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Lo stesso Richard D. James avrebbe svelato la composizione del setup modulare che ha utilizzato, insieme ad altra attrezzatura, nel set al Field Day Festival.

Forse a molti ancora non è passata la sbronza della performance di Aphex Twin al Field Day Festival. L’esibizione è stata un set ibrido, a metà tra il dj-set e il live, in cui il nostro Richard D. James ha integrato la produzione estemporanea con strumenti elettronici insieme al mixing di brani o parti di brani tipico del “formato” dj-set.

Data la personalità dell’artista e più direttamente la sua persona, piuttosto che il personaggio, e data anche la sua imprevedibilità a livello creativo e sociale, la performance in questione è stata osservata a reti unificate da un’enorme quantità di fan in religioso silenzio.

Aphex Twin ci ha abituati a non abituarci, nel senso che alcune release vengono annunciate con un canonico anticipo, mentre altre spuntano fuori di punto in bianco sul suo anonimo profilo SoundCloud, alternando lunghi periodi di silenzio a momenti in cui viene rilasciata una vagonata di materiale nuovo. Per le esibizioni non va molto diversamente, e ormai appena vediamo spuntare il simbolo o il nome, è subito trepidazione.

Alla performance obbiettivamente molto potente e interessante del Field Day Festival sono seguiti dibattiti e la consueta esegesi della sua parola. O meglio della sua attrezzatura. Un set come quello, dalle sonorità particolari, con una forte componente di noise e irregolarità, specialmente nel finale e come di inconfondibile firma Aphex Twin, è stato letteralmente studiato da molte persone. Un po’ per cogliere qualche segreto, un po’ per entrare un attimo nella sua testa e provare a carpire secondo quale eccentrico progetto Richard abbia istituito il setup.

Dal video si scorge in particolare un sistema modulare misterioso di cui è difficile, se non impossibile, capire come è strutturato. Dopo molti giorni di discussioni e interpretazioni un po’ ovunque nella rete, specialmente in gruppi e forum particolarmente “nerdy”, ecco che lo stesso Richard D. James svela di sua iniziativa il suo rack modulare, che possiamo in piena comodità studiare a questa pagina modulargrid.

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Il sistema è installato in un case 7U della Intellijel e presenta svariati elementi d’interesse. Cliccando sui singoli moduli si può cogliere quanto ben si confanno allo spirito aphextwiniano e al suo modo di vedere la musica. Ad esempio, andando sul sito della Qu-bit e cercando informazioni sul modulo Tri-ger, la descrizione parte con “lìberati dalla tirannia del ritmi quantizzati”. Oppure, approfondendo altrove, si trova il Benjolin che è un modulo synth caratterizzato da imprevedibili e incontrollabili fluttuazioni di voltaggio, che cambiano da soli alcune inflessioni del suono che il modulo genera, obbligandoci a sposare una certa componente di caos. O anche l’Analogue Systems RS-35 che è in grado di tramutare qualsiasi segnale audio in voltaggio, che poi può essere usato per controllare altri moduli e funzionalità.

E ancora, moduli per “effetti speciali” come il TipTop Z-Dsp, vera e propria miniera digitale di effetti o il vero e proprio “must” dei riverberi Eurorack, l’Erbe Verb; un filtro risuonatore multibanda della 4MS per il trattamento a livello spettrale del suono; molti moduli “tecnici” e utilities per controllare il comportamento del suono.

Tuttavia, teniamo conto che questo setup è solo una piccola parte di ciò che ha utilizzato in quella performance. Quindi avere a disposizione questi “segreti”, che non sono più segreti, è probabilmente la punta dell’iceberg. Non tanto perchè c’era altra strumentazione al lavoro, ma anche e soprattutto perchè non sappiamo come quel modulare era patchato. Ricordiamoci che è una filosofia che si fonda sulla flessibilità, oltre che sulla non completa controllabilità, e uno stesso modulo può “parlare lingue molto diverse” a seconda di chi lo sta usando. Figuriamoci se poi il setup è arricchito di giradischi o persino di un laptop, dove può esserci di tutto.

Buono studio: