Miami Music week risulta senza dubbio una delle settimane più importanti per la musica elettronica negli USA. Il nostro racconto tra le luci abbaglianti dello show ed una visione (molto spesso) troppo sfocata del clubbing.
Miami Music Week è certamente sul podio delle convention più attese dagli amanti della musica elettronica a 360 gradi negli USA. A poco meno di un mese dalla fine della settimana della MMW è giunto il momento di tirare le somme di un’edizione che ha definitivamente segnato un reale ritorno alla normalità. Tra un aumento consistente del numero di party rispetto all’edizione 2023, ed una maggiore affluenza di turisti stranieri, la MMW 2023 ha avuto un bilancio, economicamente parlando, più che positivo.
Una ripartenza che, nel post pandemia, riflette inevitabilmente anche i cambiamenti della scena elettronica.
L’assenza prolungata della Winter Music Conference, che tornerà ufficialmente nel 2024, è stata sicuramente una perdita importante per la MMW. Fondata nel 1986 da Bill Kelly e Louis Possenti, la convention americana ha rappresentato fino al 2019 un punto di riflessione e sintesi in merito ad alcune questioni centrali nell’industria musicale contemporanea. A maggior ragione, in questo momento storico, in cui l’industria della musica elettronica ha necessità di confrontarsi con tematiche sociali necessarie ed importanti. Il cuore pulsante per quella parte di attivisti del settore in cui riconoscersi, dialogare e portare aventi in maniera socialmente consapevole un settore con un impatto sociale ed ambientale di grande peso.
Ecco questo è stato un grande punto a sfavore. Nonostante la presenza di panel interessanti, come l’evento ByeBye Plastic per quanto riguarda il tema degli eventi plastic free o le riflessioni sulla parità di genere tenute tra gli altri da due impegnati e piacevolmente stimolanti Diplo ed Lp Giobbi, quello che è venuto a mancare è probabilmente un confronto plurale.
Miami è stata una culla per artisti e management che non è riuscita, senza la Winter Music Conference, a dare voce ad una piramide organizzativa complessa e sfaccettata. Un’occasione che scava nelle crepe di una manifestazione che crea un forte business ed un turismo musicale ai massimi livelli, senza portare realmente avanti la capacità di metterne in discussione i pilastri, di ripensarlo in un’etica contemporanea. Questo aspetto ne riduce, non solo, la reale corrispondenza tra realtà e percezione ma crea uno stacco che elude dal contesto storico e geografico.
Quello che forse oggi manca a Miami è una riflessione che parta dalla propria realtà locale per costruire una visione. Non può guardare ad esempi che non le corrispondono per crescere ed evolversi. Il rischio di questa MMW è che lo show diventi l’unica cosa centrale. Troppo spesso è stato così.
La radice comunitaria, multietnica, colorata e socialmente variegata è il vero punto di forza della Miami Music Week. Il nodo positivo, la sua riconoscibilità, quello che mi è piaciuto.
Passando in rassegna gli eventi della settimana, è lampante la grande capacità che ha la città di essere accogliente e diventare punto d’incontro culturale anche a livello strettamente musicale.
Partendo dal colosso statunitense ULTRA Music Festival, evento di proporzioni incredibili che non ha deluso le aspettative dei visitatori da oltre 90 paesi. Il Mainstage ha consolidato ed incrementato i suoi effetti incredibili ed è stato animato per lo più dalle star EDM con qualche sorpresa techno come il set pomeridiano del venerdì della belga Charlotte De Witte, ed un inedito set club oriented degli Swedish House Mafia (con decisamente troppi bassi per la risonanza acustica della DownTown Bay), ma che ci fa ben sperare per l’arrivo in Italia al Futur Festival di Torino.
