più astratta, più d’ascolto della musica elettronica è cresciuta tra ambient, drone o modern classico, e in migliaia di sottogeneri. Tra l’altro le categorizzazioni sono un po’ difficili, lasciano il tempo che trovano, perché i confini sono talmente labili, un po’ blurry, per usare una parola inglese, che a volte si fa anche un po’ fatica a taggare certi generi rispetto ad altri.
Però ovviamente c’è molto più spazio rispetto a un tempo per questo tipo di approccio più contemplativo, più astratto, più d’ascolto, più meditativo. Festival come Atonal o lo stesso Terraforma hanno una programmazione in cui viene dato molto spazio a generi e performance, dove la gente sta seduta e ascolta.

Dopo questa release che hai realizzato su Astral Industries Marco Shuttle sente la necessità di tornare anche verso una dimensione più dancefloor?
In realtà ho un altro progetto che si chiama Marco Shuttle Productions, una sorta di piattaforma mia dove faccio uscire dei pezzi più da dancefloor. Ho in uscita il secondo capitolo che segue il numero 1 già realizzato. Questa è una label che tengo solamente per le cose mie, al contrario di Eerie dove producevo anche altri artisti e in cui curavo altri progetti di altri produttori. MSP02 uscirà nei prossimi mesi e sarà un EP di due tracce, e sarà senza dubbio un lavoro più dancefloor, quattro quarti. Fa l’occhiolino a quelle che erano un po’ le mie prime produzioni, quindi più deep, più da dancefloor vero e proprio.
Dopo il lavoro fatto con Astral, astratto e libero, mi è venuta voglia di fare qualcosa di mio che suonerei in un club. Mi è capitato di ascoltare dei vecchi set di dj che ascoltavano negli anni ’90 quando frequentavo io i club ed esisteva tutta la scena progressive house in Nord Italia in club come l’Alterego o il Madsum, tutti i club che io idolatravo all’epoca, che ho riscoperto recentemente e che sono state d’ ispirazione per questo lavoro.
Quali saranno gli appuntamenti imperdibili dove potremo trovarti quest’ estate?
Sicuramente un b2b con Jane Fitz, a Lachs, a Lisbona, poi faremo il nostro party a fine giugno a Berlino, che si chiama Particles, sempre insieme a Jane.Poi molti festival tra cui Butik, Polifonic, Nuova Musica Festival a Katowice ed un tour in Sudafrica ad inizio maggio.
Ti faccio un’ultimissima domanda, un po’ più generale ed è un augurio. Un augurio per te stesso, a Marco Shuttle come artista, e invece un augurio che faresti alla musica in generale. Qualcosa che speri per il futuro della musica in generale.
Che domanda! Allora iniziamo dall’ augurio che faccio a me. Mi auguro di trovare più tempo da dedicare allo studio per produrre più musica e di riuscire a continuare questo percorso con i field recordings, mantenendo quello che può essere definito un approccio quasi etnografico alla musica elettronica, quindi di riuscire a fare di più in quel senso e di riuscire a dedicarmi a dei progetti ancora più sperimentali, più concettuali. Quello che mi capita di desiderare più spesso è avere un po’ più tempo da dedicare allo studio rispetto a quello che ho avuto negli ultimi due anni, dopo la ripresa.
Vorrei dedicare più tempo allo studio, vorrei migliorare in quello che faccio. Ho varie richieste per fare EP o collaborazioni con altre label, anche molto interessanti, per cui ho bisogno di tempo per sedermi qui in studio e lavorare. Riuscire a completare dei progetti che vorrei veramente completare, iniziarne di nuovi che ho un mente. Ci sono delle richieste per un live set, soprattutto dopo il lavoro fatto in questo ep con Astral e, secondo me, può essere una buona occasione per costruire un live su questa linea, quindi più sperimentale.
Mi auguro che questo disco su Astral mi apra nuove opportunità come artista, come performer, come produttore, mi piacerebbe molto che questo disco mi portasse ad altri tipi di collaborazioni o a poter presentare la mia musica in ambiti un po’ diversi da quelli che sono i soliti palcoscenici, su una dimensione più esperiente.
Sulla musica in generale è difficile scegliere. Ci sono tante cose che vanno bene, ci sono anche tante cose che non vanno bene e credo che, ripeto, la musica elettronica negli ultimi anni abbia avuto un’impennata e un boom talmente grande, da creare anche un’ economia che influenza altri campi come lo stesso giornalismo musicale che parla ben poco della musica, ma più di altro, insomma.
Mi auguro che la stampa che si occupa di musica elettronica cominci più a parlare di contenuti e non dei vari gossip, o di cose che comunque hanno ben poco a che fare con quella che è la musica. Ci sono molti talenti completamente ignorati, perché non hanno un determinato profilo o non gravitano attorno a certi circoli. Mi pare che molto spesso esista un culto della persona e si guardi un po’ a quello che rappresenta un personaggio rispetto ai contenuti che effettivamente mette sul tavolo e che sono quelli che dovrebbero essere al centro dell’attenzione. Mi sembra che i contenuti non siano al centro dell’attenzione e mi auguro che in futuro lo siano un po’ di più.
Sono d’ accordo, ma essendo dall’ altra parte mi pongo il problema di dover bilanciare una pressione manageriale continua, un lavoro continuativo con le realtà ed un pubblico che spesso non gratifica determinate scelte editoriali. È un dovere fare conoscere, è un dovere informare ma spesso si riceve una resistenza culturale non da poco.
Il problema è che certi poteri portano una responsabilità di questo tipo, e nel momento in cui si assume un atteggiamento che tende a premiare un certo modo di fare successo rispetto ad un altro, allora è lì che il meccanismo un po’ fa il patatrac, no?
Certo, credo che sia una critica assolutamente valida e giusta da tenere a mente e da provare ad arginare. Grazie mille Marco di essere stato con noi.
Grazie!
