Nell’ultima edizione del Sònar, appena terminata, Richie Hawtin è stato invitato dalla Point Blank Music School a tenere un seminario sul nuovo e fiammante Playdifferently Model 1, il mixer progettato proprio dallo stesso Hawtin insieme al designer Andy Rigby-Jones della Allen&Heath e presentato quest’anno.
Richie Hawtin non è nuovo a partecipare direttamente allo sviluppo tecnologico nel mondo della musica elettronica, sia perchè è stato uno dei primi ad adottare il formato digitale, sia perchè ha contribuito attivamente allo sviluppo del sistema Final Scratch che permette di controllare file audio digitali con i vinili, nonchè ad alcune features di Beatport. E’ indubbiamente un innovatore ed è sempre rivolto al futuro e lo dimostra con il Model 1.
Si capisce subito da dove nasce l’idea del suo Model 1. Hawtin ha lavorato a lungo, circa quindici o sedici anni, con i mixer Allen&Heath, precisamente lo Xone 62 e lo Xone 92. Ha avvertito, nel tempo, mentre le sue capacità si affinavano, che le versioni originarie di questi due mixer non avevano alcune caratteristiche che avrebbe pensato sarebbero state comodissime per i suoi scopi ed il suo stile.
La sua conoscenza diretta del designer di questi modelli Andy Rigby-Jones si è rivelata di fondamentale importanza. Nella loro proficua collaborazione, è stato possibile apportare delle modifiche allo Xone 62 introducendo delle funzionionalità MIDI. Erano gli anni ’90. Più tardi, con l’ingresso sul mercato dello Xone 92, è riuscito a far sì che potesse lavorare in modo da poter controllare Ableton (ecco i migliori mixer sul mercato).
Teniamo sempre conto che oggi ci sono in commercio controller di ogni tipo, tagliati più o meno per ogni esigenza e tipologia di setup, mentre negli anni ’90 dovevi un po’ inventare strumenti appositi ed escamotage coi mezzi di cui si disponeva all’epoca. In questi anni di progressiva customizzazione dei mixer da DJ e di interfacciamento con Andy, ha preso forma l’idea-sogno che ora vediamo realizzata nel Model 1.
Si è voluto creare qualcosa che suonasse in maniera incredibile, una qualità senza compromessi in un mondo e in un periodo in cui ci esistono un’infinità di strumenti e pare che il mercato punti sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Il principio da cui parte è che ogni controller, CDJ, computer o strumento in generale che venga utilizzato nella performance, passa sempre e comunque nel mixer, e questo elemento del setup deve necessariamente essere di alta qualità.
Come illustra nella prima parte del video, Richie Hawtin ha voluto introdurre altre funzionalità che nei mixer venduti ad oggi non si ritrovano, per introdurre ulteriori variazioni e originalità nel suonare i dischi o le tracce, aumentando le possibilità creative del DJ. In fase di progetto ci sono state alcune decisioni piuttosto radicali nel design: innanzitutto abbiamo ben otto canali, a differenza dei più comuni quattro o sei canali dei mixer comuni, anche i più potenti.
Già da questo vediamo che ci si è spinti verso qualcosa di oltre. Poi abbiamo un channel strip con EQ a quattro bande, più un filtro e altre funzioni solitamente immancabili in un mixer. Anche questo EQ ha una marcia in più: dal momento che ogni traccia è un mondo a sè e suona in un certo modo a seconda delle scelte di sound design dell’autore, nel Model 1 abbiamo ora la possibilità di intervenire sulla frequenza specifica di interesse, da alzare o abbassare con l’EQ. Ad esempio, se vogliamo manipolare le alte frequenze tipiche di un hi-hat, possiamo farlo in maniera più precisa andando sul range di frequenze specifiche per l’hi-hat della traccia che sta suonando.
E’ quindi un EQ che permette una regolazione assai fine e quindi maggiore flessibilità. L’EQ-filtro è sì specifico per il range di frequenze desiderato, ma sulla strip “globale” sulla destra del pannello c’è anche un pomello con un filtro aggiuntivo per ulteriori manipolazioni durante la performance, ed è facile arrivare al punto in cui diviene complicato definire quale suono provenga da quale traccia. Nell’insieme, si può dire che abbia caratteristiche che possono anche renderlo un buon candidato come studio mixer, per via delle funzioni già menzionate (otto canali, EQ fine, filtro), più altre come tre preamplificatori per i giradischi, uscite bilanciate e il mix bus bilanciato.
L’intervistatore gli fa notare che lui attualmente come sorgente usa Traktor, mentre il Model1 è tutto analogico. Gli chiedono quindi come mai non abbia voluto inserire connettività digitale o usb nel Model1. Dalla risposta possiamo capire ancora meglio il concept del progetto: “oggi si tende a sovraccaricare di caratteristiche (“features overload”) gli strumenti. Da un lato è certamente una gran cosa, ma con il Model 1 siamo voluti tornare un po’ alle basi. Nel senso che essendo analogico non hai tutte le numerose, esagerate opzioni del digitale, ma hai un suono grandioso che si sposa benissimo con le attrezzature costose e altamente professionali dei club o delle venue di tutto il mondo.”
Per valorizzare e ottimizzare questo aspetto hanno quindi preferito puntare sull’analogico e sulle sue caratteristiche intrinseche perchè il suono fosse il più possibile fluido, ben amalgamato (“glued”), organico, e soprattutto personale, caratterizzato dalle frequenze di ogni artista che lo usa. Inoltre Hawtin usa sì il computer, ma non ha voluto ideare un mixer tagliato appositamente su di lui e sulle sue esigenze, ha preferito piuttosto che fosse versatile, quindi adatto a chi usa giradischi, CDJ, persino sintetizzatori o Traktor.
Proprio a proposito del modo personale di suonare, di innovare e di utilizzare creativamente gli strumenti, gli chiedono quanto dipende dall’artista che suona e quanto dal costruttore di strumenti del genere. Questo perchè anche con un mixer entry level o comunque che offre una gamma di funzioni elemetnari, chi lo usa può inventarsi qualcosa e usarlo creativamente, ottenendo comunque una resa piuttosto buona e un suono personale.
Richie Hawtin risponde che nel momento in cui vai più in profondità nel tuo stile e nelle tue skill, puoi iniziare a volere qualcosa che prima non vedevi, o alla quale non eri in grado di accedere. E’ naturale che gran parte del materiale grezzo del DJ viene dalla musica che mette su, ma lo strumento, se di una certa qualità e con funzioni che fanno particolare al caso dell’utilizzatore, apre le porte ad una quantità di ulteriori manipolazioni ed esperimenti. A un certo punto, nel progredire, vuoi andare oltre e mettere le mani su ulteriori funzioni.
Ascoltare una traccia e vedere come il suo suono può cambiare, ad esempio con il filtro o con l’EQ del Model 1, fa parte del viaggio e della scoperta che alimenta l’ispirazione creativa. La parola chiave in tutte le fasi dello sviluppo del Model 1 è stata “smoothness“. Questa morbidezza si riferisce alla manipolazione, al sentore che hanno le mani e l’orecchio mentre si usa questo formidabile mixer: nei filtri, nell’EQ, nello scorrere dei fader, e di conseguenza in ogni passaggio della performance.
Anche l’approccio “one knob, one function” è stato tenuto in conto, perchè spesso nei setup più complessi ci si ritrova con vari controller e c’è bisogno che tutto sia immediato, senza doversi ricordare in ogni momento a quale knob corrisponde quale funzione.
Paolo Castelluccio