Oltre al Live Stage, destinato ai live act del festival e all’iconico Arc Stage, destinato a sonorità più trance, la vera rivelazione è stato il raddoppio del RESISTANCE Stage, che nella sua doppia versione Megastructure e The Cove ha potuto ampliare la line up di artisti techno. Da inediti b2b come quello tra Maceo Plex e Michael Bibi ( set decisamente molto più verso Bibi che Plex) all’unione femminile, inedita ed artisticamente sorprendente tra Ida Engberg e Maya Jane Coles, al set sempre trascinante ed emozionante della star per eccellenza del Resistance Stage Carl Cox.
Ma il vero show dell’Ultra Music Festival lo ha fatto Eric Prydz con il suo format Holo.
Holo è stato presentato in illustri convention musicali già numerose volte, tra cui l’Amsterdam Dance Event ad ottobre, ma non è mai stato così tanto convincente come nella sua ultima versione a Miami. Il concept del dj svedese, in continua evoluzione nella ricerca tra unione musicale e visual 3d spettacolari, è riuscito a migliorarsi ancora e costruire un’emotività inedita attorno allo show musicale. Un astronauta che allunga una mano, la navigazione sulla superficie terrestre, una parabola che gira in maniera incontrollata, un occhio che ci osserva al limite dell’iper realismo. Se oggi la visual art rappresenta il nuovo terreno di gioco su cui artisti internazionali e dj si devono confrontare per fornire al pubblico un’esperienza immersiva, Prydz ha dimostrato nuovamente di avere una marcia in più.
Ed a proposito di visual art, impossibile non citare l’evento di giovedì 23 marzo nella cornice periferica del Factory Town, animata dal roster AFTERLIFE che ha nuovamente elevato il suo livello artistico. Forse l’esperienza portata avanti e sviluppata dal duo melodic techno Tale of Us insieme al visual artist Alessio De Vecchi non è immersiva come quella di Prydz, ma l’universo animato da creature misteriose che popolano le notti ipnotiche Afterlife è un evento visivamente memorabile.
Sempre al Factory Town un evento che non ha deluso le aspettative è stato il Get Lost, guidato dalla sapiente direzione artistica e creativa di Damian Lazarus. Carl Craig, Carlita, Bedouin hanno sicuramente alzato l’asticella musicale, ma la vera rivelazione è stato il duo olandese ANOTR, che dai party No Art sta continuando la sua ascesa inarrestabile nelle consolle più rinomate del pianeta. Un evento che ha raccontato i vent’anni di Crosstown Rebels, etichetta che racchiude quella pluralità di visioni e suoni che dentro il contesto americano di Miami trova senso compiuto.
Altra atmosfera magica e vintage è stata quella al Floyd a Miami Beach, dalle luci rosse che hanno animato la serata del collettivo olandese PIV aprendo la MMW alla serata di Seth Troxler ed HoneyLuv, un viaggio musicale no stop dentro un club dal fascino anni ’80.
Tutt’altra atmosfera per le notti techno scure dell‘M2, locale dall’impianto audio luci veramente impressionante, forse il club dai tratti più europei della città della Florida. Ed ancora i party tra i murales colorati di Oasis Wynwood, le albe sulla terrazza dello Space (con un Kerri Chandler che ha regalato un’alba da manuale il sabato mattina) ed i pool party colorati al Sagamore Hotel. Insomma un ritratto che accontenta, come nelle grandi convention, i gusti più disparati.
Lo show è servito. Forse con qualche fila di troppo al bar (soprattutto qualcuno dica agli americani che la mancia sui cocktail è veramente una pessima abitudine), con un’ attesa per i taxi decisamente troppo lunga e una serie di problematiche da risolvere a livello cittadino per rendere gli spostamenti e l’accesso ai party il più veloce e comodo possibile. Lo show c’è si, ma il clubbing del MMW ancora si perde tra luci accecanti, backstage colmi di vip discutibili (che ci stanno a fare trenta persone in una consolle di 5 ma rimane un mistero) e status symbol che nascondono troppo chi siamo rispetto a ciò che vogliamo sembrare. Può migliorare? Certo che si.