Essendo il primo aprile passato da un po’, la notizia riportata da Grozny Inform, agenzia di stampa del governo ceceno, sembra essere vera e non uno scherzo. La decisione è stata presa lo scorso giovedì, dopo un incontro tra il ministro della cultura e un gruppo di musicisti locali.
Se vi dicessero che dal 1° giugno non potreste più non solo ballare, ma addirittura ascoltare qualsiasi genere musicale che non rientri tra i 60 e i 116 bpm, ci credereste? Beh, viveste in Cecenia, sarebbe così. Secondo il Moscow Times e l’ufficio stampa del Governo ceceno, è di giovedì scorso la decisione di uniformare la musica in linea con le tradizioni del Paese. Per farlo ogni musicista non potrà più produrre musica che sia al di sotto dei 60 bpm e al di sopra dei 116. Inoltre, qualsiasi produzione antecedente all’1 giugno andrà riscritta e riprodotta e, in caso non sia possibile, tolta dal commercio.
Proibizionismo musicale: la triste realtà del XX e XXI secolo
Il proibizionismo musicale non se l’è di certo inventato il Governo ceceno nel 2024. Questa visione futuristica di censura, però, risulta essere nuova nella triste storia del XX e XXI secolo dell’inibizione artistica dell’essere umano. È purtroppo uso comune per i governi dittatoriali e totalitari reprimere le forme artistiche di qualsiasi genere, concentrandosi particolarmente su quelle figurative e musicali.
La strada per questa nuova forma di proibizionismo 2.0, che vieterebbe in Cecenia la musica fuori i 60 e i 116 bpm, ha origine nel XX secolo. Gli speakeasy dei ruggenti anni ’20, tra New Orleans e Chicago, suonavano jazz e charleston. Vendevano alcolici di contrabbando e, inconsapevolmente, diventavano una delle forme di testimonianza più evocative della necessità del genere umano di esprimersi liberamente. Senza censure.
Il proibizionismo musicale italiano vanta una storia altrettanto lunga. Affonda le sue radici nel 1900 e fa fiorire i suoi frutti “migliori” in epoca fascista. Vieta non solo ai cittadini di ascoltare musica americana – come il jazz – o di autori ebrei, ma anche balli in luoghi pubblici e locali. Il fatto che poi, quasi 100 anni dopo, il governo italiano eroghi una legge che impedisce alle persone di riunirsi per ascoltare musica su terreni pubblici o privati, è un’altra storia.
Tra il 1947 e il 1964 l’URSS vieta diversi generi musicali, tra cui il rock, il jazz e il boogie-woogie. I cittadini iniziano quindi a stampare vinili su radiografie buttate dagli ospedali. La qualità è discutibile, causa il poco spessore dei fogli delle lastre, ma questo gesto viene ricordato ancora oggi come una delle rivoluzioni più affascinanti passate attraverso il mondo della musica.
Proibizionismo 2.0
Questa sorta di proibizionismo 2.0 attuata in Cecenia apre un ampio dibattito su quello che è il mondo della musica elettronica in generale. L’impossibilità di produrre musica tra i 60 e 116 bpm annulla, di fatto, non solo l’ascolto di generi più mainstream come pop e rock, ma anche quello della techno. Cosa può provocare nella società la rimozione totale di questi generi dal quotidiano dei cittadini?
L’attuazione di questo piano risulta se non impossibile, quanto meno con tempistiche molto lunghe. Soprattutto in una realtà come quella odierna, dove la musica è fruibile non solo nei negozi, ma per la maggior parte attraverso piattaforme online. Nonostante la Russia e i suoi stati federali – come la Cecenia – abbia pochissimi siti web condivisi con il resto del mondo, YouTube è ancora uno di quelli. Questo può risultare uno dei maggiori ostacoli per la richiesta del capo del governo ceceno Ramzan Kadyrov di conformare i parametri musicali a quelli locali.
Sotto il punto di vista socio-culturale, questa nuova tipologia di proibizionismo, impone una forma di controllo piuttosto “innovativa”. La misurazione dei battiti per minuto non va ad incidere sull’origine o sul contenuto esplicito di un brano, ma sul beat vero e proprio. Non è difficile da credere che questa trovata derivi proprio dalla Cecenia, uno stato che ha scritto pagine di storia raccapriccianti con le sue persecuzioni.
Chissà se anche questa volta, come in passato, l’uomo si inventerà rivoluzioni più o meno silenziose per potersi sentire libero in un mondo che, al posto di progredire, fa di tutto per guardare indietro.